Relazione di Salvatore Lo Balbo,
segretario generale della Flai Cgil della Sicilia,
al direttivo regionale
Ringrazio i capilega, i segretari CGIL territoriali, la CGIL Sicilia, e la Flai Nazionale per la partecipazione a questo direttivo.
Un altro sentito ringraziamento a tutti coloro i quali si sono impegnati in occasione delle sciopero regionale del 4 Novembre dei lavoratori agricoli.
Oggi il in Italia si svolgerà lo sciopero nazionale sugli stessi motivi di quello regionale.
La nostra mobilitazione è stata un’ottima anticipazione di quello che la nostra categoria è in grado di mettere in campo non solo per difendersi dagli attacchi del Governo e del padronato, ma anche per porsi obbiettivi di miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita di migliaia di donne e uomini che lavorano nel nostro comparto.
Stamane la finanziaria approda in aula al Senato. Già all’interno del centro destra abbiamo aperto le prime brecce per determinare la cancellazione dell’art. 147 e finalmente il centro sinistra comincia a sostenere la nostre richieste.
Penso che sia opportuno fare il punto della situazione, esplicitando le seguenti richieste:
· abrogazione dell’art. 147 della finanziaria 2005 e successiva apertura delle trattative per il riordino del sistema assistenziale, previdenziale e contributivo del settore agricolo;
· apertura delle trattative per la firma del CCNL del settore agricolo dove si chiede che il lavoro venga assimilato al lavoro dipendente degli altri settori.
Nei prossimi giorni sono previste altre iniziative, fino ad una eventuale manifestazione nazionale.
Mentre noi ci mobilitiamo su questi argomenti, le nostre controparti capeggiate da Confagricoltura, Coldiretti e CIA chiedono
· che siano date maggiori garanzie ai redditi derivanti da produzioni chiaramente “fuori mercato”;
· che venga abbassato ulteriormente “il costo del lavoro”già tra i più bassi d’Europa (siamo i cinesi del vecchio continente);
· ché vengano concessi ulteriori condoni previdenziali, premiando in tal modo gli imprenditori che praticano l’illegalità come mezzo di una competitività arcaica.
Abbiamo già avuto modo di sottolineare, nei giorni scorsi, che i produttori agricoli rappresentano una categoria sociale troppo generica.
Una cosa sono le ragioni delle figure miste e dei piccoli produttori, che a causa della loro condizione di micro-economia hanno problemi serissimi di valorizzazione economica dei loro prodotti, un’altra è la condizione delle medie e grandi aziende che producono quantitativi “fuori mercato” con bassi investimenti e, sfruttando l’assistenzialismo derivante da un uso distorto delle risorse pubbliche, riescono ad avere redditi soddisfacenti.
Con chiarezza dobbiamo separare le ragioni dei primi dalla speculazione dei secondi e, con altrettante forza dobbiamo dire che le medie e grandi aziende non sono tutte uguali. Ci sono anche le medie e grandi aziende che producono per il mercato, per vendere i loro prodotti ai consumatori, che investono nei processi produttivi e nei prodotti che innovano.
Ci sono invece – come è largamente noto - medie e grandi aziende che producono burocrazia politico-affaristica finalizzata a speculare sugli aiuti comunitari, sulle leggi nazionali e regionali, che praticano l’evasione previdenziale e contrattuale, che non curano la qualità alimentare e sono pronti a sofisticare gli alimenti, a praticare la macellazione clandestina, a irrorare la frutta con prodotti chimici pochi giorni prima della raccolta e magari a chiedere a qualche “colletto bianco” truffaldino la certificazione biologica.
Ci troviamo in un settore dell’economia dove la clandestinità economica spesso è una regola e non l’eccezione e dove raramente questa clandestinità non è controllata dalla mafia.
La mafia e la cultura che essa produce sono i principali fattori di arretratezza che condizionano notevolmente lo sviluppo del comparto agro-alimentare-ambientale.
Non approfondirò in questa sede questo argomento poiché, ad esso, verrà dedicato nel IV congresso della FLAI regionale uno specifico dibattito.
Questi elementi insieme con quelli derivanti da un crescente sviluppo del prodotto interno lordo del comparto sono glia ambiti dentro i quali operiamo.
Negli ultimi quindici anni il comparto agro-alimentare-ambientale della Sicilia ha raddoppiato il prodotto lordo vendibile e ha determinato con maggiore decisione la sua identità.
