Palermo
La Provincia di
Catania rappresenta un caso forse unico nel nostro Paese, per la
ricchezza di varietà di produzioni agricole, di qualità e tipicità.
Tuttavia, mancando quel sistema
di filiera che garantisca la
trasformazione e la commercializzazione dei
prodotti per
i grandi mercati
nazionali ed europei, queste grandi potenzialità non si sono finora
trasformate in fattori di sviluppo stabile e duraturo.
Emblematica in questo senso, è la condizione che vive il comparto
agrumicolo.
Un comparto polverizzato in migliaia di aziende che riescono a trattenere solo il 24% del valore finale del prodotto, contro il 64%, ad esempio dei concorrenti spagnoli
La produzione di arance della Provincia Etnea insieme a quella di
Siracusa, è di tipo pigmentato
o arancia rossa IGP (indicazione geografica protetta) ed è la sintesi
perfetta tra elevata qualità e tipicità strettamente legata
al territorio che va ricordato garantisce l’occupazione a 20 mila lavoratori
agricoli.
Ogni anno, in gennaio si svolge una campagna di
promozione legata alla manifestazione “Arance della Salute” organizzata
dall’AIRC (Associazione italiana per la Ricerca sul Cancro) in
collaborazione con la Regione Sicilia, che ne pubblicizza la
particolare ricchezza di
antiossidanti e di sostanze protettive contro il cancro.
Nonostante ciò, anche quest’anno le associazioni dei produttori
denunciano un calo del venduto pari al 30 -40 per cento delle arance da
tavola, di qualità elevata, mentre è in crescita il conferimento
all’industria, per la trasformazione in succhi, che ormai viaggia al
ritmo del 2.5% annuo.
Il trend positivo che riguarda soltanto i succhi, rischia di essere
messo in discussione, dalla circolare del Ministro alle Attività
Produttive Antonio Marzano che ha aperto la
strada alle bevande cosiddette
di fantasia al gusto di frutta che,
pur prive di
succo di agrumi, ma ricche di aromatizzanti e coloranti, possono riportare
sull’etichetta la dizione “al
gusto di limone” o “al sapore d’arancia”, ed immagini con esplicito riferimento
alla frutta che non c’è.
A seguito delle proteste sollevate dalle organizzazioni sindacali,
dalle associazioni dei produttori, da quelle dei consumatori, da
numerosi Consigli Comunali e Provinciali di
Catania e della Sicilia che hanno chiesto la modifica o il ritiro del
provvedimento, il Ministro ha promesso un tavolo sulla
etichettatura degli alimenti con tutte le associazioni, di cui ancora
però non si ha notizia.
Risulta evidente che la deregulation sul
fronte della etichettatura, arrecherebbe
un danno non solo all’economia ma anche all’immagine della
produzione siciliana poiché gli
effetti sarebbero dirompenti non
solo per il
trasformato, ma anche
per il mercato del fresco, poiché la conseguente minore richiesta da
parte dell’industria, provocherebbe l’immissione sul mercato, di
produzioni meno pregiate oggi destinate alla trasformazione.
Sono certo, che la
FLAI di Franco Chiriaco e di Italo Tripi che si è fin
qui caratterizzata per il sindacato del territorio, che vuole essere
attore dello sviluppo sostenibile, che fa della sicurezza alimentare e
della certificazione di qualità punti qualificanti e
strategici della sua iniziativa,
continuerà ad essere in prima linea nel contrastare le sciagurate scelte
del Ministro Marzano.
Nel settore agro – alimentare con particolare riferimento alla filiera
lattiero – casearia, si sono affermate due aziende : Zappalà e Latte
Sole presenti non solo sul
mercato regionale ma anche fuori da
questo ambito.
La più antica delle due, è la Latte Sole fondata mezzo secolo fa
dall’imprenditore Pugliesi – Cosentino che nel periodo di maggiore
espansione produttiva, aveva aperto anche due stabilimenti
rispettivamente nel Lazio ed in Emilia Romagna,
successivamente ceduti. Poi nel 2000 è stata acquisita da Parmalat
quando ancora si chiamava “Gala
Italia SpA” con i suoi due stabilimenti a Catania (latte) e Ragusa
(formaggi e mozzarelle).
Nel 2003 ha prodotto ricavi per 72 milioni di euro, ad essa conferiscono
il latte 750 piccole e medie imprese e nella misura di oltre il 50% del
latte prodotto in Sicilia pari a 86 milioni di litri l’anno.
