ORTOFRUTTA


 

ORTOFRUTTA

LE PROPOSTE DI FAI CISL ,FLAI CGIL, UILA UIL

 

 

 

PREMESSA

 

La visione della categoria si impernia su fattori propri di tutto l’agroalimentare italiano, e addirittura mondiale. Sono valori immateriali, insiti anche nella produzione ortofrutticola del nostro Paese, con forti potenzialità di generare ricchezza.

 

Il settore si articola in molti ambiti merceologici e territoriali con una forte capacità di “specializzazione” ed eterogeneità delle produzioni che coprono i fabbisogni e gli orientamenti alimentari dei consumatori per l’intero anno; si caratterizza inoltre per la forte innovazione di processo: come le serre e le produzioni a pieno campo, e di prodotto: basti pensare al kiwi o al pomodoro ciliegino.

 

Ma la produzione ortofrutticola italiana non è destinata solo al consumo fresco. E’ infatti da sottolineare che l’innovazione tecnologica e le tecniche di conservazione alimentare hanno consentito di sviluppare i settori della surgelazione e della congelazione, nonché i segmenti della IV e V gamma, dei preparati e dei precotti, che assorbono una parte importante delle produzioni ortofrutticole tale da rappresentare un punto di riferimento per l’industria alimentare italiana, oltretutto passibile di ulteriori sviluppi.

 

Ortaggi, frutta, agrumi e verdura rappresentano quindi gran parte della nostra produzione agro-alimentare e qualificano il nostro Paese anche per il vissuto in termini di cultura, storia, tradizione gastronomica che connota i singoli prodotti, e che costituisce, assieme a grano, vino e olio, un “unicum” mediterraneo della produzione mondiale alimentare.

Questo “unicum” è la DIETA MEDITERRANEA, che insieme con altri pochi prodotti dell’apparato produttivo italiano veicolano nel mondo il concetto di MADE IN ITALY.

 

Occorre considerare inoltre che in Italia il tasso di obesità nella popolazione tra i 7 e gli 11 anni è arrivato al 30%: in questo contesto i concetti di  dieta mediterranea e made in Italy, non devono limitarsi nel recinto della qualità e del retaggio storico delle produzioni, ma devono contribuire a costruire un modello di  cultura alimentare, se non addirittura di stile di vita, del nostro paese, in cui frutta e verdura abbiano un ruolo rilevante, sia in termini individuali che sociali.

 

In ultima analisi, sono dieta mediterranea e made in Italy, con il loro intreccio di cultura e tradizioni, locali e nazionali, qualità e salubrità, il  nostro patrimonio da preservare (semprechè non rappresentino un marchio privo di contenuti affidabili). Questa immagine del nostro agroalimentare, così spiccatamente caratterizzata,  non è trasferibile in altre parti del Mondo.

         

Unici contenuti di questo auspicato “made in Italy” che, nella visione di FAI FLAI e UILA, potranno (e dovranno) essere trasferiti al resto del Globo, saranno il rispetto di leggi e contratti, di salute e sicurezza dei lavoratori, elementi anch’essi da legare indissolubilmente alle produzioni ortofrutticole, e alimentari in genere, del nostro paese.

 

Sarà quindi necessario, a cominciare dal settore ortofrutticolo italiano, cambiare prospettiva e sanare tutte le situazioni di illegalità eticamente inaccettabili e che oltretutto ostacolano il corretto sviluppo del settore.

 

Ciò non significa che la nostra visione non colga le relazioni sistemiche con il resto del Pianeta e la necessità di riequilibrare le disuguaglianze, i cui sintomi si evidenziano nel modo più doloroso ogniqualvolta viene a mancare dignità al lavoro. Pertanto locale e globale dovranno integrarsi in una globalizzazione che sia sostenibile e responsabile.

