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La flai-cgil della Sicilia ha scelto di ospitare nel proprio sito Internet un

Angolo dedicato alla poesia.

 

GLI AUTORI

 

"I giovani niscemesi e la CGIL"  di Melania Cultraro

Il capolega

Si, alla poesia.

Pur dovendo affrontare tanti problemi - dalla schiavitù allo sfruttamento, dal lavoro al salario, dal collocamento all'orario, dalla lotta alla mafia alla lotta per un lavoro legale - questa fetta di "proletariato" ha trovato il tempo e la "vena" per raccontare e cantare le storie, le condizioni di lavoro e di vita, i sentimenti di singoli e di intere comunità.

Nei decenni passati, e speriamo anche per il futuro, la poesia dei braccianti e per i braccianti è stata uno strumento di lotta e di speranza.

Con questo sito vogliamo costruire una storia dei braccianti attraverso i versi di poeti noti o sconosciuti, analfabeti o intellettuali.

"Poeta" del bracciante sarà chiunque ha messo o metterà in versi la vita di questa categoria o di singole persone che in Sicilia e nel resto dell'Italia e del mondo hanno svolto un ruolo essenziale per la emancipazione del mondo del lavoro e che può continuare ad essere una prospettiva di vita e di lavoro dignitoso per migliaia di cittadini.

A quanti collaboreranno per dare corpo a questa pagina un grazie da parte dei braccianti e della flai-cgil della Sicilia, già federbraccianti, già federterra.

 

Le braccianti

Il Calendario della Terra

Campagna

I Lavoratori

Il Mietitore

Braccianti

Divorzio di Stato - Appendice

Poeta delle ceneri

Quel mattino d'estate

Eroi

Sciopero

La Razza

 Milano Tre 

 

 

 

 

 

 

 

 

Volpoca ANONIMO SICILIANO 
SEBASTIANO TANASI ANONIMO di SAN FRATELLO (ME)

Raffaele Carrieri

Salvatore Armando Santoro

Pier Paolo Pisolini

Ermanno Raso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il capolega

Uomo, padre, prete,

a volte santo,

a volte diavolo,

t’arrabbi...fai pace,

spieghi, convinci.

Aiuti, dai forza alle persone

ad essere persone,

a rispettarsi,

ad essere rispettati.

Volpoca

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Le braccianti

Mani ruvide, screpolate dalla fatica,

agili...., accarezzano i frutti della grande madre .

Volti bruciati dal sole,

sorrisi come rose di maggio,

sguardi vigili ...., attenti.

Gentili nell’animo, dimesso l’atteggiamento.

Dall’apparenza indifese.

Ma.... qual forza sboccia nel momento cruciale.

Determinanti, irremovibili,

pazienti e sapienti nell’ora decisiva.

Volpoca

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IL CALENDARIO DELLA TERRA

"La terra dici: "dunami ca ti dugnu"

La terra dice: "dammi e io ti restituisco

Sant’Antoni la gran friddura,

Per Sant’Antonio (17 Gennaio) il gran freddo,

San Lorenzu la gran calura,

Per San Lorenzo (10 Agosto) il gran caldo,

I’unu e I’atru pocu dura.

L’uno e l’altro durano poco. 

Pi San Paulu

Per San Paolo

lu tirrenu é ancora caudu

il terreno è ancora caldo.

Pi San Brasi chi ha la

Per San Biagio (3 Febbraio)

cu’ bavi li ligna si li trasi.

chi ha la legna fuori, la metta al riparo.

Pi Santa Caterina

Per Santa Caterina

'na musca ún camina.

gli insetti non sono ancora nati.

Pi Santa Rusalia

Per Santa Rosalia (4 Settembre)

la racina tacchia.

l’uva comincia a maturare.

Pi Santa Chiara

Per Santa Chiara (10 Febbraio)

ogni stizza é 'na quartara.

ogni goccia di acqua è quanto un’otre.

Pi San Micheli passa la furia di lu vigneri

Per San Michele (29 Settembre) bisogna lasciar da parte la vigna

e veni chidda di lu cunseni.

e viene il periodo per preparare il terreno per la semina.

