SEMINARIO DELLA FLAI NAZIONALE
		
		
		“LA CONTRATTAZIONE DELLA SICUREZZA
		
		
		ALIMENTARE – DEL LAVORO – DELL’AMBIENTE
		
		
		
		
		 NEI 
		SETTORI AGROALIMENTARI”.
ROMA 27 e 28 GIUGNO 2001
RELAZIONE DI
MAURIZIO DONDI
Segretario regionale della Flai-CGIL Emilia Romagna
La contrattazione per la sicurezza alimentare
		
		 
		
		
		E’ opportuno, ad inizio di questa relazione, sottolineare ciò che lega 
		questo seminario a quello da noi tenuto qualche mese fa sulla sicurezza 
		alimentare, ed è altrettanto opportuno evidenziare che esso si tiene 
		nell’ambito della iniziativa della CGIL che ha individuato il 2001 come 
		anno della sicurezza nei luoghi di lavoro.
		
		
		L’attività di conoscenza, di analisi, di elaborazione è  indispensabile 
		per un sindacato come il nostro che sulla sicurezza nei luoghi di lavoro 
		deve recuperare un notevole ritardo.
		
		
		Quindi facciamo bene ad organizzare questi momenti nazionali, tendenti 
		ad unificare l’attività che si fa nei territori e nelle aziende e, nel 
		contempo, ad alimentare un dibattito e una tensione politica che mette 
		la nostra categoria nelle condizioni di trovare una propria identità 
		politica.
		
		
		Non più, dunque, un sindacato per una categoria di “iurnatari”, come 
		diciamo in Sicilia, cioè di lavoratori giornalieri, senza un futuro, 
		senza una identità, senza l’applicazione di quei diritti e quelle regole 
		che sono un dato certo per tutto il mondo del lavoro. Ma nemmeno un 
		sindacato per un settore in continua ricerca delle calamità, delle 
		integrazioni AIMA, del sostegno al reddito; né per un settore dove si 
		vuole che esistano prevalentemente le piccole e piccolissime aziende che 
		producono per il proprio focolare o al massimo per conferire il prodotto 
		a strutture che senza l’intervento pubblico non vivrebbero nemmeno una 
		giornata.
		
		
		No. Oggi il sindacato, la FLAI, la CGIL, ma anche FAI e UILA devono fare 
		i conti – malgrado tutto – con un comparto AGRO-ALIMENTARE-AMBIENTALE 
		che produce prevalentemente per il mercato nazionale ed internazionale; 
		che tende a produrre buoni prodotti; che asseconda e in alcuni casi 
		orienta i gusti dei consumatori; che assieme al settore 
		tessile-abbigliamento fa il made in Italy; che alimenta assieme con i 
		beni culturali enormi flussi turistici; che sempre di più incide sulla 
		prevenzione sanitaria e sul benessere psico-fisico di tutta la 
		popolazione.
		
		
		Lo spostamento dell’asse culturale, politico, economico, di identità mi 
		sembra evidente: da un comparto definito prevalentemente marginale, 
		specialmente al Sud, passiamo ad un comparto di mercato, che soddisfi le 
		giuste richieste dei consumatori di avere una buona qualità dei cibi.
		
		
		La consapevolezza di tutto ciò rende la FLAI del terzo millennio diversa 
		dalla Federterra, dalla Federbraccianti e dalla Filziat. Tale 
		consapevolezza, che si evolve in questi ambiti storici, senza 
		abbandonare le origini, senza abbandonare il bracciante o 
		l’alimentarista, deve essere in grado di dare rappresentanza al 
		lavoratore agro-alimentare-ambientale, di dare contenuti ad una politica 
		sindacale e contrattuale in grado di tutelare e migliorare le condizioni 
		economiche dei lavoratori e di sicurezza nel lavoro. Ma deve essere in 
		grado anche di tutelare e migliorare le condizioni dei consumatori e di 
		incidere nelle scelte di una economia.
		