Riteniamo infatti che si possano privilegiare le produzioni di qualità certificata abbassando nel contempo i livelli di protezionismo europeo di cui i prodotti ortofrutticoli ancora usufruiscono. Fare ciò vuol dire anche aprire un nuovo rapporto con i paesi in via di sviluppo, produttori, come noi, di ortofrutta e che hanno il problema sia di incrementare i consumi interni sia di esportare produzioni. L’apparato produttivo e i prodotti italiani possono diventare per questi paesi punto di riferimento importante per il loro e il nostro sviluppo.

 

E non dimentichiamo, infine, neanche l’interesse del consumatore finale, per cui stile di vita, qualità, giusto prezzo e sicurezza alimentare ed eticità dovranno essere chiaramente riconoscibili in quel marchio “made in Italy” ricco di contenuti appena descritto.

 

LO SCENARIO

 

Lo scenario internazionale è il principale punto di riferimento per perseguire l’ incremento di volumi e fatturato in questo comparto.

L’apertura del mercato europeo, il conseguente agguerrirsi della concorrenza, il processo di aggregazione della GDO Europea a cui però corrisponde la frammentazione della nostra offerta, determinano la debolezza contrattuale e strutturale del settore ortofrutticolo Italiano.

 

In Europa il peso economico del comparto ortofrutticolo è circa il 17.5% della PLV agricola, con punte in Spagna dove il settore rappresenta circa il 34% della PLV agricola, mentre in Italia si assesta al 22%.

Se poi consideriamo che il 74% della produzione Europea di frutta e il 66% della produzione di ortaggi, è concentrata in cinque paesi (Spagna,Francia, Grecia, Portogallo e Italia) appare evidente quali siano i nostri principali concorrenti.

 

Parallelamente le produzioni biologiche hanno interessato, nel mondo, nel 2004, una superficie di 31 milioni di ha, ripartiti in 12 milioni di ha in Australia, in 3,5 milioni in Cina, 2,8 milioni di ha in Argentina.

 

 

In questo quadro L’Italia dimostra difficoltà ad esportare, cosa che rende necessario mantenere alta l’attenzione in particolare sulla domanda interna.

Il mercato domestico, infatti, può crescere in “specificità”, “qualità” e in valore aggiunto, ma quello internazionale può conquistare nuovi consumatori al “mangiare italiano” e consentire al settore di fare un salto in termini di qualità e quantità.

 

 

La tendenza commerciale del settore ortofrutticolo, secondo i principali indicatori, è data da un ulteriore incremento delle produzioni mondiali e da un aumento dei consumatori che possono avere redditi adeguati a consumare prodotti ortofrutticoli. In Italia queste diverse attitudini all’acquisto si evidenziano in un calo dei consumi domestici e un incremento dei consumi collettivi, soprattutto attraverso le mense, i locali pubblici, etc… E’ da sottolineare positivamente, inoltre, l’aumentato utilizzo di prodotti biologici nelle mense collettive generaliste (aziende, università, etc…) e in quelle specializzate (scuole, ospedali etc…)

 

Desideriamo sottolineare, in particolare, alcuni aspetti tratti dalla nostra esperienza,e che, a nostro avviso, rappresentano i problemi strutturali del comparto ortofrutticolo Italiano:

 

·                  tendenza nelle singole regioni a specializzarsi in singoli segmenti della filiera (es.: Emilia: produzione pomodoro finalizzata alla trasformazione e commercializzazione; Sicilia per la produzione di agrumi o Puglia per la produzione di pomodoro; Calabria e Campania per la trasformazione rispettivamente di agrumi e pomodori). A grosse linee mentre nel Centro Sud si concentra la parte a più basso valore aggiunto della filiera, al Centro Nord si sviluppa la fase di trasformazione e commercializzazione, a più alto valore aggiunto.

·                  In molte parti del paese la presenza del lavoro nero e di condizioni selvagge di sfruttamento rappresentano una drammatica realtà, che condiziona negativamente le possibilità di sviluppo del settore. Inoltre negli ultimi anni la presenza di lavoratori migranti ha determinato l’emergere della figura dello SCHIAVISTA che, senza scrupoli, gestiscono e sfruttano la fame di lavoro di decina di migliaia di uomini e donne.

