RELAZIONE DI ITALO TRIPI ALLA MANIFESTAZIONE REGIONALE FLAI
PALERMO 5 MARZO 2004
Negli ultimi mesi due vicende economiche hanno focalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Mi riferisco ai crack Cirio e Parmalat.
Molto si è parlato dei destini dei risparmiatori,poco di quelli dei lavoratori delle aziende dei due gruppi e delle ricadute che si avranno sui territori interessati.
E’ emerso con chiarezza l’intreccio profondo che questi due gruppi
nazionali e multinazionali avevano e hanno con l’economia del nostro
paese; la dimensione economica del deficit è pari a quella di un buco da
colmare con una finanziaria governativa da” lacrime e sangue”.
Molti che per cultura politica,economica ,sindacale sono abituati a
considerare industria solo
quella metalmeccanica o chimica hanno scoperto che nel nostro paese c’è
una realtà industriale,quella alimentare, forte,diffusa,che produce
profitti, da’ lavoro, rende ricche varie aree regionali ,ha primati a
livello internazionale ,si presta ,purtroppo, al malaffare cosi come
avviene in tanti altri settori.
Lo spunto che ci offrono queste vicende negative ,però, ha un profilo
utile per una strategia dello sviluppo produttivo della nostra isola.
L’espressione “ nuovo modello di sviluppo”,che spesso sento usare, se
non è riempita di contenuti e di idee è una espressione priva di
significato.
La Flai è impegnata a dare un contributo di elaborazione alla
piattaforma del sindacato che avrà un primo banco di prova nello
sciopero generale del 26 marzo che chiederà al governo regionale una
inversione di tendenza e politiche coerenti,per il rilancio, tra
l’altro, dell’industria siciliana.
Credo sia doveroso,in primo luogo sottolineare che i lavoratori della
Cirio e della Parmalat hanno risposto con grande dignità al latrocinio
perpetrato dai loro datori di lavoro: hanno tenuto fermo l’impegno ad
assicurare la produzione,la qualità del marchio e la presenza sul
mercato,dando una lezione ai teorici della centralità dell’impresa o
meglio degli imprenditori.
Con i tempi che corrono non è cosa da poco dimostrare che per assicurare
futuro e prosperità alle aziende è necessario, anche, la centralità del
lavoro dipendente. La battaglia dei lavoratori Parmalat è la nostra
battaglia.
Contrastare qualunque idea di spezzatino industriale vuol dire tutelare
oggi un importante marchio nazionale cosi come hanno fatto i lavoratori
Fiat solo un anno fa.
In Sicilia i lavoratori Parmalat si chiamano Latte Sole a Catania e
Ragusa, Emmegi a Termini Imerese, Cosal a Terme Vigliatore a Messina.
La prima questione che hanno posto è stata quella di garantire la
produzione, dare certezze ai fornitori, creare una interlocuzione con i
produttori agricoli.
Garantire la filiera agroalimentare, quindi, infatti la specificità
dell’industria alimentare è data dall’ attività lavorativa a monte e a
valle della produzione industriale.
In questa vicenda il governo Cuffaro ha brillato e brilla per pochezza e
pressappochismo,si è limitato a fare il portavoce del commissario Bondi
non ha avuto capacità di iniziativa autonoma spendendo i poteri che
l’autonomia regionale gli conferisce.
Addirittura all’assessore all’industria abbiamo dovuto spiegare che la
crisi non colpiva solamente le aziende interessate ma anche i produttori
agricoli e le loro aziende.
La risposta del governo è del tutto inadeguata, la vertenza qui in
Sicilia è ferma al palo, nonostante tutte le rassicurazioni dei governi
nazionale e regionale,con il risultato che si sono messe in moto manovre
speculative attorno a questa vertenza (ad. esempio i produttori agricoli
siciliani chiedono lo stato di crisi per fare quattrini) .
Anche contro questi comportamenti sciopereremo il 26 Marzo!
Fin dallo sciopero generale dei lavoratori del nostro settore il 2 marzo
2001 abbiamo chiesto l’apertura di un tavolo “verde”,come lo abbiamo
chiamato, per affrontare tutte le tematiche della filiera
agro-alimentare-ambientale della nostra regione sulla base di un
ragionamento semplice che valeva tre anni fa ma che vale ancora oggi.