		
		Non so se questo è un ragionamento giusto, completo; certamente ha 
		bisogno di ulteriori approfondimenti, di correzioni, di un sostegno più 
		di merito. La certezza, però, che ho maturato in questi mesi di positive 
		discussioni interne alla FLAI e alla CGIL è quella che abbiamo bisogno 
		di un forte colpo di reni per essere in grado di dare rappresentanza a 
		centinaia di migliaia di lavoratori e impiegati nonché garanzie ai 
		consumatori.
		
		
		Le questioni che sono alla base del seminario di ieri e di oggi sono 
		tasselli essenziali per tutto ciò.
		
		
		Il tema che mi è stato assegnato, e per ciò ringrazio il compagno Mazza 
		e la Segreteria nazionale, è di notevole spessore sia per la qualità 
		della contrattazione sia per la qualità del settore, dei processi 
		produttivi e dei prodotti.
		
		
		Non farò, ovviamente, una illustrazione del decreto legislativo 626/94 e 
		nemmeno uno spaccato delle cose che le nostre controparti avrebbero 
		dovuto fare. Penso sia utile approfondire la riflessione sui nostri 
		comportamenti e su cosa sarebbe politicamente e sindacalmente opportuno 
		fare per rendere più conveniente e interessante lavorare in questo 
		comparto. 
		
		
		Ad oggi la situazione, per sommi capi è la seguente:
		
		
		·    Nel 
		1994 viene emanato, dopo una diffida della Comunità Europea, il decreto 
		legislativo 626/94; esso, pur essendo un ottimo provvedimento, è il 
		frutto di ritardi ed omissioni di una classe politica asservita alle 
		esigenze di un padronato miope che pensa al proprio portafoglio e non ai 
		costi sociali di milioni di infortuni e di migliaia di morti sul lavoro;
		
		
		·    I 
		datori di lavoro, pubblici e privati, che sono individuati con chiarezza 
		come i principali responsabili dello stato di salute dei lavoratori nei 
		luoghi di lavoro tendono, con la complicità di tanti, ad una 
		applicazione cartacea delle norme e ad una sottovalutazione della 
		qualità dei luoghi di lavoro, continuando a ritenere come costi poco 
		utili alla ricchezza dell’azienda i sistemi di prevenzione e protezione
		
		
		·    La 
		pubblica amministrazione, intesa non come datore di lavoro, accoglie il 
		decreto legislativo con estrema contrarietà. L’INAIL, il Sistema 
		Sanitario, i soggetti indicati per la repressione e la prevenzione 
		respingono a priori il sistema partecipativo e di chiara 
		responsabilizzazione che mette in campo il decreto legislativo. Essi si 
		sono formati negli anni non per prevenire ma per pagare gli infortuni. 
		Penso che non sarebbe esagerato dire che la loro è stata una esistenza 
		basata sulle disgrazie dei lavoratori;
		
		
		
		·    Nel 
		sindacato confederale e nelle categorie ci sono filoni di pensiero che 
		continuano a tifare per la monetizzazione della salute e vedono con 
		notevole fastidio le modalità applicative del decreto legislativo 
		626/94. Basti ricordare tutto il dibattito che c’è stato, e per alcuni 
		continua ad esistere, sulla figura del Rappresentante dei Lavoratori per 
		la Sicurezza: deve essere eletto, come sancisce l’art. 20, o deve essere 
		nominato dal sindacato, basti ricordare il sostanziale silenzio che 
		esiste sui Comitati Paritetici ai vari livelli.
		
		
		Classe politica, datori di lavoro, pubblica amministrazione e sindacato 
		sono i soggetti che con compiti e responsabilità diversi devono 
		garantire, attraverso l’applicazione di norme e la contrattazione, che i 
		lavoratori operino nei luoghi di lavoro con un indice di sicurezza che 
		si avvicini il più possibile al 100%.
		
		
		I dati sugli infortuni, il numero di orfani e vedove, il raffronto con 
		gli altri paesi europei ci dice non solo che non ci avviciniamo al 100% 
		di sicurezza ma che in confronto allo sviluppo del sistema produttivo ci 
		allontaniamo sempre di più sia dal contesto europeo, sia da 
		“tollerabili” indici di accettabilità del fenomeno.
		