·                  Alle suddette condizioni di illegalità sul lavoro si affianca la presenza della criminalità organizzata (mafia, ndrangheta, camorra e sacra corona unita, a seconda dei territori) che tenta di controllare tutta la filiera. Molte regioni vivono drammaticamente questa realtà che condiziona pesantemente lo sviluppo del settore, a cui oltretutto si accompagnano fenomeni di evasione fiscale e di clandestinità economica che fanno abbassare i livelli di sicurezza alimentare (oltre al danno più generalizzato per la collettività).

·                  Utilizzo di semilavorati provenienti da paesi extra UE senza che questi siano dichiarati.

·                  Debolezza del concetto di dieta mediterranea se non si presidiano con attenzione fattori quali:

o       ricerca scientifica;

o       sicurezza alimentare (es.:abbattimento dei residui di fitofarmaci);

o       certificazione di qualità;

o       controllo e repressioni delle frodi;

o       potenzialità della produzione biologica

o       educazione alimentare

oltre a quelli già citati in precedenza.

 

·                  Focus della OCM sulla parte di trasformazione industriale a discapito del fresco che rappresenta, invece, il segmento di maggior peso e maggiori potenzialità per l’ortofrutticolo italiano, in cui l’Italia è leader di mercato e meno sottoposta alla concorrenza dall’estero.

 

·                  Pericolo derivante dal certificare prodotti i cui scarti vengono destinati alla trasformazione, ovvero danno derivante dall’assimilazione tra prodotto di qualità e sottoprodotti

 

·                  Rischio che il calo di investimenti (V. ad esempio la IV gamma) lasci scoperti approvvigionamenti che verranno, poi soddisfatti dalle aziende acquistando all’estero

 

·                  Scarso valore aggiunto del settore nel Meridione d’Italia: è evidente infatti una linea di demarcazione netta tra v.a. nel Centro-Nord, in cui il segmento commerciale della filiera ha un peso maggiore, e v.a. nel Centro-Sud, più orientato alla produzione e quindi più in sofferenza per la concorrenza già proveniente, e potenzialmente in aumento, dei Paesi del Mediterraneo

 

·                  Profilo, posizione e strategie delle attuali OP italiane diversificato per territori.

 

·                  Tendenza delle OP a connotarsi come entità “burocratiche”.

 

·                  Laddove le OP evidenziano una strategia, questa rappresenta gli interessi solo delle imprese più grandi.

 

·                  Debolezza negoziale nei confronti della GDO

·                  Scarsa segmentazione del mercato che viene controllato dalla GDO in tutti gli elementi del marketing mix.

 

·                  Basso livello di aggregazione dei produttori e di concentrazione dell’offerta che determinano uno scarso peso contrattuale nei confronti della GDO e la mancata programmazione delle produzioni, con conseguente rischio di produrre di più di quanto il mercato chieda.

 

·                  Peso crescente della GDO nel rapporto produttore/consumatore con tendenza ad un ulteriore sviluppo internazionale non solo sui segmenti bassi del mercato ma anche su quelli alti e specializzati, inglobando e valorizzando anche le specificità territoriali.

 

·                  Azione di lobbying del nostro sistema priva di visione d’insieme ed inefficace.

 

·                  Scarsa attenzione alle esigenze del consumatore.

 

 

 

LE PROPOSTE DELLA CATEGORIA

 

Alla luce dello scenario fin qui esposto, quelle che seguono sono le azioni che riteniamo fondamentali per dare una prospettiva al comparto ortofrutticolo italiano nel suo insieme, e conseguentemente ai lavoratori che vi operano e che dovranno continuare a trovarvi la propria fonte di reddito:

 

 

·                  Necessità di diffondere il concetto di buona occupazione come fattore di sviluppo e pertanto di  governarne quantità e qualità attraverso un approccio di filiera.