La Sicilia è una delle regioni più importanti d’Italia per produzione
agricola di qualità ,per varietà delle specie, per produzione biologica.
Con le sue produzioni è in grado di coprire tutto l’arco dell’anno.
Siamo sicuramente competitivi nei settori vitivinicolo, olivicolo,
vivaistico, ortofrutticolo, zootecnico, lattiero caseario,ittico.
La nostra agricoltura è per valore aggiunto la seconda dopo la
Lombardia,mentre l’industria alimentare siciliana è al sesto posto per
produzione,commercializzazione e trasformazione.
Questo scarto dimostra quanto ci sia ancora da fare per una vera
politica di filiera,ma al tempo stesso dimostra le grandi potenzialità
che l’industria alimentare siciliana può esprimere e l’apporto che può
dare allo sviluppo della Sicilia.
Per deficit di iniziativa e per ritardi culturali delle aziende e della
Regione la Sicilia non riesce a fare sistema ,a chiudere la filiera del
“produrre-trasformare-commercializzare”.
Succede cosi che le nostre produzioni agricole sono lavorate in altre
parti del Paese dove producono valore aggiunto,cioè ricchezza,poi magari
quelle stesse produzioni trasformate le ritroviamo sui banchi dei
mercati delle città siciliane.
Domanda:cosa impedisce di trasformare in Sicilia le produzioni agricole
isolane?
L’industria alimentare di qualità deve essere la leva per un nuovo
sviluppo eco-compatibile della Sicilia.
Perché lo diventi occorre però mettere a punto una strategia che si
ponga assieme gli obiettivi di innovare e modernizzare le imprese del
settore,difendere gli interessi dei consumatori,tutelare
l’ambiente,creare occupazione .
A ben riflettere sono le novità che hanno determinato il successo del
vitivinicolo siciliano.
Le parole chiave di questa strategia sono:filiera,qualità,rafforzamento
di un modello di produzione basato sui prodotti tipici,valorizzazione
del biologico,sicurezza alimentare.
Qualità vuol dire una impresa agricola e una industria alimentare che
accetta la sfida delle certificazioni:sistemi di
qualità,rintracciabilità di filiera,gestione ambientale,certificazione
etica,certificazione di prodotto.
Queste cose immateriali fanno la differenza e aprono i mercati:succede
così che Fiasconaro di Castelbuono può vendere il panettone in
Lombardia.
Bisogna ragionare in grande concependo filiere che si pongano
l’obiettivo di essere competitive nei mercati internazionali,invertendo
quella tendenza che fa arrivare oggi a Ragusa sementi olandesi e
know-how israeliano.
Siamo ancora in tempo ad utilizzare strumenti come agenda 2000 e i piani
di sviluppo rurale per questi obiettivi che assicurano sviluppo nel
tempo.
Su questi temi il 17 marzo alla presenza di Chiriaco incontreremo i
presidi di tre facoltà, ricercatori ed esperti del settore
nell’occasione della presentazione della rivista della Flai AE
(agricoltura, alimentazione, economia, ecologia)in un convegno dal
titolo: Mediterraneo giardino d’Europa - Lavoro e saperi per un progetto
emas delle Madonne,del sistema comunitario di eco-gestione e
monitoraggio
Bisogna aggredire i punti di debolezza dati dalla frammentazione
fondiaria e dalla orografia del territorio,dalla scarsa propensione a
fare filiera,dalla modesta capacità di trasformare e commercializzare.
Da due anni chiediamo di discutere le motivazioni di queste difficoltà.
Ma il disinteresse del governo e dei partiti politici è grande, e la
stessa imprenditoria è più interessata all’assistenza che a confrontarsi
con realtà che hanno grandi potenzialità produttive.
Ho trovato sbalorditive le affermazioni ,di ieri, del presidente della
regione e del presidente di Sicindustria che plaudono alle motivazioni
del nostro sciopero.
Viviamo in tempi straordinari se i padroni devono tifare per il
sindacato!
Ma a Cuffaro non viene minimamente in mente che l’ostacolo è proprio lui
e che contro le sue decisioni e mancate scelte è indetto lo sciopero?
