SEMINARIO DELLA FLAI NAZIONALE
“LA CONTRATTAZIONE DELLA SICUREZZA
ALIMENTARE – DEL LAVORO – DELL’AMBIENTE
NEI
SETTORI AGROALIMENTARI”.
ROMA 27 e 28 GIUGNO 2001
RELAZIONE DI
MAURIZIO DONDI
Segretario regionale della Flai-CGIL Emilia Romagna
La contrattazione per la sicurezza alimentare
E’ opportuno, ad inizio di questa relazione, sottolineare ciò che lega
questo seminario a quello da noi tenuto qualche mese fa sulla sicurezza
alimentare, ed è altrettanto opportuno evidenziare che esso si tiene
nell’ambito della iniziativa della CGIL che ha individuato il 2001 come
anno della sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’attività di conoscenza, di analisi, di elaborazione è indispensabile
per un sindacato come il nostro che sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
deve recuperare un notevole ritardo.
Quindi facciamo bene ad organizzare questi momenti nazionali, tendenti
ad unificare l’attività che si fa nei territori e nelle aziende e, nel
contempo, ad alimentare un dibattito e una tensione politica che mette
la nostra categoria nelle condizioni di trovare una propria identità
politica.
Non più, dunque, un sindacato per una categoria di “iurnatari”, come
diciamo in Sicilia, cioè di lavoratori giornalieri, senza un futuro,
senza una identità, senza l’applicazione di quei diritti e quelle regole
che sono un dato certo per tutto il mondo del lavoro. Ma nemmeno un
sindacato per un settore in continua ricerca delle calamità, delle
integrazioni AIMA, del sostegno al reddito; né per un settore dove si
vuole che esistano prevalentemente le piccole e piccolissime aziende che
producono per il proprio focolare o al massimo per conferire il prodotto
a strutture che senza l’intervento pubblico non vivrebbero nemmeno una
giornata.
No. Oggi il sindacato, la FLAI, la CGIL, ma anche FAI e UILA devono fare
i conti – malgrado tutto – con un comparto AGRO-ALIMENTARE-AMBIENTALE
che produce prevalentemente per il mercato nazionale ed internazionale;
che tende a produrre buoni prodotti; che asseconda e in alcuni casi
orienta i gusti dei consumatori; che assieme al settore
tessile-abbigliamento fa il made in Italy; che alimenta assieme con i
beni culturali enormi flussi turistici; che sempre di più incide sulla
prevenzione sanitaria e sul benessere psico-fisico di tutta la
popolazione.
Lo spostamento dell’asse culturale, politico, economico, di identità mi
sembra evidente: da un comparto definito prevalentemente marginale,
specialmente al Sud, passiamo ad un comparto di mercato, che soddisfi le
giuste richieste dei consumatori di avere una buona qualità dei cibi.
La consapevolezza di tutto ciò rende la FLAI del terzo millennio diversa
dalla Federterra, dalla Federbraccianti e dalla Filziat. Tale
consapevolezza, che si evolve in questi ambiti storici, senza
abbandonare le origini, senza abbandonare il bracciante o
l’alimentarista, deve essere in grado di dare rappresentanza al
lavoratore agro-alimentare-ambientale, di dare contenuti ad una politica
sindacale e contrattuale in grado di tutelare e migliorare le condizioni
economiche dei lavoratori e di sicurezza nel lavoro. Ma deve essere in
grado anche di tutelare e migliorare le condizioni dei consumatori e di
incidere nelle scelte di una economia.
Non so se questo è un ragionamento giusto, completo; certamente ha
bisogno di ulteriori approfondimenti, di correzioni, di un sostegno più
di merito. La certezza, però, che ho maturato in questi mesi di positive
discussioni interne alla FLAI e alla CGIL è quella che abbiamo bisogno
di un forte colpo di reni per essere in grado di dare rappresentanza a
centinaia di migliaia di lavoratori e impiegati nonché garanzie ai
consumatori.
Le questioni che sono alla base del seminario di ieri e di oggi sono
tasselli essenziali per tutto ciò.
Il tema che mi è stato assegnato, e per ciò ringrazio il compagno Mazza
e la Segreteria nazionale, è di notevole spessore sia per la qualità
della contrattazione sia per la qualità del settore, dei processi
produttivi e dei prodotti.