Ovviamente rimangono sacche di sofferenza, ma oggi il “made in Sicily” non si identifica con i prodotti nella nostra regione, e nemmeno con i prodotti tessili.
Il “Made in Sicily”, in Sicilia, in Italia, in Europa e nel mondo oggi si identifica con il vino imbottigliato, con l’orto-frutta prodotta, con gli agrumi, con l’uva da tavola, con il florovivaismo, con i prodotti lattiero-caseario, con la produzione e la lavorazione delle carni, con la vivaistica ornamentale, con l’allevamento o la coltura dei prodotti ittici, l’agriturismo, la valorizzazione del territorio.
In pratica, negli ultimi quindici anni, quello che si sintetizzava con l’espressione “sviluppo agro-alimentare-ambientale” si è iniziato a realizzare.
Questa fase produttiva ed economica si evidenzia, appunto, con il raddoppio del PIL e della PVL, con una stabilizzazione degli occupati, con la presenza di decine di migliaia di giovani occupati, con il notevole incremento dei consumi interni nella regione dei prodotti “made in Sicily”, con la presenza di investitori non siciliani che hanno avuto convenienza ad investire in Sicilia.
Questo non vuol dire che il comparto Agro-Alimentare-Ambientale sia diventato l’eldorado della nostra economia regionale, ma sarebbe un errore politico gravissimo sottovalutare e non valorizzare le trasformazioni economiche. In questo contesto le stesse debolezze produttive presenti assumono un significato diverso.
Se l’uva, o i limoni o qualche altro prodotto stagionale ortofrutticolo sono pagati al piccolo produttore a prezzi bassissimi, una delle soluzioni da adottare è associarsi per produrre, per commercializzare, per vendere. Dare qualche contentino d’assistenza da parte del pubblico potere assume solo un significato “politico” non “economico”. Questa situazione si riproporrà il prossimo anno con le identiche connotazioni.
Per le medie e grandi aziende, invece vuol dire continuare a produrre ingenti quantitativi di materie prime che mai nessuno consumerà. Vuol dire, in sintesi, finanziare i redditi di coloro che sfruttano in maniera scientifica il denaro pubblico, danneggiando in tal modo le produzioni qualitativamente migliori di piccoli produttori e delle figure miste.
La FLAI e la CGIL devono far sentire la loro voce su tali questioni.
Le nostre analisi e le nostre idee devono essere divulgate non solo quando ci sono le fasi acute delle ipotetiche crisi, ma tutto l’anno, durante tutte le fasi della produzione, della manipolazione, della trasformazione e del conferimento del prodotto finito ai consumatori.
Pensare in termini di filiera, di territorio, di sicurezza alimentare, di certificazioni dei processi e dei prodotti di verticalizzazione produttiva, di distretto è il modo politicamente corretto di affrontare i problemi del comparto.
In questo modo daremo il nostro contributo allo sviluppo di una cultura produttiva e non assistenziale.
Questi a mio avviso, sono i temi del nostro congresso regionale ma anche dei congressi confederali.
Il comparto agro-alimentare-ambientale è già volano di sviluppo economico, sociale e culturale della nostra regione e può esserlo ancora di più.
La nostra organizzazione si è adeguata a questo mutamento della realtà economica e produttiva?
Le nostre azioni, la nostra agenda, la nostra presenza territoriale, la nostra attività giornaliera, sia come FLAI sia come CGIL, sono proporzionate a questa fase economica e produttiva?
A queste domande la FLAI siciliana ha già risposto negativamente fin dal convegno
svoltosi a Catania nel 2000, con la relazione di Italo Tripi e le conclusioni di Sergio Cofferati.
Da anni ci impegniamo affinché questa categoria importante della CGIL (1/3 degli iscritti attivi) abbia un ruolo più vivace ed incisivo tra i lavoratori e le lavoratrici del comparto.
Oggi alla vigilia del nostro IV° congresso e del XV congresso della CGIL regionale e delle CGIL territoriali con maggiore decisione dobbiamo assumere orientamenti e fare scelte politiche che ci permettano di dare voce ai 170.000 lavoratori e lavoratrici, tecnici, operai, quadri ed impiegati, giovani e meno giovani che ormai da anni hanno legato la propria prospettiva occupazionale, professionale e di vita a questo settore.