 

·                  Attenzione particolare sui temi del lavoro e dell’occupazione, a partire da:

o       le tipologie contrattuali che vengono applicate ai lavoratori, che si articolano nei CCNL dei settori agricolo, commerciale, cooperazione agricola ed industriale, impiegati agricoli, industria alimentare:

o       le tipologie previdenziali ed assistenziali dell’agricoltura, del commercio, degli impiegati agricoli e dell’industria.

o       la rivalutazione del lavoro come valore etico nonché sociale e civile.

 

·                  Necessità di combattere il lavoro totalmente o parzialmente illegale, lo schiavismo e la criminalità presenti nel settore. A lavoro dipendente illegale corrisponde attività economica illegale e dumping tra le aziende.

 

·                  Adozione della certificazione etica da parte delle imprese attraverso accordi nazionali con le associazioni datoriali.

 

·                  Riconoscimento ed accrescimento del valore della professionalità e competenza del lavoro degli operatori.

 

·                  Razionalizzazione, enpowerment e diffusione dei marchi di qualità; loro effettiva applicabilità e sostenibilità economica attraverso le diverse realtà nazionali.

 

·                  Aumento delle referenze ortofrutticole brandizzate (quindi ben identificabili) per non relegarle al rango di commodities (basso valore aggiunto); questo non solo attraverso i marchi IGP, O DOP, ma anche attraverso la creazione di marchi riferiti a specifici prodotti.

 

·                  Maggior caratterizzazione della produzione di ortofrutta e ortaggi in base al vissuto salutistico e di sicurezza alimentare che il consumatore già diffusamente le riconosce.

 

·                  Favorire l’approccio di filiera, stringendo maggiormente la relazione tra produzione e trasformazione. soprattutto per gli aspetti relativi a innovazione, programmazione, lavorazione, logistica e commercializzazione.

 

·                  Valorizzazione della vocazione territoriale/ambientale integrando le valenze materiali del territorio (materia prima, infrastrutture) e quelle immateriali (conoscenza , professionalità, cultura del cibo saperi) utili all’innovazione ed alla diversificazione competitiva rispetto all’offerta esogena.

 

·                  Innovazione di prodotto e di processi produttivi evoluti (lotta integrata, biologico, etc.)

 

·                  Accorciamento della forbice dei prezzi dal seme alla tavola e dal produttore al consumatore attraverso il pieno rispetto dell’etica sociale e produttiva.

 

·                  Incentivazione delle verticalizzazioni produttive imprenditoriali e di filiera perché non sia la sola Grande Distribuzione Organizzata a determinante il rapporto produttore/consumatore

 

·                  Investire nello sviluppo orientandosi all’incremento del valore aggiunto anche nel Meridione d’Italia per attenuare la già descritta linea di demarcazione tra Sud e Centro-Nord.

 

·                  Concentrare l’attenzione sul segmento del Fresco, che nel nostro Paese rappresenta di gran lunga il maggior peso per il settore ortofrutticolo italiano con potenzialità di crescita

 

·                  Accorciamento delle filiere a partire dallo sbocco nella ristorazione collettiva istituzionale locale (scuola, ospedali, etc.).

 

·                  Accorciamento della filiera e differenziazione dei canali distributivi (alto contenuto di servizio, alternativi alla GDO,  gruppi d’acquisto, e-commerce, home vending, etc.).

 

·                  Attenzione sul segmento della trasformazione e sugli effetti della OCM: contrastare un calo di investimenti che lasci campo libero alle imprese ad approvvigionarsi dall’estero (oltretutto esportando il nostro know-how).

 

·                  Investire sull’innovazione di prodotto o di processo anche per creare un’alternativa che sostitusca e/o integri la riduzione di alcune  produzioni(es.: nettarine, pesche).

 

·                  Integrazione PAC e PSR per veicolare risorse allo sviluppo finalizzato ad una progettualità strettamente orientata a favorire l’adeguamento del settore alle mutate dinamiche di mercato.