Insomma, un’azienda sana tant’è che è l’unica
(assieme alla centrale del Latte di Roma) società del
gruppo Parmalat, all’indomani del
crac, per cui il commissario Bondi, non ha chiesto l’ammissione alla
procedura di amministrazione straordinaria.
Nonostante ciò, e nonostante l’azienda catanese detenesse linee
di credito autonome, completamente slegate dalla Parmalat, a cui non
sono riconducibili né fideiussioni e né alcun tipo di garanzia bancaria,
inopinatamente e senza preavviso gli istituti di credito con in testa il
Banco di Sicilia hanno
prima sospeso e poi revocato gli affidamenti, mettendo a rischio il
futuro dell’azienda dei suoi 171 dipendenti diretti e di oltre mille
nell’indotto e la stessa sopravvivenza della filiera del latte in
Sicilia.
Il caso vuole che, in questi giorni stiamo vivendo un’esperienza simile
con un’altra realtà produttiva “La Cesame” azienda storica catanese che
produce ceramica sanitaria.
Ammessa alla procedura Prodi/bis è intervenuto successivamente un
accordo tra
il Commissario governativo
e le OO.SS. con il coinvolgimento delle istituzioni locali e
del Governo regionale, determinando così le condizioni per
la ripresa produttiva
ed il rilancio.
Tuttavia, nonostante l’azienda sia piena di
ordini, non
si possono acquistare le
materie prime, pagare le spettanze arretrate ai lavoratori, pagare gli
agenti incaricati oltretutto della riscossione dei crediti, perché
ancora una volta il Banco di Sicilia unico del cartello delle banche
coinvolte nell’operazione di rilancio, ha limitato il suo impegno
finanziario condizionando così negativamente il
comportamento delle altre banche di
interesse Nazionale, che hanno rivisto al ribasso le loro disponibilità
mettendo così a rischio il
futuro dell’Azienda.
Va ricordato che il Banco di Sicilia, che fa capo al Gruppo Capitalia,
ha una presenza capillare sul territorio regionale, e che la Regione ne
conserva una quota azionaria, tant’è che il Presidente della Regione
Cuffaro siede nel Consiglio di Amministrazione, e se
così rappresenta gli interessi della Sicilia sarebbe bene si
dimettesse.
Abbiamo sempre saputo e
denunciato che in Sicilia il rapporto tra impieghi bancari
e risparmio è sbilanciato, aggirandosi sul 67% mentre in alcune aree del
nord supera il 125%, questo secondo gli ultimi dati a
nostra disposizione.
Ma i due casi (Latte Sole e Cesame) che ho ritenuto inizialmente due episodi
da considerare fuori da un contesto generale, sembrerebbero invece
costituire una tendenza consolidata.
Me lo fanno pensare, le
risultanze di una
recente indagine voluta dal Cnel sull’evoluzione del sistema bancario
meridionale, da cui si evince che le banche con sede legale nel
Mezzogiorno hanno assunto fra il 1990 e il 2002 comportamenti così
conservativi da essere la causa della
minore crescita degli impieghi registrata nelle regioni meridionali.
Dal documento del Cnel arriva
una smentita alle
nostre convinzioni che imputano alle banche del
Nord la colpa di sottrarre i risparmi del
Sud per trasferirli altrove.
Anzi lo studio sottolinea che
gli istituti di credito centro – settentrionali, nello stesso periodo hanno
aumentato i loro finanziamenti al Sud in
misura sostanzialmente analoga a
quanto fatto
nel resto
del Paese e
in misura grosso modo equivalente
a quanto raccolto nella
stessa area.
Comunque sia, resta ineludibile porre l’urgenza di una modifica della
politica del credito nel nostro Paese, non solo come evidenziato nel
dibattito politico odierno,
dopo i crac Cirio
e Parmalat, in direzione di una maggiore tutela dei risparmiatori, ma
anche in direzione del
sostegno alla
crescita economica del Paese e
del Mezzogiorno in particolare, dove il costo del
denaro è più elevato rispetto al Centro – Nord e questo rappresenta un
fattore estremamente
penalizzante.
Ritornando al tema.
Un fiore all’occhiello
del settore agro – alimentare della Provincia Etnea è costituito dal
comparto apicolo di Zafferana. Qui vi sono 300 aziende che producono fino
a 2000 tonnellate di miele l’anno pari al 20% della produzione
nazionale, con un fatturato di 15 milioni di euro.
A differenza di quanto avvenuto per
altri comparti, la
tendenza dei produttori ad unirsi è stata fortissima ed è
stata la scelta vincente.
