Manifestazione Regionale
5 marzo 2004
Intervento di
Di Stefano
La presenza mia e dei miei colleghi, oggi in questa sede, vuole essere
una testimonianza di ciò che è la nostra azienda e di come i fatti degli
ultimi mesi, stanno influendo su di essa.
La ns azienda attualmente è parte del gruppo Parmalat, ma fino al 2001 è
stata in mano alla famiglia Puglisi Cosentino, prima del padre Salvatore
e poi del figlio Alfio.
Grande intuizione del padre fu quella di imbottigliare il Latte sterile
in bottiglia, negli anni 50, con marchio Sole.
Tale marchio si diffuse rapidamente in Sicilia divenendo quasi
patrimonio dei siciliani stessi e negli anni ’70, grazie all’appoggio
dei grandi gruppi di distribuzione, tale marchio ebbe diffusione
nazionale.
Negli anni ’80 iniziò una politica di acquisizione di società
controllate che portò all’interno del gruppo Gala, la Solac e la Dilat.
Alla fine degli anni ’80 le stesse saranno cedute alla Granarolo e alla
Cirio Bertolli De Rica, che potranno utilizzare il marchio Sole su tutto
il territorio nazionale ad esclusione di Sicilia e Calabria e con
il realizzo di tale cessione, fu fondato
a Ragusa, quello che adesso è il ns caseificio, il quale fu inaugurato
nel 1991.
Attualmente la società ha due siti produttivi, uno a CT ed uno a Ragusa.
A Catania sono occupati circa 150 dipendenti e lo stabilimento è adibito
al confezionamento di latte fresco e a lunga conservazione con marchi
sole e brio, nonché alla produzione di panna fresca.
Lo stabilimento di Ragusa invece occupa
circa 45 lavoratori e si producono mozzarelle nelle varie pezzature,
scamorze e ricotte con marchio nuvoletta.
Lo stabilimento di Rg si trova in una posizione
strategica rispetto all’approvvigionamento di materia prima, esso
infatti è negli altipiani ragusani dove i produttori latte detengono
circa il 70% delle quote latte di tutta la Sicilia. In particolare nello
stabilimento di Ragusa si lavorano annualmente circa 24 mil di litri di
latte, da cui si ottengono circa 3.5 mil di kg di prodotti finiti. La
regione siciliana è inoltre la quinta fornitrice di latte alla Parmalat
e questo dato è sufficiente per far capire cosa succederebbe
all’equilibrio del mercato lattiero caseario, se questo acquirente
verrebbe a mancare.
I produttori di latte che ci riforniscono, tra conferenti diretti e
indiretti, cioè alle cooperative di raccolta,sono circa 1000, per cui
quando si pensa all’impatto che ha questo asset sulla economia, non
bisogna limitarsi a contare i soli dipendenti diretti, ma i
collaboratori, distributori, raccoglitori e produttori. Se poi si pensa
in termini di famiglie, i numeri si devono almeno triplicare.
Assieme alla vicinanza al mercato di approvvigionamento, che costituisce
un punto di forza della società, ve ne è un altro che dobbiamo citare,
ovvero la richiesta di mercato, che si è sempre attestata su livelli
soddisfacenti pur conoscendo ovviamente punte di flessione temporanee.
Grazie a qs punti di forza, la società dal 1991 alla fine degli anni ’90, è stata in continua crescita.
Ma qs punti di forza, da soli non bastano a mantenere l’azienda su buoni
livelli competitivi. Infatti ciò che ci è mancato negli ultimi anni
della vecchia gestione, è stato un piano industriale che permettesse di
attuare un rilancio dei ns prodotti.
Il Cavaliere infatti preso dai suoi affari all’estero, poca
attenzione dedicava alla sua azienda in Italia, esportando in Ungheria
risorse italiane. Di conseguenza, la cessione che si profilava alla
Parmalat, ci riempiva di speranze e si caricò di forti aspettative.
Un piano industriale ed un rilancio erano avvertite come forti
necessità, considerato che, nel frattempo avevamo perso la leadership e
i ns competitors avevano conquistato delle nicchie di mercato.
Non appena si delinearono le figure dirigenziali del nuovo assetto
societario, la rsu e la ns organizzazione sindacale, consapevoli della
necessità di una svolta, hanno cominciato ad esercitare varie pressioni,
senza ottenere alcun risultato.
In due anni e mezzo di gestione Parmalat, se non l’intestazione sulla ns
busta paga, nulla è cambiato . E per la verità questo cambiamento fa ha
fatto si che, i ns dipendenti che chiedevano l’accensione di prestiti,
si presentassero agli istituti o alle soc. finanziarie, con un bel
biglietto di presentazione. Il tutto ovviamente fino a pochi mesi fa,
quando in non pochi ci siamo sentiti dire che la ns busta paga è
l’equivalente di una cambiale scaduta.
Siamo consapevoli che solo costruendo forti vantaggi competitivi
riusciremo a superare la crisi e tali vantaggi si
costruiscono ponendo attenzione alla qualità , alla sicurezza alimentare
e alla
tracciabilità.
Il tutto sia nell’interesse dei consumatori che degli operatori tutti, perché conseguire standard elevati di qualità significa creare valore aggiunto e quindi occupazione, innovazione, ricerca e quanto possa innescare un circolo virtuoso nella ns economia.
Il mancato perseguimento di tali obiettivi, li ha resi per noi un punto
di debolezza e la situazione si aggrava se si considera che alle
difficoltà industriali si sono unite quelle finanziarie.
Infatti allo scoppiare della crisi Parmalat, delle 10 banche che ci
appoggiavano nelle operazioni finanziarie e creditizie, ben 7 si sono
tirate indietro e molte ci hanno chiesto il rientro dei fidi.
Da circa tre mesi la società si regge sulle proprie gambe cercando di
gestire le entrate oculatamente e direi con la diligenza del buon padre
di famiglia.
Ma è chiaro che in tal modo non possiamo andare lontano. Se si pensa al
fatto che potrebbero intervenire elementi straordinari per cui potrebbe
rendersi necessario un intervento urgente non previsto, con quali
capitali si potrebbe coprire il costo? Ci sembra improbabile che i ns
azionisti siano disposti a qs, considerato che le ns azioni sono
detenute per intero dalla Parmalat, che tra le altre cose si è già
pronunciata sull’argomento chiarendo che non c’è disponibilità di fondi.
Le banche dal canto loro sono latitanti! In poche parole potremmo
rischiare anche dei fermi produttivi.
E se la società non gode di buona salute, ne risentono anche i
dipendenti. E’ stata infatti bruscamente interrotta la contrattazione
integrativa di secondo livello. Avevamo aperta con i ns vecchi
interlocutori, una discussione che adesso è molto difficile riprendere,
e la conseguenza è un ulteriore ampliamento del gap salariale tra
lavoratori del nord e lavoratori del mezzogiorno.
Che cosa ne sarà allora della Latte Sole, dei dipendenti e delle loro
famiglie, dei raccoglitori, dei distributori, degli agenti, dei
produttori, di tutto l’indotto ?
E il piano industriale di Bondi? Nulla sappiamo e meno che mai possiamo
immaginare se un benché piccolo intervento sarà previsto per la ns
azienda, ma è ovvio che non possiamo permettere che questo asset che
è ricchezza di tutti,cessi di esistere.