Pi San Micheli la racina é comu lu meli.

Per San Michele l’uva è come il miele).

Pi San Micheli l'omu a lu cunseri,

Per San Michele l’uomo prepara la terra per la semina

la fimmina a lu cannileri (ricamo).

da seminare, la donna ricama al lume di candela.

Pi San Franciscu nesci lu cavudu

Per San Francesco (4 Ottobre) finisce la bella stagione

e trasi lu friscu.

e comincia a far freddo.

Pi Sant ‘Agustinu

Per Sant’Agostino

metti lu zuccaru 'nta lu vinu.

metti lo zucchero nel vino.

Pi San Simuni metti lu cupuni.

Per San Simone (28 Ottobre) bisogna turare la botte.

Pi San Martinu ogni mustu é vinu

Per San Martino (11 Novembre) ogni mosto e vino

Pi San Martinu

Per San Martino

megliu sutta terra lu furmentu

e meglio aver seminato

ca a lu mulinu

che portare il grano al mulino.

Pi Sant’ Antoni li simenti su' ancora boni.

Per Sant’Antonio si può ancora seminare.

Pi Santu Niria

Per Sant’Andrea (30 Novembre)

u viddannu siminatu l’avia

si può seminare un tipo di grano

ma a tumminia.

detto "tumminia".

A prima (semina) pi tutti i Santi,

Si comincia a seminare per tutti i Santi,

l'urtima pi Sant’Andria.

l’ultima semina per sant’Andrea ( il 30 novembre).

Cu'ietta a robba assà díventa riccu,

Chi getta nella zolla grano abbondante diventa ricco,  

cu ' 'un nni ietta mori di pitittu.

chi, invece, ne getta poco muore di fame.

Cu'simina pi Santa Lucia

Chi semina per Santa Lucia (molto tardi)

nun porta furmentu pi la via.

Avrà un cattivo raccolto.

Cu'nasci nta lu misi di Natali,

Chi nasce nel mese di Dicembre è fortunato.

nta la so' vita nun bavi mali.

nella sua vita non avrà del male.

Tri sunnu li festi principali:

Tre sono le feste principali:

Pasqua, Natali

Pasqua, Natale

e quannu s'ammazza lu maiali.

e quando si uccide il maiale.

ANONIMO SICILIANO 

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CAMPAGNA

Nta 'na matina ri nfriddu Jinnaru,

In una mattina di freddo gennaio

spunta, affruntatu, ‘n ciuriddu ri cira;

spunta, timido, un fiore di cera;

’n tappitti virdi di villutu raru

un tappeto verde di velluto raro

nta 'na cirenna di mennuli e pira.

In un campo di mandorli e pere

Vola, cantannu, ri prima matina,

Vola, cantando, di prima mattina

nta ncelu cristallinu, d'alabastru,

in un cielo cristallino, l’alabbastro,

na nica, prisuntusa cappiddina

una piccola, presuntuosa …………

ca cimiddìa supra di l'agghiastrii.

Che svolazza sopra l’alabastro.

Lu suli joca cù la muddurata

Il sole gioca con la brina

e u prainu si carrica di ciuri

e il prugno si carica di fiori

mmenzu di 'sta natura mniaculata,

in mezzo a questa natura immacolata

nasci, stintannu, lu primu lauri.

nasce, con fatica, il primo lauro.

Calatu, co' zappuni nta li manu,

Curvato, con la zappa nelle mani,

lu jurnataru scruta lu so pani

il giornaliero (bracciante) si guadagna il suo pane

e vagna lu maisi ri cianu

e bagna il grano della pianura

cu lu sururi amaru re viddami!

Con il sudore amaro del villano!

'Sta terra, 'sti vadduna,’sti balati,

Questa terra, queste valli, queste basole,

‘sti ciuri, ‘sti rivetta, 'sti puddari,

questi fiori, questi rovi, queste macchie,

sù unguenti assai priziusu,ricircati,

sono unguenti molto preziosi, ricercati,

sempri cciù scarsi e sempri cciù rari!

Sempre più scarsi e sempre più rari.