Non farò, ovviamente, una illustrazione del decreto legislativo 626/94 e
nemmeno uno spaccato delle cose che le nostre controparti avrebbero
dovuto fare. Penso sia utile approfondire la riflessione sui nostri
comportamenti e su cosa sarebbe politicamente e sindacalmente opportuno
fare per rendere più conveniente e interessante lavorare in questo
comparto.
Ad oggi la situazione, per sommi capi è la seguente:
· Nel
1994 viene emanato, dopo una diffida della Comunità Europea, il decreto
legislativo 626/94; esso, pur essendo un ottimo provvedimento, è il
frutto di ritardi ed omissioni di una classe politica asservita alle
esigenze di un padronato miope che pensa al proprio portafoglio e non ai
costi sociali di milioni di infortuni e di migliaia di morti sul lavoro;
· I
datori di lavoro, pubblici e privati, che sono individuati con chiarezza
come i principali responsabili dello stato di salute dei lavoratori nei
luoghi di lavoro tendono, con la complicità di tanti, ad una
applicazione cartacea delle norme e ad una sottovalutazione della
qualità dei luoghi di lavoro, continuando a ritenere come costi poco
utili alla ricchezza dell’azienda i sistemi di prevenzione e protezione
· La
pubblica amministrazione, intesa non come datore di lavoro, accoglie il
decreto legislativo con estrema contrarietà. L’INAIL, il Sistema
Sanitario, i soggetti indicati per la repressione e la prevenzione
respingono a priori il sistema partecipativo e di chiara
responsabilizzazione che mette in campo il decreto legislativo. Essi si
sono formati negli anni non per prevenire ma per pagare gli infortuni.
Penso che non sarebbe esagerato dire che la loro è stata una esistenza
basata sulle disgrazie dei lavoratori;
· Nel
sindacato confederale e nelle categorie ci sono filoni di pensiero che
continuano a tifare per la monetizzazione della salute e vedono con
notevole fastidio le modalità applicative del decreto legislativo
626/94. Basti ricordare tutto il dibattito che c’è stato, e per alcuni
continua ad esistere, sulla figura del Rappresentante dei Lavoratori per
la Sicurezza: deve essere eletto, come sancisce l’art. 20, o deve essere
nominato dal sindacato, basti ricordare il sostanziale silenzio che
esiste sui Comitati Paritetici ai vari livelli.
Classe politica, datori di lavoro, pubblica amministrazione e sindacato
sono i soggetti che con compiti e responsabilità diversi devono
garantire, attraverso l’applicazione di norme e la contrattazione, che i
lavoratori operino nei luoghi di lavoro con un indice di sicurezza che
si avvicini il più possibile al 100%.
I dati sugli infortuni, il numero di orfani e vedove, il raffronto con
gli altri paesi europei ci dice non solo che non ci avviciniamo al 100%
di sicurezza ma che in confronto allo sviluppo del sistema produttivo ci
allontaniamo sempre di più sia dal contesto europeo, sia da
“tollerabili” indici di accettabilità del fenomeno.
Il nostro comparto, in particolare, continua ad essere tra quelli che
guidano le classifiche negative degli infortuni e delle malattie
professionali, sommando ai rischi tradizionali i nuovi rischi derivanti
dalla meccanizzazione e dall’utilizzo di nuove tecniche di produzione.
Le differenze sono anche geografiche e per singoli settori. Il Piemonte
è diverso dalla Calabria e il settore della macellazione è diverso dal
serricolo.
Per questo ritengo sia utile discutere delle direttrici che mettano
tutti noi nella condizione di poter gestire
con il coinvolgimento convinto dei lavoratori il decreto legislativo 626
e la contrattazione ad esso collegato in modo univoco, senza differenze
o sconti verso il sistema delle imprese o verso la pubblica
amministrazione. Senza dover affermare, e alcune volte anche in accordo
con i padroni, che un infortunio o una morte si siano verificate “per
responsabilità” del lavoratore o “per una tragica fatalità”.
Quando parlo di “noi” non parlo del singolo dirigente sindacale o della
singola struttura. o solo della CGIL o della FLAI, ma di tutti i
soggetti che fanno relazioni sindacali. E proporzionando i soggetti
sindacali ai dati possiamo dire che qualcuno bara, che ci sono soggetti
sindacali che predicano bene ma razzolano male.