		
		Il nostro comparto, in particolare, continua ad essere tra quelli che 
		guidano le classifiche negative degli infortuni e delle malattie 
		professionali, sommando ai rischi tradizionali i nuovi rischi derivanti 
		dalla meccanizzazione e dall’utilizzo di nuove tecniche di produzione. 
		Le differenze sono anche geografiche e per singoli settori. Il Piemonte 
		è diverso dalla Calabria e il settore della macellazione è diverso dal 
		serricolo.
		
		
		Per questo ritengo sia utile discutere delle direttrici che mettano 
		tutti noi nella condizione di poter  gestire 
		con il coinvolgimento convinto dei lavoratori il decreto legislativo 626 
		e la contrattazione ad esso collegato in modo univoco, senza differenze 
		o sconti verso il sistema delle imprese o verso la pubblica 
		amministrazione. Senza dover affermare, e alcune volte anche in accordo 
		con i padroni, che un infortunio o una morte si siano verificate “per 
		responsabilità” del lavoratore o “per una tragica fatalità”.
		
		
		
		Quando parlo di “noi” non parlo del singolo dirigente sindacale o della 
		singola struttura. o solo della CGIL o della FLAI, ma di tutti i 
		soggetti che fanno relazioni sindacali. E proporzionando i soggetti 
		sindacali ai dati possiamo dire che qualcuno bara, che ci sono soggetti 
		sindacali che predicano bene ma razzolano male.
		
		
		
		Nel nostro comparto tra il 1995 e il 1997 si sono sottoscritti gli 
		accordi nazionali con le controparti relativi alla applicazione degli 
		art. 18, 19 e 20 del decreto legislativo 626/94, sui RLS e sui Comitati 
		Paritetici per i contratti dell’industria alimentare, dell’associazione 
		allevatori, dei consorzi di bonifica, dell’ortofrutta, dei consorzi 
		agrari, degli operai e degli impiegati agricoli, della cooperazione 
		agricola e industriale.
		
		
		A seguito di ciò bisognava:
		
		
		·        costituire 
		i Comitati Paritetici a livello nazionale e territoriale;
		
		
		·        indire 
		le elezioni dei RLS;
		
		
		·        aggiornare 
		ed adeguare la contrattazione di 2° livello a questa nuova realtà;
		
		
		·        definire 
		i contenuti dei pacchetti formativi per i componenti dei comitati e per 
		i RLS;
		
		
		
		·        costituire 
		e gestire le banche dati e fare fronte alle controversie tra lavoratori 
		e datori di lavoro.
		
		
		Bisognava, inoltre vigilare su una maggiore rispondenza dei documenti di 
		valutazione dei rischi con gli obiettivi che il decreto legislativo, la 
		contrattazione e il buon senso si erano posti, cioè eliminare o ridurre 
		al minimo le fonti di pericolo e di rischio per i lavoratori.
		
		
		Considerata la vastità del fenomeno era ovvio pensare ad una maggiore 
		repressione da parte degli Ispettorati del Lavoro, del servizio 
		sanitario, dell’Inail, dell’Ispesl, dei Vigili del Fuoco, della 
		Magistratura.
		
		
		Ci si poteva attendere anche una maggiore attività conflittuale e 
		contrattuale del sindacato.
		
		
		I numeri, sia quelli dell’Inail sia quelli sui Comitati Paritetici, che 
		sui RLS, purtroppo ci dicono che tutto ciò o non è stato fatto, o le 
		cose realizzate sono in un quadro nazionale di gran lunga insufficienti, 
		o le singole iniziative non hanno determinato che la sicurezza nei 
		luoghi di lavoro fosse assunta a sistema e a prassi consolidata..
		
		
		
		In questo contesto dobbiamo inserire l’attuale fase contrattuale dei 
		rinnovi dei contratti nazionali dei lavoratori agricoli, della 
		cooperazione agricola e della forestazione e gli stessi rinnovi della 
		contrattazione di secondo livello di gruppo e di azienda nell’industria 
		alimentare.
		