Con la manifestazione odierna chiediamo alla nostra confederazione di
assumere le questioni del comparto agroalimentare come tematiche
centrali, senza trascurare,ovviamente, altri settori e tutti assieme,
con lo sciopero generale del 26 marzo chiederemo, con la lotta, al
governo regionale di cambiare politica industriale.
Il compagno Guglielmo Epifani al nostro direttivo nazionale ha sostenuto
che il futuro dell’industria manifatturiera italiana appartiene ai
settori legati alle vocazioni territoriali.
Sono sicuramente d’accordo e per questo chiedo che le nostre proposte
abbiano uno spazio adeguato nella strategia della Cgil.
Lo dico in punta di piedi,senza spirito polemico e senza atteggiamento
critico nei confronti di nessuno: la Cgil ha un serio ritardo di
elaborazione complessiva in questa materia.
L’agroalimentare deve essere un
punto di forza di qualunque piattaforma
per il Mezzogiorno,sicuramente ha una centralità in qualunque ipotesi di
sviluppo: sarebbe banale dire “che la gente deve pur sempre mangiare”.
Ma forse proprio perché quella del mangiare è una attività semplice,
normale e quotidiana si sottovaluta le risorse che mette in moto e che
le girano attorno.
Basta solo un dato per capire di cosa parliamo:la metà del bilancio
dell’UE va all’agricoltura.
Le analisi sulla specializzazione produttiva in Sicilia ci dicono che la
quota di occupati più alta è quella relativa al complesso delle
industrie della fabbricazione di macchine ed apparecchi
meccanici,elettrici,ottici e dei mezzi di trasporto che assorbono il
21,5% degli occupati dell’industria manifatturiera siciliana.Segue a
poca distanza l’industria alimentare e delle bevande con il 19,9% e con
il 15% l’industria del legno,della gomma,della plastica e altre
industrie manifatturiere.
Ciascuno di noi è in grado di considerare qual è l’attenzione che il
nostro sindacato dedica a ciascuno di questi settori.
Sia chiaro la Flai non ha nessuna sindrome della solitudine,anzi
apprezziamo la delega piena che ci viene data dalla confederazione,ma
riteniamo che queste tematiche , proprio perché importanti per lo
sviluppo della Sicilia, debbano essere presenti nella attività
quotidiana della Cgil.
Ma il ritardo nella elaborazione ha interessato e interessa in primo
luogo la Flai che fino a poco tempo fa ,almeno in Sicilia, era il
sindacato prevalentemente dei forestali.
Nel dicembre del 2000 con una manifestazione analoga fatta a Catania, e
conclusa da Cofferati , discutemmo del tema della qualità alimentare e
ci ponemmo l’obiettivo di diventare il sindacato “anche dei forestali”.
Il gioco di parole serviva a dire che volevamo essere rappresentativi di
tutto l’universo mondo agro-alimentare-ambientale, e per essere
credibili dovevamo avere una proposta che esplicitamente fosse indenne
da qualunque tentazione assistenziale.
Una proposta che sul piano delle politiche di sviluppo ma anche su
quelle del lavoro e del salario fosse in grado di contrastare l’idea
aberrante del non lavoro in agricoltura.
Nell’arco degli ultimi 15/20 anni il lavoro dipendente in agricoltura ha
perso centralità a favore dell’impresa,complice le normative europee che
l’impresa hanno messo al centro.
Se si considera che più del cinquanta per cento del bilancio UE va
all’agricoltura si ha una idea dello spostamento dei pesi dal lavoro
all’impresa.
Nell’occupazione agricola si evidenziano i fenomeni del massiccio
ricorso alla manodopera stagionale e saltuaria e al lavoro
extracomunitario,della bassa qualificazione dei
lavoratori,dell’invecchiamento degli occupati .
Inoltre l’accento posto sulla produzione e non sul come si produce ha
fatto ritenere che in agricoltura tutti potessero lavorare: barbieri,
artigiani,pensionati, studenti,impiegati pubblici il sabato e la
domenica, ecc. fuorché i salariati agricoli.
Da qui la teoria di individuare come non lavoro l’attività svolta in
agricoltura. Teoria e pratica che hanno mitizzato e reso possibile il
sottosalario,il lavoro nero,il sommerso che viene praticato in
agricoltura molto più ampiamente che in altri settori.