Nel nostro comparto tra il 1995 e il 1997 si sono sottoscritti gli
accordi nazionali con le controparti relativi alla applicazione degli
art. 18, 19 e 20 del decreto legislativo 626/94, sui RLS e sui Comitati
Paritetici per i contratti dell’industria alimentare, dell’associazione
allevatori, dei consorzi di bonifica, dell’ortofrutta, dei consorzi
agrari, degli operai e degli impiegati agricoli, della cooperazione
agricola e industriale.
A seguito di ciò bisognava:
· costituire
i Comitati Paritetici a livello nazionale e territoriale;
· indire
le elezioni dei RLS;
· aggiornare
ed adeguare la contrattazione di 2° livello a questa nuova realtà;
· definire
i contenuti dei pacchetti formativi per i componenti dei comitati e per
i RLS;
· costituire
e gestire le banche dati e fare fronte alle controversie tra lavoratori
e datori di lavoro.
Bisognava, inoltre vigilare su una maggiore rispondenza dei documenti di
valutazione dei rischi con gli obiettivi che il decreto legislativo, la
contrattazione e il buon senso si erano posti, cioè eliminare o ridurre
al minimo le fonti di pericolo e di rischio per i lavoratori.
Considerata la vastità del fenomeno era ovvio pensare ad una maggiore
repressione da parte degli Ispettorati del Lavoro, del servizio
sanitario, dell’Inail, dell’Ispesl, dei Vigili del Fuoco, della
Magistratura.
Ci si poteva attendere anche una maggiore attività conflittuale e
contrattuale del sindacato.
I numeri, sia quelli dell’Inail sia quelli sui Comitati Paritetici, che
sui RLS, purtroppo ci dicono che tutto ciò o non è stato fatto, o le
cose realizzate sono in un quadro nazionale di gran lunga insufficienti,
o le singole iniziative non hanno determinato che la sicurezza nei
luoghi di lavoro fosse assunta a sistema e a prassi consolidata..
In questo contesto dobbiamo inserire l’attuale fase contrattuale dei
rinnovi dei contratti nazionali dei lavoratori agricoli, della
cooperazione agricola e della forestazione e gli stessi rinnovi della
contrattazione di secondo livello di gruppo e di azienda nell’industria
alimentare.
Penso che sia importante partire con il piede giusto, non solo sulle
questioni di merito delle piattaforme, ma anche su quelle di metodo.
Anzi, sono convinto che il metodo assume un significato particolare. che
riguarda il livello di coinvolgimento dei lavoratori a tutte le fasi
della contrattazione, dalla approvazione delle piattaforme, alla
trattativa, e alla approvazione dell’ipotesi di accordo.
Se ciò vale per la fase contrattuale ancora da costruire, a maggior
ragione vale per la
applicazione reale e convinta del decreto legislativo 626/94. Saremmo
poco credibili al tavolo delle trattative con le associazioni padronali
o negli incontri con il Ministero della Sanità o del Lavoro se ci
presentassimo con pochi Comitati Paritetici Nazionali, regionali o
Provinciali esistenti e funzionanti, o con poche RLS esistenti e
funzionanti, o – ancora – con una attività politico-sindacale poco
visibile.
Penso che ci siano le condizioni per un forte recupero e per una
adeguata iniziativa che ponga le basi per una forte fase di
contrattazione nazionale che non sia di rimando ai successivi livelli o
a commissioni e comitati che poi non si riuniscono.
Per rendere visibile ed esigibile dai lavoratori l’indicazione che la
Confederazione ha dato del 2001 come l’anno della sicurezza nei posti di
lavoro dobbiamo lanciare una
forte campagna di applicazione del decreto legislativo 626/94, a partire
da uno o più momenti nazionali di coinvolgimento dei delegati aziendali,
dei RLS e dei quadri sindacali in grado di dare una forte spinta ideale
a tutta l’organizzazione.
Il prossimo mese di settembre può essere indicato dal prossimo Comitato
Direttivo Nazionale come il mese della sicurezza dei lavoratori del
nostro comparto. Meglio se coinvolgiamo anche FAI e UILA, altrimenti va
bene anche solo come FLAI insieme con la CGIL.