Ovviamente tantissime sono le problematiche, e il documento congressuale predisposto dalla FLAI della Sicilia tenterà di dare risposte alle tantissime domande che tutti noi giornalmente ci poniamo. Sono certo che questo documento, che sarà votato nei congressi provinciali e regionali della FLAI siciliane, sarà anche apprezzato dalla confederazione.
Oggi però, fatta questa analisi sul comparto, siamo chiamati a riflettere sulla nostra capacità organizzativa di sindacalizzare i lavoratori e le lavoratrici e di fornire ad essi, oltre ad un’adeguata e moderna attività di assistenza, anche una forte motivazione per la tutela e il miglioramento delle condizioni di lavoro e di contrattazione aziendale.
170.000 addetti, 57.000 iscritti alla FLAI, più di 235 presenze comunali, 130 presenze aziendali, 250 tra RSA e/o RSU 150 RLS. Questi in sintesi sono i numeri della FLAI.
Ma se focalizziamo la nostra presenza in determinati punti dello sviluppo agro-alimentare-ambientale della regione, qualche problema si inizia a registrare.
Lo sviluppo di cui ho parlato ha queste caratteristiche geo-economiche:
a) è uno sviluppo prevalentemente nella fascia costiera;
b) è uno sviluppo che caratterizza determinate zone interne.
Provo a dare visibilità a quelle zone geografiche che chiamerò “distretti sindacali”
1. Mazara del Vallo, Marsala, Campobello (industria alimentare, olivicoltura, attività ittica, vitivinicola, florovivaismo);
2. Alcamo, Contessa Entellina, San Giuseppe Jato, San Cipirrello (vitivinicola ed ecologico);
3. Parco delle Madonie (ambientale, industria alimentare, agri-turismo);
4. Falcone e zona Tirrenica (vivaismo e agrumicoltura);
5. Zona Ionica (florovivaismo e agrumicoltura);
6. Triangolo agrumicolo CT/SR/CLT;
7. Pachino, Noto, Avola, Porto Palo (orticoltura, vitivinicolo, zootecnico, industria alimentare);
8. Vittoria, Comiso, Acate (ortofrutticolo, vitivinicolo, zootecnico, industria alimentare);
9. Niscemi, Butera, Riesi (orticoltura, vitivinicolo);
10. Canicattì (uva da tavola);
11. Menfi, Sciacca, Santa Margherita (vitivinicolo, agrumicoltura, olivicoltura);
12. Troina, Tortorici (zootecnia).
Questi sono solo alcuni esempi di veri e propri distretti che “spontaneamente” in tutti questi anni hanno selezionato una loro identità produttiva.
Ad essi vanno aggiunte singole nicchie geografiche produttive d’eccellenza dove, oltre alla sinergia territoriale, si è sviluppata una vera e propria identità produttiva.
L’uva di Mazzarone, la pesca di Bivona, il pomodorino di Pachino, i ficodindia di San Cono o di Santa Margherita Belice, i prodotti caseari del Belice, l’arancia rossa di Scordia, le fave di Leonforte, L’eno-gastronomia di Castelbuono, il bianco d’Alcamo, il marsala di Marsala, il passito di Pantelleria, il cannolo di Piana degli Albanesi, la cioccolata di Modica, il vivaismo ornamentale di Falcone, le fragole di Marsala, il pesce di tante marinerie, il pistacchio di Bronte, la mandorla di Avola, il caciocavallo di Ragusa ecc.. ecc..
Praticamente in Sicilia è avvenuto quello che si è verificato nel resto d’Italia, ovvero la valorizzazione del territorio, la valorizzazione dei prodotti, l’identificazione geografica e lo sviluppo economico e produttivo intrecciato con la tradizione.
Questo sviluppo è stato anche certificato e valorizzato dalle normative comunitarie e nazionale vigente.
Oggi in Sicilia abbiamo finalmente una zona che produce vino DOCG, 22 vini a DOC, 200 prodotti catalogati come “tipici” dal Ministero dell’Agricoltura, decine di DOP, IGP, 2 certificazioni Emas. Siamo la regione d’Europa con il maggiore numero di aziende che producono e manipolano con tecniche biologiche.
Questo sistema economico e produttivo convive però con la clandestinità economica, con l’evasione contributiva e contrattuale, con una burocrazia insufficiente, con la mafia, con una parte di imprenditoria che è in grado di mobilitare centinaia di disperati per chiedere l’ulteriore condono dei contributi previdenziali.
La FLAI e la CGIL, in questa fase congressuale, devono riflettere sulla necessità di
definire una proposta politica di presenza sindacale e organizzativa nella Sicilia che produce alimentazione e ambiente, e il “made in Sicily”.