		
		
		Penso che sia importante partire con il piede giusto, non solo sulle 
		questioni di merito delle piattaforme, ma anche su quelle di metodo. 
		Anzi, sono convinto che il metodo assume un significato particolare. che 
		riguarda il livello di coinvolgimento dei lavoratori a tutte le fasi 
		della contrattazione, dalla approvazione delle piattaforme, alla 
		trattativa, e alla approvazione dell’ipotesi di accordo.
		
		
		Se ciò vale per la fase contrattuale ancora da costruire, a maggior 
		ragione  vale per la 
		applicazione reale e convinta del decreto legislativo 626/94. Saremmo 
		poco credibili al tavolo delle trattative con le associazioni padronali 
		o negli incontri con il Ministero della Sanità o del Lavoro se ci 
		presentassimo con pochi Comitati Paritetici Nazionali, regionali o 
		Provinciali esistenti e funzionanti, o con poche RLS esistenti e 
		funzionanti, o – ancora – con una attività politico-sindacale poco 
		visibile.
		
		
		
		Penso che ci siano le condizioni per un forte recupero e per una 
		adeguata iniziativa che ponga le basi per una forte fase di 
		contrattazione nazionale che non sia di rimando ai successivi livelli o 
		a commissioni e comitati che poi non si riuniscono.
		
		
		Per rendere visibile ed esigibile dai lavoratori l’indicazione che la 
		Confederazione ha dato del 2001 come l’anno della sicurezza nei posti di 
		lavoro dobbiamo  lanciare una 
		forte campagna di applicazione del decreto legislativo 626/94, a partire 
		da uno o più momenti nazionali di coinvolgimento dei delegati aziendali, 
		dei RLS e dei quadri sindacali in grado di dare una forte spinta ideale 
		a tutta l’organizzazione.
		
		
		 Il prossimo mese di settembre può essere indicato dal prossimo Comitato 
		Direttivo Nazionale come il mese della sicurezza dei lavoratori del 
		nostro comparto. Meglio se coinvolgiamo anche FAI e UILA, altrimenti va 
		bene anche solo come FLAI insieme con la CGIL.
		
		
		
		Una forte e coerente iniziativa sindacale deve mettere la categoria sui 
		binari di un protagonismo positivo in contrapposizione ad un 
		protagonismo negativo che ci vede tra i primi posti delle classifiche 
		settoriali per incidenti e infortuni mortali.
		
		
		Mi sembra inoltre utile lanciare una forte campagna di informazione e di 
		produzione di materiale informativo, insieme alla costituzione di un 
		centro di documentazione da pubblicare nel nostro sito che raggiunga il 
		duplice obiettivo di divulgare quello che già abbiamo prodotto e che 
		produrremo, e di farlo conoscere a tutta la FLAI, alla CGIL e alla 
		società. Curare l’informazione sia quella tradizionale sia quella in 
		rete, mi sembra uno dei nodi principali da dipanare.
		
		
		 Maggiore è la visibilità, maggiore è la popolarità delle questioni che 
		mettiamo in campo, maggiore è il livello di partecipazione dei 
		lavoratori, maggiore è il coinvolgimento positivo di tutti quei soggetti 
		pubblici coinvolti dal decreto legislativo. Per ultimo penso alle 
		conseguenze positive che diamo sul fronte aziendale sia per migliorare i 
		processi produttivi sia per innalzare il livello di qualità dei 
		prodotti.
		
		
		Deve essere chiaro, che la nostra attività non deve essere finalizzata a 
		se stessa, tanto per partecipare. Dobbiamo prevedere per i prossimi mesi 
		una intensa attività formativa in grado di allargare in tutto il 
		territorio nazionale e in tutti i settori della nostra categoria il 
		livello di coinvolgimento dei quadri e dei delegati.
		
		
		Ma dobbiamo essere anche in grado di lanciare una forte campagna di 
		denuncia delle omertà, delle omissioni, delle false applicazioni del 
		decreto legislativo e delle applicazioni cartacee, dei forti interessi 
		speculativi che in questi anni si sono formati attorno al decreto, delle 
		false efficienze degli istituti pubblici come l’INAIL e le Aziende 
		Sanitarie, della non visibilità della magistratura e delle forze 
		dell’ordine.
		