Una forte e coerente iniziativa sindacale deve mettere la categoria sui
binari di un protagonismo positivo in contrapposizione ad un
protagonismo negativo che ci vede tra i primi posti delle classifiche
settoriali per incidenti e infortuni mortali.
Mi sembra inoltre utile lanciare una forte campagna di informazione e di
produzione di materiale informativo, insieme alla costituzione di un
centro di documentazione da pubblicare nel nostro sito che raggiunga il
duplice obiettivo di divulgare quello che già abbiamo prodotto e che
produrremo, e di farlo conoscere a tutta la FLAI, alla CGIL e alla
società. Curare l’informazione sia quella tradizionale sia quella in
rete, mi sembra uno dei nodi principali da dipanare.
Maggiore è la visibilità, maggiore è la popolarità delle questioni che
mettiamo in campo, maggiore è il livello di partecipazione dei
lavoratori, maggiore è il coinvolgimento positivo di tutti quei soggetti
pubblici coinvolti dal decreto legislativo. Per ultimo penso alle
conseguenze positive che diamo sul fronte aziendale sia per migliorare i
processi produttivi sia per innalzare il livello di qualità dei
prodotti.
Deve essere chiaro, che la nostra attività non deve essere finalizzata a
se stessa, tanto per partecipare. Dobbiamo prevedere per i prossimi mesi
una intensa attività formativa in grado di allargare in tutto il
territorio nazionale e in tutti i settori della nostra categoria il
livello di coinvolgimento dei quadri e dei delegati.
Ma dobbiamo essere anche in grado di lanciare una forte campagna di
denuncia delle omertà, delle omissioni, delle false applicazioni del
decreto legislativo e delle applicazioni cartacee, dei forti interessi
speculativi che in questi anni si sono formati attorno al decreto, delle
false efficienze degli istituti pubblici come l’INAIL e le Aziende
Sanitarie, della non visibilità della magistratura e delle forze
dell’ordine.
Dobbiamo anche denunciare la scarsa utilità della politica nei confronti
degli imprenditori, basata sulla erogazione di risorse finanziare senza
che a ciò si affianchi una forte azione repressiva e di controllo.
Due sono i principali soggetti pubblici che sono preposti alla
repressione: l’INAIL e le Aziende Sanitarie.
Il primo, pur continuando a riscuotere i contributi assicurativi dei
lavoratori, pur essendo stato difeso nel proprio ruolo di soggetto
indispensabile nella assistenza e nella prevenzione degli infortuni
dagli attacchi che venivano da
settori di destra e del padronato, continua ad avere un ruolo a dir poco
ambiguo sia nei confronti dei lavoratori infortunati sia delle aziende.
Nei confronti dei lavoratori
assistiamo ad una ambiguità tutta negativa; infatti pur chiamandoli
utenti o clienti, esso ha nei loro confronti un atteggiamento che si
manifesta in una pessima e burocratizzata erogazione di servizi e in una
gestione dei singoli eventi fatta con distacco ed inefficienza. Invece un
ruolo ambiguo,tutto in positivo, è riservato ai datori di lavoro
attraverso una sostanziale mancanza di controlli sia sulla prevenzione
nelle aziende, sia sulla repressione post infortunio. Malgrado il lungo
elenco di morti e feriti presenti nel
nostro paese i rapporti con le aziende (potremmo dire con i carnefici)
sono improntati sulla cordialità, sulle opportunità informative, sui
condoni, sulla erogazione anche di risorse economiche che non fanno
diminuire né i morti né i feriti. Sono troppo pochi i datori di lavoro
che pagano il conto con la giustizia
Il secondo soggetto pubblico, cioè il Sistema Sanitario, quello presente
nei territori, quello che dovrebbe ricevere e analizzare i documenti di
valutazione dei rischi, quello che dovrebbe controllare i rumori, le
fonti di luce, le fonti di calore, gli ambienti di lavoro, la efficienza
dei dispositivi di protezione individuali, le fonti di pericolo e di
rischio materiali e immateriali, quello che dovrebbe controllare i
macelli, i vivai, le serre, le stalle, i magazzini ortofrutticoli, i
pastifici, le linee di imbottigliamento o di briccaggio o di
conservazione, i pescherecci, i
trattori, etc…, questo soggetto raramente è visibile nelle aziende.