Per dirla con Cuffaro si piange con un occhio solo nel senso che una
giornata su due è sommersa.
Particolare attenzione merita,invece,il fenomeno positivo della realtà
delle figure miste o delle piccole aziende a conduzione familiare verso
le quali si indirizza l’attività dell’Alpa che sempre più deve essere
considerata una struttura di servizio della Cgil.
Con la direzione di Franco Chiriaco ci siamo gettati dietro le spalle i
meccanismi del riallineamento salariale, che erano figli della logica
del lavoro agricolo a basso costo e abbiamo posto con forza il tema
della dignità salariale.
In primo luogo diventa decisivo resistere alle forti sollecitazioni che
ancora ci vengono fatte per utilizzare lo strumento del riallineamento.
Con la campagna per rinnovo dei CPL dobbiamo rilanciare la lotta al
sottosalario e al sommerso, penso proprio che più che predicarla
dobbiamo praticarla, specialmente oggi che la questione salariale torna
centrale a fronte di una perdita del potere d’acquisto dei salari.
E’ noto che la Flai propone la rivisitazione dell’accordo del 23
luglio93,che essendo stato disatteso da governo nazionale e dai datori
di lavoro non garantisce più una adeguata copertura dei lavoratori dalla
inflazione.
Proponiamo contratti nazionali triennali e automatismi di recupero
salariale della inflazione annuale che superando la logica
dell’inflazione programmata pratichino quella dell’inflazione
contrattata.
E’ del tutto evidente che la titolarità della materia appartenga alla
Confederazione ma credo sia utile dare un contributo al dibattito sulla
tutela salariale dei lavoratori.
In ogni caso credo che non si possa avere una idea dello sviluppo che
non metta in chiaro le condizioni di vita dei lavoratori: dal salario al
welfare,dai diritti alla qualità della vita.
Altri meglio di me,e Gulielmo in particolare, ci diranno della fase
politica e della coerente battaglia che la Cgil porta avanti per
tutelare i lavoratori,difendere le loro conquiste affermare la
democrazia nel nostro Paese.
Siamo in prima linea per le pensioni contro il tentativo di scippo della
controriforma Maroni/Tremonti, sosteniamo le ragioni di chi si oppone
alla dequalificazione della scuola e della sanità, chiediamo il ritiro
dei nostri militari dall’Iraq.
Parlare di queste cose non vuol dire parlare d’altro,perché esse sono le
condizioni che permettono di affermare la nostra idea di sviluppo.
Le cose che diciamo in questa manifestazione sono il nostro specifico di
una strategia generale:quella della Cgil.
Dire che il settore vitivinicolo,assieme all’industria elettronica e
alla telefonia, è ambasciatore nel mondo della possibile modernizzazione
della Sicilia all’insegna della qualità ,significa chiedere di parlare
di sviluppo e non di lifting o di altre amenità alle quali ci sta
abituando il presidente del consiglio in queste settimane.
Tuttavia, è giusto ricordare che l’agroindustria è la metafora dello
sviluppo siciliano dove convivono innovazione e
arretratezza,produttività e assistenzialismo,futuro e passato,lavoro
tutelato e sommerso,punti di eccellenza e precariato.
C’è spazio per una qualità nuova dell’iniziativa sindacale,per questo
riteniamo che l’agroalimentare possa essere una risorsa per un nuovo
sviluppo della Sicilia e in particolare oggi che il declino industriale
sembra imperare sulla scena sociale.
Bisogna reagire indicando una strada che non può essere quella del basso
profilo e della precarizzazione del posto di lavoro che indicano le
associazioni degli imprenditori con i quali oggi anche nella nostra
isola è impossibile qualunque livello di intesa.
Il loro ruolo nella vicenda Parmalat, cosi come in altre importanti
vertenze sindacali è stato quello di stare alla finestra pronti a
lucrare posizioni di rendita speculativa senza nessuna idea realmente
produttiva da mettere in campo.