		
		Dobbiamo anche denunciare la scarsa utilità della politica nei confronti 
		degli imprenditori, basata sulla erogazione di risorse finanziare senza 
		che a ciò si affianchi una forte azione repressiva e di controllo.
		
		
		
		Due sono i principali soggetti pubblici che sono preposti alla 
		repressione: l’INAIL e le Aziende Sanitarie.
		
		
		Il primo, pur continuando a riscuotere i contributi assicurativi dei 
		lavoratori, pur essendo stato difeso nel proprio ruolo di soggetto 
		indispensabile nella assistenza e nella prevenzione degli infortuni 
		dagli attacchi che venivano  da 
		settori di destra e del padronato, continua ad avere un ruolo a dir poco 
		ambiguo sia nei confronti dei lavoratori infortunati sia delle aziende. 
		Nei confronti dei  lavoratori 
		assistiamo ad una ambiguità tutta negativa; infatti pur chiamandoli 
		utenti o clienti, esso ha nei loro confronti un atteggiamento che si 
		manifesta in una pessima e burocratizzata erogazione di servizi e in una 
		gestione dei singoli eventi fatta con distacco ed inefficienza. Invece   un 
		ruolo ambiguo,tutto in positivo, è riservato ai datori di lavoro 
		attraverso una sostanziale mancanza di controlli sia sulla prevenzione 
		nelle aziende, sia sulla repressione post infortunio. Malgrado il lungo 
		elenco di morti e feriti presenti  nel 
		nostro paese i rapporti con le aziende (potremmo dire con i carnefici) 
		sono improntati sulla cordialità, sulle opportunità informative, sui 
		condoni, sulla erogazione anche di risorse economiche che non fanno 
		diminuire né i morti né i feriti. Sono troppo pochi i datori di lavoro 
		che pagano il conto con la giustizia
		
		
		Il secondo soggetto pubblico, cioè il Sistema Sanitario, quello presente 
		nei territori, quello che dovrebbe ricevere e analizzare i documenti di 
		valutazione dei rischi, quello che dovrebbe controllare i rumori, le 
		fonti di luce, le fonti di calore, gli ambienti di lavoro, la efficienza 
		dei dispositivi di protezione individuali, le fonti di pericolo e di 
		rischio materiali e immateriali, quello che dovrebbe controllare i 
		macelli, i vivai, le serre, le stalle, i magazzini ortofrutticoli, i 
		pastifici, le linee di imbottigliamento o di briccaggio o di 
		conservazione, i pescherecci,  i 
		trattori, etc…, questo soggetto raramente è visibile nelle aziende.
		
		
		
		In questo contesto dobbiamo sviluppare sia la nostra iniziativa 
		generale, sia quella contrattuale.
		
		
		Avendo le carte in regola, o avendo messo in moto il processo di 
		“regolarizzazione” sindacale nella nostra categoria siamo in grado di 
		produrre una concreta, coerente ed esigibile attività  contrattuale 
		a partire dai prossimi rinnovi contrattuali.
		
		
		Mi sembra utile partire da una messa a regime dei comitati paritetici. 
		Già un passo in avanti è stato fatto in queste settimane per il Comitato 
		paritetico nazionale dei lavoratori e degli impiegati agricoli.
		
		
		La nostra è una categoria dove la centralità è rappresentata dal lavoro 
		stagionale, flessibile e a tempo determinato ed è pertanto opportuno che 
		nelle piattaforme contrattuali vengano affrontati i seguenti argomenti:
		
		
		·        merito 
		del funzionamento dei Comitati Paritetici;
		
		
		·        reperimento 
		delle risorse relativo al funzionamento dei comitati ( una strada può 
		essere rappresentato dall’utilizzo dei canali dell’assistenza 
		contrattuale);
		
		
		·        istituzione 
		dei RLST;
		
		
		·        previsione 
		di risorse economiche gestite dai Comitati Paritetici per il sostegno ai 
		RLST, sia per la contribuzione che per la retribuzione;
		
		
		·        individuazione 
		di competenze vincolanti per i soggetti contrattuali sulle questioni 
		della formazione ai RLS, ai RLST e della informazione ai lavoratori;
		