SEBASTIANO TANASI

Dal libro MAJARIA - Edizione dell’Ariete 1989 – Siracusa

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I LAVORATORI

Dim, dim ’na causa, o zu Arfin,

Ditemi, ditemi una cosa, zio Alfio,

Li causi di sta rabba cam van?

Le cose di questa proprietà come vanno?

Duoch ’n terra gh’è u sciesch senza vin,

Vicino a voi per terra c’è il fiasco senza vino,

Nta li bertuli gh’è aulivi senza pan.

Nella bisaccia vi sono olive senza pane.

A jiea la dibulozza vaa e vien.

A me la fame va e viene.

Pircò sunaa u rusari Ciruman.

Perché ha suonato il rosario Ciruman.

Savai cam ’nfinisc stumatin?

Sapete come finisce questa mattina?

Gh’ami di nuov a la terra sin van.

Gli uomini di nuovo se ne vanno a lavorare alla terra.

ANONIMO di SAN FRATELLO (ME)

Dal libro di Luigi Vasi di Studi Filologici

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IL MIETITORE

Si vulai mierir fai prest a ’ntuorn,

Se volete mietere fate presto attorrno,

Mitai a Lulu, chi Hient ni n’ virai;

mettete a Lulu, che non vedrete il campo;

Rau faa pugn fitt, grasc e giaruorn,

Lui fa pugni fitti, grossi e pieni,

E dana passa, strazza u tirrai.

E dove passa straccia la terra.

Gh’abbesta darm di mierir ’ntra un giuorn,

Gli basta l’animo di mietere in un giorno

Quasi galant, ’na grogna di fai:

quasi galante, un covone di fieno:

Ana virai lalu, ’nficcagghi ’ta u fuorn,

Dove vedete pagnotte di farina, infilateli nel forno,

Daggh ’na ’nquadiera, e vi mangiai.

Dategli una scaldata, e ve li mangiate.

ANONIMO DI SAN FRATELLO (ME)

Dal libro di Luigi Vasi di Studi Filologici

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Braccianti

 

Al chiuso restarono le donne

come ombre di rondini

sui muri di calce.

Su moli e gettate

nessuno pianse

la partenza dei braccianti.

 

Raffaele Carrieri

( http://www.club.it/autori/grandi/raffaele.carrieri/indice-i.html )

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Divorzio di Stato

 

Quante storie, quante balle,

quante inutili parole

e che sterili discorsi:

se il divorzio è di stato

certamente è regolare,

la Città del Vaticano,

che protesta urla sovente,

non ha nulla da obbiettare,

non s’indigna, non dissente.

 

All’alba degli anni ‘50

partivano treni dal Sud

pieni di tanti braccianti

di manovali e giovani

con chitarra e mandolino,

con le valige inspaghettate,

piene di soppresate e pecorino.

 

Andavano a “Melano”,

o in tanti altri centri industriali:

cercavano lavoro, del pane per i figli.

Partivano per la Germania occidentale,

salpavano per il pianeta americano,

o per il continente australiano,

qualcuno forse andava più lontano.

Nessun Papa da sotto il baldacchino

reagiva alla disgregazione familiare.

I parroci anzi erano contenti

ed anche i sagrestani, compiacenti

suonavano a lungo le campane.

Le rimesse erano oro brillante

riscattavano la classe degli oppressi,

ma gonfiavano anche le casse delle banche

(del Nord soprattutto e più di tutto),

sostentavano le curie e le congreghe.

 

“Terroni“, “maccaroni”, “mandolino”;

ma l’emigrante ci rideva sopra,

fingeva a volte di non aver capito

e le famiglie intanto “divorziavano”

nei fatti, per legge si sfaldavano.

 

E spesso al Sud  più non ritornavano

perché avevan messo su nuove famiglie

con nuove mogli e tanti figli e figlie

o erano rimasti in fondo a un miniera

o volati giù da un grattacielo

o stritolati dalle pressse industriali.

 

E nuovi pargoli allietavano le case!

Amore solo per corrispondenza?