In questo contesto dobbiamo sviluppare sia la nostra iniziativa
generale, sia quella contrattuale.
Avendo le carte in regola, o avendo messo in moto il processo di
“regolarizzazione” sindacale nella nostra categoria siamo in grado di
produrre una concreta, coerente ed esigibile attività contrattuale
a partire dai prossimi rinnovi contrattuali.
Mi sembra utile partire da una messa a regime dei comitati paritetici.
Già un passo in avanti è stato fatto in queste settimane per il Comitato
paritetico nazionale dei lavoratori e degli impiegati agricoli.
La nostra è una categoria dove la centralità è rappresentata dal lavoro
stagionale, flessibile e a tempo determinato ed è pertanto opportuno che
nelle piattaforme contrattuali vengano affrontati i seguenti argomenti:
· merito
del funzionamento dei Comitati Paritetici;
· reperimento
delle risorse relativo al funzionamento dei comitati ( una strada può
essere rappresentato dall’utilizzo dei canali dell’assistenza
contrattuale);
· istituzione
dei RLST;
· previsione
di risorse economiche gestite dai Comitati Paritetici per il sostegno ai
RLST, sia per la contribuzione che per la retribuzione;
· individuazione
di competenze vincolanti per i soggetti contrattuali sulle questioni
della formazione ai RLS, ai RLST e della informazione ai lavoratori;
· costruzione
di un modelle di relazioni costanti delle attività tra i Comitati
Paritetici e i soggetti pubblici previsti dal decreto legislativo;
· possibilità
da parte dei Comitati Paritetici superiori (nazionale) di sostituirsi ai
Comitati Paritetici inferiori (provinciali) al fine di garantirne
comunque la funzionalità;
· istituzione
di banche dati settoriali a livello nazionale;
· unificare
le diverse aree contrattuali dei Comitati Paritetici o per
determinazione contrattuale e/o per omogeneità previdenziale.
Per ultimo, dobbiamo avere ben presente che fino a questo momento ho
parlato dei lavoratori ufficiali, di quelli messi in regola, di quelli
verso i quali si applicano leggi e contratti. Esiste un altro spaccato
della nostra categoria che è rappresentato dai lavoratori in nero, dai
clandestini, da quelli ai quali l’applicazione di leggi e contratti è
negato.
Si può dire che ad ogni lavoratore legale corrisponde un lavoratore in
nero. Ad ogni infortunio denunciato né corrisponde uno non denunciato.
Anche per questi lavoratori la FLAI deve essere in grado di porsi come
punto di riferimento capace di farli emergere dalla clandestinità e
farli diventare soggetti in grado di esigere i diritti contrattuali e di
legge.
Questi possono essere alcuni temi da sviluppare nella fase di
preparazione delle piattaforme contrattuali e sono certo che gli
interventi che ci saranno in grado di arricchire i
temi indicati con ulteriori proposte.
La sicurezza alimentare costituisce un diritto dei cittadini, una domanda ineludibile dei consumatori e un’esigenza imprescindibile per i produttori.
La scelta della qualità, in un sistema produttivo omogeneo, a sua volta offre un di più utile e auspicabile, cui vale la pena mirare per migliorare la competitività;
L’articolo 18 (“Promozione dei processi di tracciabilita'”) del Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (“Attuazione legge d’orientamento dei mercati in agricoltura”) prevede misure di sostegno per chi adotta procedure di tracciabilità.
La Dichiarazione d’Intenti, sottoscritta in sede CNEL in data 17 maggio 2001, prevede impegni tra le parti sociali, dell’impresa e del lavoro, per realizzare Accordi Volontari in materia di qualità e sicurezza alimentare.
Le parti esprimono unanime convinzione che la costruzione di un percorso di tracciabilità dei prodotti “dal campo alla tavola” vada realizzato e scadenzato nel tempo con l’accordo e la condivisione, così da garantire la qualità e la sicurezza dei prodotti, ma anche le condizioni di redditività del settore.