		
		·        costruzione 
		di un modelle di relazioni costanti delle attività tra i Comitati 
		Paritetici e i soggetti pubblici previsti dal decreto legislativo;
		
		
		·        possibilità 
		da parte dei Comitati Paritetici superiori (nazionale) di sostituirsi ai 
		Comitati Paritetici inferiori (provinciali) al fine di garantirne 
		comunque la funzionalità;
		
		
		·        istituzione 
		di banche dati settoriali a livello nazionale;
		
		
		
		·        unificare 
		le diverse aree contrattuali dei Comitati Paritetici o per 
		determinazione contrattuale e/o per omogeneità previdenziale.
		
		
		Per ultimo, dobbiamo avere ben presente che fino a questo momento ho 
		parlato dei lavoratori ufficiali, di quelli messi in regola, di quelli 
		verso i quali si applicano leggi e contratti. Esiste un altro spaccato 
		della nostra categoria che è rappresentato dai lavoratori in nero, dai 
		clandestini, da quelli ai quali l’applicazione di leggi e contratti è 
		negato.
		
		
		Si può dire che ad ogni lavoratore legale corrisponde un lavoratore in 
		nero. Ad ogni infortunio denunciato né corrisponde uno non denunciato. 
		Anche per questi lavoratori la FLAI deve essere in grado di porsi come 
		punto di riferimento capace di farli emergere dalla clandestinità e 
		farli diventare soggetti in grado di esigere i diritti contrattuali e di 
		legge.
		
		
		Questi possono essere alcuni temi da sviluppare nella fase di 
		preparazione delle piattaforme contrattuali e sono certo che gli 
		interventi che ci saranno in grado di arricchire  i 
		temi indicati con ulteriori proposte.
La sicurezza alimentare costituisce un diritto dei cittadini, una domanda ineludibile dei consumatori e un’esigenza imprescindibile per i produttori.
La scelta della qualità, in un sistema produttivo omogeneo, a sua volta offre un di più utile e auspicabile, cui vale la pena mirare per migliorare la competitività;
L’articolo 18 (“Promozione dei processi di tracciabilita'”) del Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (“Attuazione legge d’orientamento dei mercati in agricoltura”) prevede misure di sostegno per chi adotta procedure di tracciabilità.
La Dichiarazione d’Intenti, sottoscritta in sede CNEL in data 17 maggio 2001, prevede impegni tra le parti sociali, dell’impresa e del lavoro, per realizzare Accordi Volontari in materia di qualità e sicurezza alimentare.
Le parti esprimono unanime convinzione che la costruzione di un percorso di tracciabilità dei prodotti “dal campo alla tavola” vada realizzato e scadenzato nel tempo con l’accordo e la condivisione, così da garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti, ma anche le condizioni di redditività del settore.
Pertanto, le parti in sede contrattuale dovrebbero impegnarsi reciprocamente:
- nell’attuazione e nello sviluppo delle proposte concordate in sede CNEL, per gli aspetti di competenza delle singole filiere coinvolte;
- nell’attuazione del Decreto Legislativo18 maggio 2001, n. 228, ed in particolare:
a) costituire un tavolo di confronto sugli articoli 18 (Promozione dei processi di tracciabilità), 22 (Sorveglianza rinforzata) e 24 (Indicatori di tempo e temperatura);
b) adoperarsi nei confronti della Commissione interministeriale per la sicurezza alimentare, di cui all’articolo 19, per il buon fine delle iniziative;
c) confrontarsi preventivamente sulle materie oggetto di eventuale concertazione al tavolo agroalimentare, di cui all’articolo 20 (istituti della concertazione);
		
		
		
		Allegato testo
		
		
		 
		
		
		Dichiarazione d’intenti
		
		
		
		tra le parti sociali dell’impresa e del lavoro
		
		
		
		per la realizzazione di accordi volontari  per 
		la qualità e la sicurezza alimentare
		
		
		Premessa
		
		
		I vertici delle parti sociali, riunitisi il 14 marzo scorso con il 
		Presidente del Cnel, Pietro Larizza, hanno concordato sulle linee di 
		fondo e sulle proposte del documento (allegato alla presente 
		dichiarazione) predisposto dal Gruppo di Lavoro - allargato ad esperti 
		delle componenti sociali della filiera agricolo alimentare - sul tema 
		della sicurezza alimentare.
		