Ma il seme allora non si congelava

e la sera, nei rioni popolari,

il clero, anticipando i tempi,

in abiti civili al fresco si sedeva

in mezzo ad una schiera di bambini

felici tra tanti zii e tanti cugini,

tra tante spose a forza divorziate.

.

“Figli del prete” si sussurava in giro,

“miscredenti” urlavan le vecchiette

e si segnavano turbate, sgranocchiando

un Pater, un’Ave, qualche Gloria,

invocando la grazia per quei peccatori.

 

Infine il divorzio si ratificò per legge:

la Chiesa, i preti con in testa il Papa,

i bigotti, la DC, il clero e le congreghe

urlarono alla scomposizione familiare.

 

Com’eran buffi a predicar dai pulpiti

ad urlare dietro ai santi in processione

col popolo che non stava più a sentirli,

che “NO” votò compatto al Referendum

indetto dai comitati dei bigotti,

dai servi sciocchi e reazionari del regime

che volevano abrogar la legge sul divorzio.

 

Quand’era lo stato a incoraggiar l’emigrazione

con la piaga cruda della disoccupazione,

con la legge agraria sempre rinviata,

con i baroni ed i latifondisti assenti

che lasciavano la campagna abbandonata,

che non spartivano le terre ai contadini,

che l’avrebbero curata e migliorata

per dare decoro e pane a mogli e figli;

quand’era lo stato con la sua incoerenza

a favorir la divisione tra moglie e marito

mai nessun comitato clerico-fascista,

nessuna congrega di preti e di bigotti,

nessun curia o soglio vaticano

avevano sollevato voce e mano,

non avevano mai stretto la briglia

per difendere l’unità della famiglia.

 

 

Salvatore Armando Santoro

( http://www.poetare.it/santoro2.html )

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Poeta delle ceneri

Come sono diventato marxista? 
Ebbene… andavo tra fiorellini candidi e azzurrini di primavera, 
quelli che nascono subito dopo le primule, 
– e poco prima che le acacie si carichino di fiori, 
odorosi come carne umana, che si decompone al calore sublime 
della più bella stagione – 
e scrivevo sulle rive di piccoli stagni 
che laggiù, nel paese di mia madre, con uno di quei nomi 
intraducibili si dicono “fonde”, 
coi ragazzi figli dei contadini 
che facevano il loro bagno innocente 
(perché erano impassibili di fronte alla loro vita 
mentre io li credevo consapevoli di ciò che erano) 
scrivevo le poesie dell'”Usignolo della Chiesa Cattolica”; 
questo avveniva nel '43: 
nel '45 “fu tutt'un'altra cosa”. 
Quei figli di contadini, divenuto un poco più grandi, 
si erano messi un giorno un fazzoletto rosso al collo 
ed erano marciati 
verso il centro mandamentale, con le sue porte 
e i suoi palazzetti veneziani. 
Fu così che io seppi ch'erano braccianti, 
e che dunque c'erano i padroni. 
Fui dalla parte dei braccianti, e lessi Marx. 
[…]

Pier Paolo Pisolini

( http://www.pasolini.net/ideologia01.htm )

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Quel mattino d'estate

 

Quel mattino d'estate

per mano con te,

nonno,

camminando sulla via selciata,

tu ed io,

le mie tante domande.

Poi la fine della strada,

il bosco misterioso e magico

abitato da fate e da gnomi...

la prima volta che vedevo il bosco.

Il profumo del fieno,

il canto dei braccianti

che si spegneva a mezzogiorno,

all'ora del pranzo.

I miei anni:

meno di due.

Le mie emozioni:

limpide immagini

dal sapore ineffabile.

Ci fossero ancora,

nonno,

gli gnomi a ricomporre i cocci

di una vita scardinata;

le fate del bosco a ricucire

con la bacchetta magica

quello strappo del tempo

che ci divise per l'eternità.

Ermanno Raso

( http://www.dantelaspezia.it/antologia.htm )

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                EROI

 

Mentre volavo giù da un grattacielo,

il mondo tutto intorno mi girava,

pensavo alla mia vita appesa a un pelo,

pensavo a chi lucrava e mi sfruttava.