Il 70% dell’invasettato prende
la strada della grande distribuzione con
etichette di aziende locali, tra
il 10 – 15% viene fornito ai
grandi marchi
nazionali ed
il rimanente prende la
strada dell’industria
dolciaria e della pasticceria.
Il 70% del prodotto invasettato
è miele di fiori d’arancio
per i quali i produttori locali chiedono invano da tempo il
riconoscimento dell’IGP (Indicazione geografica
tipica).
Anche il comparto vitivinicolo sta vivendo una nuova stagione di
rilancio soprattutto nell’area dell’Etna, rinverdendo il periodo d’oro
degli inizi del 900, quando fu costruita la ferrovia circumetnea con
lo scopo di trasportare , il vino prodotto fino
al porto di Riposto da
dove partivano
le navi che
lo commercializzavano per tutto il Mediterraneo.
Oggi, sono cambiate le modalità di trasporto e le destinazioni ma il
vino dell’Etna sta conquistando mercati
esteri, come quello
degli USA, dell’Olanda, del Belgio.
A questo proposito pensiamo che l’Etna per
la notorietà che ha nel mondo per
essere il più importante
vulcano attivo d’Europa, per
il suo straordinario patrimonio
naturalistico e ambientale, con
i suoi boschi, in cui ricordo vi lavorano 5 mila forestali, con i suoi
prodotti tipici e di qualità (vino, miele, pistacchio, frutta), può
diventare un marchio formidabile per
la promozione e la commercializzazione dei suoi prodotti.
Pertanto, pensiamo che l’Ente Parco, che nella sua azione di
tutela e conservazione dell’ambiente, viene da
taluni periodicamente indicato come elemento di freno dello sviluppo economico
dell’area, può rafforzare la
sua funzione positiva, attribuendogli il compito di controllo,
certificazione e tutela della qualità dei prodotti del Distretto agro –
alimentare del Vulcano.
Un’altra produzione interessante è costituita dal ficodindia di San
Cono, una
coltivazione considerata
un tempo marginale, usata soprattutto per segnare i confini, per
contenere le frane e
che per una felice intuizione degli agricoltori di questo piccolo Comune,
negli anni 80
è diventata una coltivazione intensiva
con impianti razionali e moderni, che dà reddito a
circa il 70% della popolazione residente
La produzione annua si
attesta su
25 mila tonnellate , pari al 50% della produzione regionale con un giro
d’affari di 3 milioni di euro.
Il successo di questa coltivazione si deve all’alta qualità del
prodotto di cui si chiede il marchio DOP (Denominazione di origine
protetta) ed anche all’eliminazione
delle spine tramite
apposite macchine despinatrici.
Questo prodotto che viene esportato non solo in Europa ma anche in
Canada e Australia,
va consumato entro sette giorni dalla raccolta e quindi si ripropone il
problema di
un sistema di
commercializzazione più efficiente e adeguato.
Il tempo a mia disposizione mi
impedisce di continuare la descrizione dei
comparti e delle problematiche presenti nell’insieme del sistema agro –
alimentare catanese.
Concludendo, vorrei fare alcune considerazioni finali.
Come è facile prevedere, l’appuntamento del 2010 che vedrà la nascita di
una zona di libero scambio nel Mediterraneo, che
sono certo porterà grandi benefici, provocherà pure l’invasione
nei nostri mercati ed in quelli dell’UE di prodotti agro – alimentari dei
Paesi Terzi estremamente competitivi dal punto di vista dei prezzi al
consumo.
Pertanto, l’unico modo per reggere la concorrenza sarà di puntare sulla
qualità dei nostri prodotti.
I consumatori dovranno quindi essere messi nella condizione di
riconoscere la qualità che significa in
primo luogo sicurezza alimentare e dovranno essere abituati all’idea che
la qualità costa di più.
Per garantire la qualità, è necessario implementare la collaborazione
con l’Università ed i centri di ricerca, nel settore agro – alimentare.
A questo proposito nella nostra Provincia esistono esperienze
interessanti, che però vanno
potenziate ulteriormente, mi riferisco all’”Istituto sperimentale di
agrumicoltura” ed al “Parco Scientifico e Tecnologico”. Accanto a
questo, bisogna puntare a riformare unificandolo il sistema di
commercializzazione e a incrementare l’attività
di promozione.
Manifestazione Regionale
“Dall’agricoltura una forte e competitiva industria
alimentare per lo sviluppo della Sicilia,
il lavoro e il salario”