		
		In particolare, hanno convenuto sull’importanza di ricreare un clima di 
		fiducia nei consumatori quale elemento indispensabile per superare in 
		positivo la crisi che sta attraversando tutta l’Unione europea 
		relativamente alla diffusione della BSE, alla sua prevenzione e, più in 
		generale, alla prevenzione di ulteriori situazioni di allarme attraverso 
		meccanismi che garantiscano la sicurezza sanitaria e, soprattutto, che 
		valorizzino metodi e produzioni di qualità.
		
		
		E’ stato da tutti condiviso che, se la sicurezza alimentare costituisce 
		un diritto dei cittadini europei e non solo europei, una domanda 
		ineludibile dei consumatori e un’esigenza imprescindibile per i 
		produttori, la scelta della qualità in un sistema produttivo omogeneo, a 
		sua volta, offre un di più utile e auspicabile, cui vale la pena mirare 
		per migliorare la competitività.
		
		
		E’, altresì, convinzione unanime dei soggetti interessati che la 
		costruzione di un percorso di tracciabilità dei prodotti “dal campo e 
		dal mare alla tavola” vada costruito e scadenzato nel tempo con 
		l’accordo e la condivisione delle parti, così da garantire la qualità, 
		ma anche le condizioni di redditività del settore.
Ritengono che il CNEL rappresenti la sede più adeguata per l’individuazione e la costruzione di alcuni accordi volontari “pilota”, realizzati secondo procedure e con forme di certificazione riconosciute su scala internazionale e a questo fine si impegnano a lavorare di comune accordo su questo obiettivo.
		
		
		
		Impegni delle Parti
		
		
		Le organizzazioni e gli enti firmatari di questa dichiarazione si 
		impegnano a sottoscrivere accordi volontari “pilota” di filiera per 
		consentire una maggiore trasparenza e informazione dei consumatori, 
		garantire per questa via la qualità dei prodotti prescelti e accedere ad 
		una maggiore competitività del sistema produttivo nazionale “dal campo e 
		dal mare alla tavola”.
		
		
		Per dare corso alla presente dichiarazione, in una prima fase, si 
		avvieranno approfondimenti relativamente alle seguenti filiere: 
		ortofrutticoli freschi, carni fresche e trasformate, pesce, latte.
		
		
		Il Cnel si impegna a garantire:
		
		
		la costituzione di un gruppo di esperti, con specifiche competenze sulle 
		tematiche evidenziate, al fine di costruire una prima griglia 
		procedurale sulla quale costruire via via il consenso delle parti 
		sociali interessate;
		
		
		il supporto tecnico e organizzativo al gruppo degli esperti e al tavolo 
		delle parti sociali, come fin qui avvenuto;
		
		
		le forme più opportune di comunicazione e diffusione delle pratiche e 
		delle procedure attivate, previo accordo degli interessati;
		
		
		un’azione tempestiva dell’Assemblea in tutte le sedi deputate (Governi 
		nazionale e regionali, Parlamento) relativamente alla sollecitazione  e 
		all’attivazione di meccanismi  premiali 
		in favore dei soggetti che volontariamente sottoscriveranno il Patto e i 
		singoli accordi e ne garantiranno il buon andamento.
		
		
		La presente dichiarazione impegna a costruire un patto fra i 
		sottoscrittori e i conseguenti accordi volontari, di cui parti 
		contraenti saranno ovviamente anche i livelli istituzionali responsabili 
		e le associazioni rappresentative dei consumatori.
		