Pertanto, le parti in sede contrattuale dovrebbero impegnarsi reciprocamente:
- nell’attuazione e nello sviluppo delle proposte concordate in sede CNEL, per gli aspetti di competenza delle singole filiere coinvolte;
- nell’attuazione del Decreto Legislativo18 maggio 2001, n. 228, ed in particolare:
a) costituire un tavolo di confronto sugli articoli 18 (Promozione dei processi di tracciabilità), 22 (Sorveglianza rinforzata) e 24 (Indicatori di tempo e temperatura);
b) adoperarsi nei confronti della Commissione interministeriale per la sicurezza alimentare, di cui all’articolo 19, per il buon fine delle iniziative;
c) confrontarsi preventivamente sulle materie oggetto di eventuale concertazione al tavolo agroalimentare, di cui all’articolo 20 (istituti della concertazione);
Allegato testo
Dichiarazione d’intenti
tra le parti sociali dell’impresa e del lavoro
per la realizzazione di accordi volontari per
la qualità e la sicurezza alimentare
Premessa
I vertici delle parti sociali, riunitisi il 14 marzo scorso con il
Presidente del Cnel, Pietro Larizza, hanno concordato sulle linee di
fondo e sulle proposte del documento (allegato alla presente
dichiarazione) predisposto dal Gruppo di Lavoro - allargato ad esperti
delle componenti sociali della filiera agricolo alimentare - sul tema
della sicurezza alimentare.
In particolare, hanno convenuto sull’importanza di ricreare un clima di
fiducia nei consumatori quale elemento indispensabile per superare in
positivo la crisi che sta attraversando tutta l’Unione europea
relativamente alla diffusione della BSE, alla sua prevenzione e, più in
generale, alla prevenzione di ulteriori situazioni di allarme attraverso
meccanismi che garantiscano la sicurezza sanitaria e, soprattutto, che
valorizzino metodi e produzioni di qualità.
E’ stato da tutti condiviso che, se la sicurezza alimentare costituisce
un diritto dei cittadini europei e non solo europei, una domanda
ineludibile dei consumatori e un’esigenza imprescindibile per i
produttori, la scelta della qualità in un sistema produttivo omogeneo, a
sua volta, offre un di più utile e auspicabile, cui vale la pena mirare
per migliorare la competitività.
E’, altresì, convinzione unanime dei soggetti interessati che la
costruzione di un percorso di tracciabilità dei prodotti “dal campo e
dal mare alla tavola” vada costruito e scadenzato nel tempo con
l’accordo e la condivisione delle parti, così da garantire la qualità,
ma anche le condizioni di redditività del settore.
Ritengono che il CNEL rappresenti la sede più adeguata per l’individuazione e la costruzione di alcuni accordi volontari “pilota”, realizzati secondo procedure e con forme di certificazione riconosciute su scala internazionale e a questo fine si impegnano a lavorare di comune accordo su questo obiettivo.
Impegni delle Parti
Le organizzazioni e gli enti firmatari di questa dichiarazione si
impegnano a sottoscrivere accordi volontari “pilota” di filiera per
consentire una maggiore trasparenza e informazione dei consumatori,
garantire per questa via la qualità dei prodotti prescelti e accedere ad
una maggiore competitività del sistema produttivo nazionale “dal campo e
dal mare alla tavola”.
Per dare corso alla presente dichiarazione, in una prima fase, si
avvieranno approfondimenti relativamente alle seguenti filiere:
ortofrutticoli freschi, carni fresche e trasformate, pesce, latte.
Il Cnel si impegna a garantire:
la costituzione di un gruppo di esperti, con specifiche competenze sulle
tematiche evidenziate, al fine di costruire una prima griglia
procedurale sulla quale costruire via via il consenso delle parti
sociali interessate;
il supporto tecnico e organizzativo al gruppo degli esperti e al tavolo
delle parti sociali, come fin qui avvenuto;
le forme più opportune di comunicazione e diffusione delle pratiche e
delle procedure attivate, previo accordo degli interessati;
un’azione tempestiva dell’Assemblea in tutte le sedi deputate (Governi
nazionale e regionali, Parlamento) relativamente alla sollecitazione e
all’attivazione di meccanismi premiali
in favore dei soggetti che volontariamente sottoscriveranno il Patto e i
singoli accordi e ne garantiranno il buon andamento.