 

Metà salario in chiaro, metà in nero,

costretto a risparmiar elmo e stivali

forse risparmieranno anche sul cero

che accenderanno il dì dei funerali.

 

“Suvvia qui hai un lavoro, cosa chiedi?

Al tuo paese neppure avevi questo,

qui vuoi robuste calzature ai piedi,

la sicurezza, la casa e tutto il resto”.

 

E intanto per la strada sta sfilando

un corteo d’altri morti, in tricolore,

a questo eroe nessuno sta pensando:

mandato a morte da uno sfruttatore.

 

Salvatore Armando Santoro

(Boccheggiano 02/10/2009 20.59)

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LO SCIOPERO

 

Arma dei poveri,

degli sfruttati,

di quanti

combattono

solo

con le proprie braccia.

 

Mezzo improduttivo

ma necessario

che non uccide,

ma trasforma

le strutture

di questa società.

 

               Salvatore Armando Santoro

                    (Aosta 4.2.1973)

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 APPENDICE

 (A “Divorzio di stato”)

 

A volte scrivi,

perché il cuore ti detta le parole

che nuove ti prendono alla gola

in quei momenti di lucida follia

quando ti assaltano mille riflessioni

per un filmato che la TV proietta,

per una storia che la verità poi scopre

di cui s’è persa ogni traccia e la memoria.

Si sopporta, però, nuova una beffa,

perché si scoprono le realtà nascoste

agli sfruttati tutti ed ai parenti

che a Marcinelle, e in tante altre miniere,

hanno visto perire padri e figli.

La vita d’un bracciante vale poco,

e l’intuisci tanto tempo dopo:

due quintali e mezzo solo di carbone

era l’utile dallo stato incamerato

per ogni bracciante disperato

costretto ad emigrar dal suo paese

per un tozzo di pane e quattro lire,

per conquistare libertà e decoro.

E quelle verità, che ho raccontate

in una lirica  qualche tempo indietro*,

mi schiaffeggiano con maggior violenza,

in modo feroce e prepotente,

mi umiliano, mi offendono

distruggono nel petto la coscienza,

nuove verità scoprono spietate,

nuova rabbia aggiungono al dolore

per quanto vale per la tua nazione

la vita oppressa di un lavoratore.

 

              Santoro Salvatore Armando

                                                             (Boccheggiano 26/11/03 12.23)

 

 

·         La lirica era “Divorzio di Stato”

·         Ricordo anche che Boccheggiano (situata nelle colline metallifere toscane) era terra di miniere ed i morti, per la scarsa sicurezza non garantita neppure dalle aziende dello stato, sono stati tanti e ricordati dalle lapidi artistiche nel locale cimitero.

 

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LA RAZZA

 

La razza è lì,

abbandonata sui barconi,

in balia dell'onda immane,

soli col mare

con la sua desolazione.

Il nostro seme

s'é sparso in ogni dove,

seme di civiltà che colonizza,

che porta civiltà col gas iprite,

col suono tenebroso dei cannoni.

Il nostro  gineceo sparso pel mondo,

gambe allargate,

virtù sempre violate,

quei geni in ogni dove seminati.

Ma come rondini tardive, a primavera,

son lì su quei barconi

nella promiscuità ammucchiati,

alla ricerca di radici antiche,

l'istinto li comanda e li sospinge,

figli di una progenie squallida e crudele

che gli occhi chiude e non li riconosce,

che oggi ancora in mare li respinge!

 

 

Salvatore Armando Santoro

Boccheggiano 04/03/2010 16:09:56

 

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         MILANO TRE 

 

Sulle impalcature il profumo della calce

ed il lezzo dei solventi

m’opprime.

Il cielo è scomparso dietro la nuvola

dei colori nebulizzati

ed anche il sudore

non riesce a sciogliere

gli schizzi del cemento

che impregnano il mio corpo.

Solo l’odore del sangue

a volte risveglia

la nostra percezione

d’essere ancora vivi.

 

  Santoro Salvatore Armando

   (Boccheggiano 09/04/2006 1.13)

 

 

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