		
		Cnel,17 
		maggio 2001
***********************
		
		
		1)      Il 
		registro degli infortuni;
		
		
		2)      Il 
		registro degli esposti a rischio (chimico, biologico, 
		muscoloscheletrico, termico, da videoterminale, etc);
		
		
		3)      Il 
		registro dei dati biostatistici (summa dei libretti sanitari);
		
		
		4)      Il 
		registro dei dati ambientali (monitoraggio e analisi ambientale dei 
		luoghi chiusi);
		
		
		5)      La 
		scheda di rischio delle sostanze utilizzate;
		
		
		6)      La 
		scheda di sicurezza degli impianti e/o delle macchine.
		
		
		a)     L’accesso 
		al registro degli infortuni deve essere regolamentato nel contratto, in 
		ragione delle norme sulla privacy. Ciò che è necessario comunque 
		ricavare, è estrapolare i dati relativi ai parametri di frequenza e 
		gravità nonché di particolari dinamiche, al fine di individuare le 
		azioni da porre in atto per ridurne od eliminarne le cause.
		
		
		b)     Il 
		registro degli esposti a rischio definisce chi e a che cosa è esposto 
		(fondamentale ai fini della tutela della salute ma anche ai fini 
		giuridici).
		
		
		c)      I 
		dati biostatistici servono: da un lato, a controllare la veridicità dei 
		dati sugli infortuni (la tendenza recente è di indicare ai lavoratori di 
		non denunciare l’infortunio e mettersi in malattia), basta confrontarli 
		per anno in rapporto agli andamenti, dall’altro, a capire le ragioni di 
		fondo delle cause di morbilità.
		
		
		d)     Il 
		registro dei dati ambientali presuppone la volontà di tenere sotto 
		controllo tutte le situazioni di esposizione, non solo quelle a rischio 
		chimico, biologico, et cetera.
		
		
		e)     La 
		scheda di rischio delle sostanze utilizzate serve a capire il livello di 
		tossicità delle sostanze stesse (per stabilire eventuali sostituzioni 
		con sostanze meno tossiche) e le modalità d’uso e manipolazione in 
		sicurezza.
		
		
		f)       La 
		scheda di rischio degli impianti e delle macchine serve a capire il 
		livello di rischio connesso a queste strutture. Nel caso degli impianti 
		vale la pena valutare se non ricorrano i termini previsti dalle norme 
		sui rischi di incidente rilevante industriale, per i quali occorre, da 
		parte aziendale, predisporre un Piano di Sicurezza esterno connesso a 
		quello interno (previsto dal 626 – valutazione etc.).
		
		
		 
		
		
		Infine occorre raggiungere il livello di prevenzione dettato 
		dall’analisi dell’organizzazione del lavoro, dell’ergonomia dei posti di 
		lavoro, dell’orario di lavoro e degli organici. Particolare attenzione 
		va posta al tema della manutenzione e degli appalti a terzi. 
		
La sorveglianza sanitaria (modalità e strumenti).
La sorveglianza sanitaria è un dovere del “medico competente” in presenza di un rischio – chimico, biologico, muscoloscheletrico, termico, da videoterminale, etc. – registrato dalla valutazione dei rischi.
Su questo argomento, però, occorre sostenere che:
- il medico (“competente per attribuzione di potere” non sempre per lo è anche per capacità professionale) sappia fare le cose per bene*, cioè realizzi il “registro degli esposti” e che lo faccia attraverso la collaborazione con il Servizio di prevenzione della ASL afferente; Asl che deve sapere cosa c’è di importante nel proprio territorio (per ragioni di reperimento delle risorse e programmazione di interventi, organizzazione e strumentazione);
- il programma di sorveglianza sanitaria sia verificato con il RLS, sia prima di contattare l’Asl che dopo aver definito il modello, al fine di avere la massima informazione sulle ragioni e sulle finalità alla base delle modalità di sorveglianza (visite, analisi, etc.) da fare;
- l’informazione da fornire ai lavoratori e ai RLS sia definita e sostenuta contrattualmente;
- la funzione della sorveglianza sanitaria sia quella di “tutelare” la salute e la sicurezza del lavoratore e non di danneggiarlo (contrattare procedure di garanzia per quanto attiene l’eventuale “valutazione di idoneità alla mansione”).
* Chiedere sempre il curriculum del M.C. e verificare che sia medico del lavoro o che abbia le condizioni indicate dal 626.