Ridefinire questo ruolo vuol dire affermare politicamente e sindacalmente un protagonismo nel territorio e nelle aziende medio-grandi dotandosi di una migliore presenza territoriale, con sedi e mezzi.
Nei distretti sindacali che ho elencato (sono solo un primo approccio) la FLAI e la CGIL devono fissare l’obiettivo di avere, oltre che più efficienti strutture che erogano servizi, anche politiche, uomini e risorse in grado di produrre contrattazione territoriale ed aziendale, capacità di organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici.
Ci sono distretti sindacali citati dove il tasso di sindacalizzazione territoriale è massimo del 20% e quello aziendale è bassissimo.
E’ ovvio che, fissato l’obiettivo politico ed economico, dobbiamo misurarci con aspetti interni all’organizzazione: reperimento delle risorse economiche, ambiti territoriali, competenze di struttura, volontà dei singoli compagni.
Nonostante i se e i ma che avremo di fronte, dobbiamo avere la consapevolezza che la FLAI e la CGIL siciliane non possono essere solo il sindacato che affronta le crisi e i rapporti con una classe politica spesso inefficiente.
Essere il sindacato della Sicilia che produce, ci obbliga ad esserlo sia nella parlandone sia operando nelle aziende che sono i tasselli di questo sviluppo. Fare contrattazione sindacale, occuparci di salario, orario, classificazione, turni, straordinari e quando capita anche di CIG o di licenziamenti è il modo normale di fare sindacato.
Interloquire e contrattare a livello regionale e provinciale con Confindustria, Confagricoltura, Coldiretti, CIA, Federpesca, Confcommercio, Confesercenti non devono essere realizzati solo in occasione di “patti tra i produttori”, ma devono essere praticati per sottoscrivere accordi sindacali dove si affrontano i temi della competitività internazionale, dell’innovazione, delle infrastrutture, del credito, del modello contrattuale.
Care compagne e cari compagni mi avvio alla conclusione di questa relazione che, ovviamente risente del clima congressuale.
Il tema che poniamo all’attenzione della FLAI nazionale, della CGIL regionale, delle CGIL territoriali e delle centinaia di capilega che costantemente fanno grande questa organizzazione, è quello della necessità di provare a ragionare, prima (ed è quello che iniziamo oggi a fare), durante e dopo il congresso, delle strategie e degli strumenti indispensabili a tutelare le condizioni di vita e di lavoro di migliaia di lavoratrici e di lavoratori.
La FLAI regionale della Sicilia con questo direttivo straordinario (straordinario per la qualificata partecipazione) aprirà una propria fase interna e di confronto con il resto della CGIL che porterà alla approvazione di un documento congressuale politico e di un dispositivo organizzativo.
Tale atto aprirà la strada a scelte politiche-organizzative che andranno nella direzione di:
1) individuare con le strutture territoriali di categoria e confederali i distretti sindacali;
2) focalizzare le politiche territoriali e di presenza aziendale;
3) individuare i compagni da utilizzare in questo progetto;
4) incanalare le risorse economiche ordinarie e straordinarie in questa direzione:
5) progettare una adeguata attività formativa di base e quant’altro utile a raggiungere lo scopo.
Già oggi ci sono distretti sindacali che possono cominciare ad operare in tale direzione, e subito dopo il congresso regionale della CGIL dobbiamo dare avvio a tale esperienza.
E’ chiaro che questi distretti sindacali non si pongono come nuovi livelli organizzativi, come livelli autonomi, congressuali o di canalizzazione. Essi saranno solamente luoghi di iniziativa, di coordinamento politico-sindacale e di contrattazione aziendale.
Cessata l’esigenza di questo impegno straordinario, essi cesseranno di svolgere il loro ruolo.
In questi mesi siamo certi di trovare nella confederazione (e a tutti i livelli) l’attenzione adeguata per il rilancio di una nuova stagione di elaborazioni di iniziative e di lotta sindacale.
Penso che lo slogan del XV congresso della CGIL RIPROGETTARE IL PAESE possa trovare nella nostra categoria tutta la coerenza possibile, utile a ridare alla FLAI, erede della Federbraccianti, della Filziat e della Federterra, quel ruolo storico indispensabile per determinare un futuro di prospettive e di professionalità per decine di migliaia di lavoratrici e di lavoratori siciliani.