Noi chiediamo alla regione di offrire sponda a quanti si vogliono
misurare con uno sviluppo produttivo,è necessario avere una normativa a
sostegno e per lo sviluppo dei distretti industriali,indirizzare le
risorse della programmazione negoziata verso quelle attività che sono
legate alle vocazioni territoriali,riformare la formazione
professionale,dotarsi di strumenti che favoriscano lo sviluppo a
cominciare dalle infrastrutture.
L’esperienza che si sta facendo a Butera con l’accordo di programma
offre uno spaccato di come si possa procedere. In questo territorio
vengono avanti sei iniziative industriali,(cinque delle quali
alimentari) grazie a una intesa tra comune,sindacato e imprese.
Si creeranno circa duecento posti di lavoro che cambieranno il volto di
quell’area geografica dove già da alcuni anni opera Zonin con il vino.
Fatte le imprese si pone il
problema della presenza del sindacato e spesso ci scontriamo con una
logica ottocentesca dei datori di lavoro. Un caso per tutti i fratelli
Zappalà e Zonin.
Ma c’è un retroterra, è quello di Niscemi ,di Gela e Licata, che offre
già oggi una agricoltura trasformata e di qualità che se riesce a fare
sistema permetterà la creazioni di tante esperienze simili a quelle di
Butera.
Dov’è la Regione, dov’è Sicindustria?
E lo stesso può dirsi per il ragusano con l’agricoltura industriale
delle serre.
A Cesena le industrie alimentari conoscono tutte le aziende di questo
territorio perché ne trasformano le produzioni agricole.
E lo stesso può dirsi per il trapanese e l’agrigentino con i vigneti e
la frutta,con Siracusa e Catania per gli agrumi, e per Palermo e
Messina.
La stessa produzione vinicola,che tanti successi miete, è ancora di
nicchia,anche se sono arrivati Giv, Mezzacorona, Zonin, Marzotto ad
aggiungersi ai produttori siciliani.Tuttavia ci vogliono ancora due o
trecento milioni di bottiglie per essere competitivi nei mercati
mondiali.
Perché il nostro orizzonte devono essere i mercati internazionali e non il
mercato sotto casa.
In questa dimensione servono le alte professionalità ,la ricerca,il
marketing,le reti informatiche,la modernizzazione e l’innovazione e il
bracciante agricolo e l’operaio.
Purtroppo manca una strategia della regione siciliana per affermare il
marchio Sicilia nel mondo.
Eppure i pubblicitari ci dicono che la Sicilia è appetibile perché è
una componente importante di quel Made
in Italy che tanto successo ha in vari campi.
L’autonomia speciale offre potenziali vantaggi che possono essere una
forte attrattiva per investimenti produttivi nazionali e internazionali.
Assistiamo invece all’apoteosi dell’assistenzialismo che mai aveva
raggiunto i livelli che si stanno conoscendo oggi.
Lo sciopero generale del 26 marzo deve rendere espliciti questi
concetti perché è possibile
cambiare oggi.
Ma è necessario tutelare la qualità e la specialità delle nostre
produzioni agroalimentare, per questo abbiamo criticato il provvedimento
del ministro Marzano che permette la produzione di bibite a base di
essenze e coloranti,decisione che induce una parte delle aziende di
trasformazione a poter alterare senza limiti i prodotti dell’industria
alimentare.
Allo stesso tempo apprezziamo l’idea di costituire in Sicilia l’agenzia
per la sicurezza alimentare,ma questa scelta deve essere accompagnata
dalla decisione di dichiarare la Sicilia “ogm free”.
Le dichiarazioni dell’assessore alla agricoltura circa la possibilità di
sperimentare gli organismi geneticamente modificati nelle coltivazioni
di cereali ha trovato finora solo la nostra opposizione.
Tutelare la qualità e la tipicità dei prodotti agricoli
siciliani,significa fare una precisa scelta di campo rispetto agli
ogm,che oltre a porre problemi di sicurezza alimentare sviliscono la
tipicità dell’agricoltura siciliana,che è il suo punto di forza sul
mercato.
Propongo di lanciare da questa manifestazione una campagna per
dichiarare la Sicilia “ogm free”.
E’ un punto qualificante dell’azione per uno sviluppo sostenibile,sono
convinto che tante sensibilità nella nostra isola condividono questa
scelta.