 

·                  Potenziamento della capacità negoziale tra filiere organizzate e GDO, soprattutto straniera.

 

·                  Aggregazione dell’offerta indispensabile per l’accesso soprattutto alla GD.

 

·                  Promuovere una discussione ca. il ruolo che le OP dovranno ricoprire in un’ottica di sviluppo: ovvero implementare la loro capacità di orientamento tenendo conto del settore nella complessità dei soggetti. In effetti, considerato che l’attuale livello di aggregazione di produttori è stimato oggi in circa il 30%, sarà necessario raggiungere il 60%, così come dettava l’OCM, quota indispensabile per determinare una massa critica capace di contrattare con il mercato la grande distribuzione. Un sufficiente livello di aggregazione potrà altresì valorizzare le eccellenze e programmare maggiormente la produzione, azione cruciale in un settore in crisi anche a causa della sovrapproduzione.

 

·                  Sviluppo di un sistema logistico e di trasporti più efficiente che agisca sui flussi delle merci della filiera anziché della singola impresa, in modo da abbattere i costi distributivi, quantificato in circa il 34% dei costi complessivi, e al tempo stesso garantire qualità e contenuti di servizio ai prodotti.

 

·                  Riduzione dell’impatto ambientale dovuto al trasporto in considerazione delle positività anche economiche per il sistema Paese rispetto al protocollo di Kyoto.

 

·                  Ricambio generazionale dell’imprenditoria agricola, e aumento della dimensione dell’impresa (fattori favorenti la propensione ad investire in innovazione sia di prodotto che di processo).

 

·                  Necessità di una strategia nazionale, che coordini le peculiarità regionali in termini di sviluppo.

 

·                  Acquisire autorevolezza attraverso una chiara strategia nazionale.

 

·                  Alto livello di attenzione per i consumatori, almeno per due ordini di motivi:

o       sono i soggetti finali di tutto il processo produttivo ortofrutticolo (e alimentare in genere);

o       affrontano, nei paesi sviluppati, in maniera onerosa gli acquisti dei prodotti

o       determinano, nei nuovi mercati, l’ampiezza della nicchia di mercato che potremo occupare nel prossimo futuro.

 

 

 

Alla luce di queste considerazioni e proposte appare problematico  fare i conti con la proposta  OCM ortofrutta presentata nelle scorse settimane dal commissario all’Agricoltura Mariann Fischer Boel. La proposta ha sollevato numerosi interrogativi sul futuro del settore ortofrutticolo nazionale, vivacizzando il dibattito tra i vari soggetti della filiera.  In linea con la Pac, la riforma  prevede il passaggio dall’attuale regime di accoppiamento al disaccoppiamento totale.

 

Un'altra mazzata che sta per  abbattersi sull’agricoltura italiana in un settore importante e ad  alta intensità occupazionale. La proposta presentata  dal Commissario europeo  non  affronta minimamente   le  pesanti ricadute sociali  prodotte dai contenuti della riforma, palesando ancora una volta la poca sensibilità  nei confronti degli occupati in agricoltura e nelle attività di trasformazione.

 

Altro che l’”Europa di Lisbona”! Le OCM, frutto della nuova politica agricola comunitaria, fino ad oggi, hanno prodotto disoccupati fra i lavoratori dipendenti del settore e rendite temporanee per gli agricoltori.  E’ infatti abbastanza evidente che  gli aiuti disaccoppiati  non potranno durare a lungo e fra qualche anno quando la cosiddetta  “rendita” scomparirà sarà complicato far decollare filiere ormai fortemente ridimensionate o addirittura scomparse. 

 

La politica agricola europea nata cinquanta  anni fa si poneva l’obiettivo di sovvenzionare la produzione di derrate alimentari, nell’intento di raggiungere l’autosufficienza e la sicurezza alimentare. Nel corso dei decenni ha ricevuto una consistente quota del bilancio comunitario fino a sfiorare punte del 70%.