La presente dichiarazione impegna a costruire un patto fra i
sottoscrittori e i conseguenti accordi volontari, di cui parti
contraenti saranno ovviamente anche i livelli istituzionali responsabili
e le associazioni rappresentative dei consumatori.
Cnel,17
maggio 2001
***********************
1) Il
registro degli infortuni;
2) Il
registro degli esposti a rischio (chimico, biologico,
muscoloscheletrico, termico, da videoterminale, etc);
3) Il
registro dei dati biostatistici (summa dei libretti sanitari);
4) Il
registro dei dati ambientali (monitoraggio e analisi ambientale dei
luoghi chiusi);
5) La
scheda di rischio delle sostanze utilizzate;
6) La
scheda di sicurezza degli impianti e/o delle macchine.
a) L’accesso
al registro degli infortuni deve essere regolamentato nel contratto, in
ragione delle norme sulla privacy. Ciò che è necessario comunque
ricavare, è estrapolare i dati relativi ai parametri di frequenza e
gravità nonché di particolari dinamiche, al fine di individuare le
azioni da porre in atto per ridurne od eliminarne le cause.
b) Il
registro degli esposti a rischio definisce chi e a che cosa è esposto
(fondamentale ai fini della tutela della salute ma anche ai fini
giuridici).
c) I
dati biostatistici servono: da un lato, a controllare la veridicità dei
dati sugli infortuni (la tendenza recente è di indicare ai lavoratori di
non denunciare l’infortunio e mettersi in malattia), basta confrontarli
per anno in rapporto agli andamenti, dall’altro, a capire le ragioni di
fondo delle cause di morbilità.
d) Il
registro dei dati ambientali presuppone la volontà di tenere sotto
controllo tutte le situazioni di esposizione, non solo quelle a rischio
chimico, biologico, et cetera.
e) La
scheda di rischio delle sostanze utilizzate serve a capire il livello di
tossicità delle sostanze stesse (per stabilire eventuali sostituzioni
con sostanze meno tossiche) e le modalità d’uso e manipolazione in
sicurezza.
f) La
scheda di rischio degli impianti e delle macchine serve a capire il
livello di rischio connesso a queste strutture. Nel caso degli impianti
vale la pena valutare se non ricorrano i termini previsti dalle norme
sui rischi di incidente rilevante industriale, per i quali occorre, da
parte aziendale, predisporre un Piano di Sicurezza esterno connesso a
quello interno (previsto dal 626 – valutazione etc.).
Infine occorre raggiungere il livello di prevenzione dettato
dall’analisi dell’organizzazione del lavoro, dell’ergonomia dei posti di
lavoro, dell’orario di lavoro e degli organici. Particolare attenzione
va posta al tema della manutenzione e degli appalti a terzi.
La sorveglianza sanitaria (modalità e strumenti).
La sorveglianza sanitaria è un dovere del “medico competente” in presenza di un rischio – chimico, biologico, muscoloscheletrico, termico, da videoterminale, etc. – registrato dalla valutazione dei rischi.
Su questo argomento, però, occorre sostenere che:
- il medico (“competente per attribuzione di potere” non sempre per lo è anche per capacità professionale) sappia fare le cose per bene*, cioè realizzi il “registro degli esposti” e che lo faccia attraverso la collaborazione con il Servizio di prevenzione della ASL afferente; Asl che deve sapere cosa c’è di importante nel proprio territorio (per ragioni di reperimento delle risorse e programmazione di interventi, organizzazione e strumentazione);
- il programma di sorveglianza sanitaria sia verificato con il RLS, sia prima di contattare l’Asl che dopo aver definito il modello, al fine di avere la massima informazione sulle ragioni e sulle finalità alla base delle modalità di sorveglianza (visite, analisi, etc.) da fare;
- l’informazione da fornire ai lavoratori e ai RLS sia definita e sostenuta contrattualmente;
- la funzione della sorveglianza sanitaria sia quella di “tutelare” la salute e la sicurezza del lavoratore e non di danneggiarlo (contrattare procedure di garanzia per quanto attiene l’eventuale “valutazione di idoneità alla mansione”).
* Chiedere sempre il curriculum del M.C. e verificare che sia medico del lavoro o che abbia le condizioni indicate dal 626.