Sempre a proposito di tutela dell’ambiente e del consumatore chiediamo
regole uniche e controlli serrati in tutto lo spazio euro-mediterraneo
rivedendo le modalità d’uso dei fitofarmaci,antiparassitari e diserbanti
con l’adozione di una
politica che copra tutta la catena alimentare ,mangimi compresi.
Ma la sicurezza alimentare deve essere coniugata con la legalità e con
la sicurezza nel territorio.
La legalità nella nostra categoria vuol dire in primo luogo lotta alla
evasione contributiva, al sottosalario,al lavoro sommerso,vuol dire
applicazione dei contratti:non c è qualità alimentare se non c’è qualità
nel lavoro. Ma legalità vuol dire anche sicurezza alimentare,sicurezza
nel posto di lavoro,riconoscimento dei diritti.
Altra questione è la lotta alla mafia,perché ci può essere illegalità
senza mafia,ma se c’è mafia c’è illegalità.
La mafia nelle campagne è una realtà,anzi voglio essere più preciso:la
mafia qui non è stata toccata dalle inchieste della magistratura della
fine degli anni ottanta e novanta ,e recentemente le stesse imprese, e
il procuratore Vigna ha confermato,hanno denunziato il ruolo della
criminalità organizzata sulle aziende agricole italiane.
Se a Palermo città la mafia ha ricevuto colpi duri e seri lo stesso non
si può dire per le province di Trapani,Agrigento, Caltanissetta, e nella
stessa provincia di Palermo, dove, anche se risultati apprezzabili sono
stati conseguiti, ancora la lotta tra stato e antistato è impari.
La condizione di isolamento che si registra attorno alla magistratura
rende più complicata l’azione di prevenzione e di repressione.
Dalle inchieste della magistratura emerge che la campagna è stata sempre
il bene rifugio dei mafiosi:qui trascorrono la latitanza,qui riciclano
gran parte dei soldi sporchi (si veda la quantità di terreni
confiscati), qui si trasformano in imprenditori,qui partecipano agli
affari o organizzano gli stessi.
Ho la sensazione che in alcune province il potere mafioso esprima la
stessa forza che aveva alla fine degli anni settanta,e chi ha vissuto
quegli anni a Palermo sa di cosa parlo.
Un episodio realmente accaduto lo spiega bene.
Un compagno mi ha raccontato che un noto imprenditore settentrionale ha
impiantato una azienda agricola in un comune dell’entroterra. Una notte
viene derubato delle macchine e di tutte le barbatelle che in quei
giorni dovevano essere utilizzate per impiantare il vigneto.
La notizia si sparge come un venticello nel paese, ma non succede nulla.
Dopo qualche giorno i macchinari ritornano,le barbatelle vengono
piantate,tutto come per incanto torna sereno.
Andate a guardare gli organici di quella azienda: ora nel libro paga ci
sono molti rappresentanti della famiglia mafiosa di quella zona. Il
mistero è spiegato.
Mi chiedo:ma l’unico a non sapere le cose che mi sono state raccontate è
il maresciallo di quel paese oppure siamo in pieno sistema di potere
mafioso? Ma questa volta non vale l’alibi dell’omertà perché
l’imprenditore non è siciliano. Questa è la mafia, o meglio questi sono
i mafiosi in carne e ossa.
Io non ho il diritto di mettere a repentaglio la vita di nessuno ma
pongo il problema di come reagire a questo stato di cose che è molto più
diffuso di quanto si possa immaginare.
E’ per questo penso sia necessario rilanciare l’iniziativa contro la
mafia perché in alcuni territori se non c’è la Cgil non c’è antimafia.
Le condizioni di intimidazione di alcune realtà territoriali sono quelle
della Sicilia di Rizzotto e di Carnevale.
Noi non vogliamo eroi,ma abbiamo il dovere non solo morale di reagire
perché sappiamo che la ricchezza attrae la mafia ma che sono i
condizionamenti ambientali che concorrono a darle impunità, e il nostro
comparto presenta tutte le condizioni economiche,culturali,ambientali
che lo rendono esposto alla mafia allo stesso modo come è esposta
l’edilizia.