 

Nell’ultimo decennio e soprattutto con l’avvento del nuovo secolo la filosofia di fondo  è drasticamente cambiata, fino a  dimezzare l’intervento. Infatti nel periodo 2007/2013 la quota  del bilancio dell’Unione Europea destinato alle produzioni agricole scenderà al di sotto del 35%. Se nella politica degli ultimi decenni l’intervento delle riforme ha permesso di  ridurre la produzione di eccedenze,  quelle più recenti hanno voltato decisamente pagina.

 

Ora l’Unione Europea, paga, di aver raggiunto il fabbisogno di derrate alimentari, guarda ai negoziati internazionali   fortemente orientata per la piena liberalizzazione degli scambi internazionali e disponibile al superamento delle sovvenzioni alle esportazioni entro il 2013.  Il quadro che il futuro riserva è abbastanza evidente: già oggi  l’UE è il primo importatore mondiale di derrate alimentari  e diventerà sempre  di più l’unico mercato in grado di soddisfare le esportazioni di prodotti agricoli del Terzo Mondo. E’ la logica del mondo globalizzato che si afferma, orientata al benessere delle popolazioni mondiali, dicono in tanti.

 

La realtà dimostra che le popolazioni dei Paesi più poveri lo diventano sempre di più. I processi di liberalizzazione degli scambi  commerciali, non sono in grado di esportare  democrazia, diritti e salvaguardia della dignità delle persone. In alcuni Paesi gran parte della popolazione, fra i quali  gli addetti all’agricoltura, vivono ancora oggi condizioni di schiavitù con gran beneficio dei ricchi latifondisti e degli operatori internazionali del commercio che aumentano la loro capacità speculative e di sfruttamento con ricchi mercati pronti a ricevere ai prezzi più bassi.

 

Impatto ambientale, produzione certificata, sicurezza alimentare sono aspetti  sempre del tutto sconosciuti: ma che importa l’Europa spende troppo per sostenere le sue produzioni perciò bisogna tagliare per favorire altri interessi. Ed è così che per far star tranquilli gli agricoltori si sublima il regime del pagamento unico: non più rispetto alla produzione che farà, bensì riferito a quello che ha prodotto nel triennio precedente.

 

Peccato che nel giro di qualche anno scompariranno intere filiere  e sarà complicato poi tornare alle vocazioni colturali di un tempo quando saremo, fra l’altro invasi, dalle derrate agricole del terzo mondo, con il paradosso che in alcuni di quei Paesi si soffrirà ancora la fame. Le risorse e le politiche  della UE  destinate allo sviluppo rurale appaiono del tutto insufficienti per creare occupazione e redditi alternativi e se non ci sarà un’inversioni di tendenza, dal 2013 l’agricoltura uscirà fortemente ridimensionata. Tutte le OCM hanno la stessa filosofia.

 

In Italia il disaccoppiamento totale  previsto per l’ortofrutta porterà ad  un forte ridimensionamento nella produzione del pomodoro. Almeno 25.000 posti di lavoro e oltre la metà dell’industria di trasformazione, sono a rischio scomparsa e di questi gran parte nel sud dell’Italia.  Non possiamo continuare a subire OCM che penalizzano con particolare efficacia l’Italia e i  Paesi del Mediterraneo.

 

Va costruita a una posizione condivisa di filiera,  per dare al Paese una posizione forte su cui far convergere le giuste alleanza per negoziare al meglio a Bruxell e offrire  al Ministro De Castro l’opportunità di difendere nel migliore dei modi un comparto strategico per l’economia nazionale.

 

La Commissione Europea deve recepire l’esigenza di un periodo di transitorietà che consenta  un doppio regime d’aiuti ed occuparsi delle  ricadute sociali  totalmente ignorate dalla proposta OCM. Solo attraverso queste modifiche  e assumendo le linee d’indirizzo sopra enunciate l’Italia può continuare ad essere una protagonista fondamentale del settore sia sul versante nazionale che sulla scena europea.

 

Roma, Febbraio 2007.