Negli ultimi anni è cresciuta una cultura antimafia ,non siamo più ai
tempi in cui si diceva che la mafia non esiste,ma molto ancora c’è da
fare.
Molte remore a investire in Sicilia vengono proprio dal problema della
sicurezza,e il sindacato è tra i pochi soggetti sociali che può dare un
contributo reale per creare condizioni favorevoli con la propria azione
di denunzia e con la pratica dell’azione sindacale.
A ben riflettere battersi per i diritti, per la partecipazione,per
migliori condizioni di vita significa contrastare soprusi e
prevaricazioni, liberare e fare progredire interi territori.
Credo che si possa dire che in questi tre anni le cose più pregevoli che
ha fatto il gruppo dirigente della Flai siciliana sono due:la
definizione di una proposta per lo sviluppo del settore
agro-alimentare-ambientale e la proposta per una forestazione
produttiva.
Le due cose si tengono perché sono le due facce della stessa medaglia
quella della qualità.
Esprimo qui la soddisfazione per il risultato dello sciopero dei
forestali e per la manifestazione di mercoledì 3 marzo.
Osservo un crescendo nella capacità di mobilitazione dei lavoratori
basta fare un raffronto tra lo sciopero di tutto il settore
dell’industria lo scorso anno e quello dei forestali dell’altro giorno,
la protesta monta perché si avverte la sostanziale stagnazione dei
problemi l’incapacità di dare risposte in positivo..
La cosa che mi ha colpito di più non sono gli oltre diecimila
manifestanti, ma il fatto che in migliaia hanno aspettato la fine del
confronto con il governo per ascoltare le conclusioni alle quali eravamo
approdati,e hanno dimostrato una passione e una solidarietà nei
confronti del sindacato unitario che non si vedeva da molti anni.
Con il governo abbiamo siglato un accordo con il quale la giunta
regionale assume l’impegno di riformare la legge sulla forestazione. Si
tratta di aumentare la superficie boschiva , di coordinare tutte le
risorse finanziarie,di stabilizzare i lavoratori forestali prosciugando
tutti gli spazi che si configurano come assistenziali.
A regime pensiamo a una riduzione di circa 15000 addetti degli attuali
35000 che affollano le fasce dei lavoratori occupati.
E’ del tutto evidente che noi esprimiamo un cauto ottimismo rispetto a
una trattativa che è tutta da svolgere. Una cosa è certa la nostra non è
una proposta assistenziale!
La nostra proposta deve essere accompagnata da una legge sulla montagna
e da misure per favorire l’agriturismo e il turismo eno-gastronomico .
E’ stato bello vedere numerosi sindaci di destra come di sinistra , che
con i gonfaloni erano con noi nel corteo, sostenere le nostre
ragioni,che sono quelle di gran parte delle popolazioni della fascia
montana della nostra isola.
Conosciamo tutti i rischi del nostro settore: il caso Parmalat, Cirio,
Ferruzzi , Italgrani e poi la mucca pazza ,il pollo alla diossina,il
vino al metanolo sono le tante esperienze che affinano le nostre
capacità e che però non riescono a scoraggiarci dal ricercare gli
aspetti positivi sui quali improntare la nostra iniziativa.
Siamo un grande sindacato di categoria che ha fatto la storia del
movimento sindacale di questa regione ma anche di tutte le battaglie di
emancipazione e di civiltà.
Il lavoro che abbiamo fatto in questi anni con pazienza certosina
comincia a dare i suoi frutti e in vista degli importanti appuntamenti
internazionali,allargamento dell’Europa a 25 e creazione dell’area
Euromediterranea di libero scambio,comincia per noi,comincia per la
Sicilia una vera e propria corsa contro il tempo per arrivare a questi
appuntamenti avendo risolto tutti i nostri atavici ritardi.
Stiamo delineando una strategia che al di fuori di qualunque
“bisognistica e occorristica” ha individuato una proposta ,i
protagonisti,gli alleati , che nel nostro caso sono i consumatori e gli
ambientalisti.
La manifestazione di oggi vuole dare forza a questo ragionamento e
incoraggiare la nostra azione.
Sono grato a nome di franco Chiriaco e di tutta la Flai al compagno Guglielmo Epifani che con la sua presenza oggi qui ci incoraggia ad andare per questa strada.