RELAZIONE DI SALVATORE LO BALBO,


 

 

RELAZIONE DI SALVATORE LO BALBO,

SEGRETARIO GENERALE DELLA FLAI-CGIL SICILIA,

ALL’ATTIVO REGIONALE UNIARIO DI FAI, FLAI, UILA

SUL SETTORE AGRUMICOLO TENUTOSI A LENTINI IL 23/02/2007.

 

 

Che cos’è la Filiera

 

PRODUZIONE

 

la superficie è concentrata nell’Italia meridionale (99%) (Sicilia, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna), di cui in Sicilia presente circa il 60% e il Calabria il 24% (poco più di 100.000 ha la prima e circa 42.000 ha la seconda). La produzione rispetta mediamente le stesse proporzioni (54% la Sicilia e 32% la Calabria). Le differenze sono dovute alle tecniche colturali e alle finalità che ha il prodotto: in Sicilia consumo allo stato fresco e in Calabria destinato alla trasformazione.

In Italia la produzione di arance (18.000.000 q.li) rappresenta  circa il 62%, prevalentemente concentrate in Sicilia (54%) e in Calabria (30%).

 

Ø     La produzione dei limoni si attesta in circa 5.400.000 q.li, concentrandosi per l’88,7% in Sicilia;

Ø     La produzione di mandarini di circa 1,6 milioni di quintali (Sicilia 55% e Calabria 31%);

Ø     La produzione di clementine è di circa 4 milioni di quintali: la Calabria ne produce il 64%, la Puglia il 14%, la Sicilia il 12%;

Ø     Tralascio le altre produzioni minori come il pompelmo, il cedro, il chinotto.

 

In Sicilia il quadro produttivo agrumicolo è il seguente:

 

la S.A.U. =     Catania          36,8

                    Siracusa         23,3

                     Messina         11,9

 

In particolare: 1) ARANCE  =  CT 42%

                                         SR   27%

                                         EN   10%

                                         AG   6,7%     

                   AG si è specializzata nelle arance a polpa bionda

 

                     2)  LIMONI  =      ME   29%

                                         CT   24%

                                         PA   23%

                                         SR   18%

                    3) CLEMENTINE = CT   45%

                                               RG   26%

                                               SR   18%

 

                     4) MANDARINI =  PA   37%

                                               CT   31%

                                                ME   13%

                                               RG   9%

 

PRODUTTORI

 

 

PICCOLI                MEDI                    GRANDI

 

 

 

ASSOCIAZIONISMO

 

 

COOP.                  CONSORZI                         OP

 

 

COMMERCIALIZZAZIONE (debole)

 

PA          ME         CT          SR          RG

 

SINGOLA       ASSOCIATA

 

OP

 

Ø     Non c’è stata una evoluzione economica

Ø     Poche sono le realtà che riescono a competere razionalmente

Ø     La commercializzazione è praticata nel Centro/Nord

 

 

TRASFORMAZIONE (inesistente)

 

EMMEGI                          ORANFRIZER

 

 

La trasformazione è praticata nel Centro/Nord

 

CERTIFICAZIONE DI QUALITA’

 

IGP     ARANCIA ROSSA

IGP     MANDARINO DI CIACULLI

IGP     LIMONE SIRACUSA

 

 

IL NOSTRO PUNTO DI FORZA = LA PRODUZIONE

PUNTO DI DEBOLEZZA = COMMERCIALIZZAZIONE/TRASFORMAZIONE

   QUALITA’ CERTIFICATA = ASSENTE

 

Ø     Agenda 2000 e tutte le altre politiche pubbliche ci hanno consegnato tanti magazzini e poca commercializzazione.

 

 

In questo quadro L’Italia dimostra difficoltà ad esportare, cosa che rende necessario mantenere alta l’attenzione in particolare sulla domanda interna.

Il mercato domestico, infatti, può crescere in “specificità”, “qualità” e in valore aggiunto, ma quello internazionale può conquistare nuovi consumatori al “mangiare italiano” e consentire al settore di fare un salto in termini di qualità e quantità.

 

MADE IN ITALY, IN SICILY E DIETA MEDITERRANEA.

 

La tendenza commerciale del settore ortofrutticolo, secondo i principali indicatori, è data da un ulteriore incremento delle produzioni mondiali e da un aumento dei consumatori che possono avere redditi adeguati a consumare prodotti ortofrutticoli. In Italia queste diverse attitudini all’acquisto si evidenziano in un calo dei consumi domestici e un incremento dei consumi collettivi, soprattutto attraverso le mense, i locali pubblici, etc… E’ da sottolineare positivamente, inoltre, l’aumentato utilizzo di prodotti biologici nelle mense collettive generaliste (aziende, università, etc…) e in quelle specializzate (scuole, ospedali etc…)

 

Desideriamo sottolineare, in particolare, alcuni aspetti tratti dalla nostra esperienza, e che, a nostro avviso, rappresentano i problemi strutturali del comparto ortofrutticolo Italiano:

 

·        crisi strutturale aggravata da difficoltà congiunturali;

 

·        tendenza nelle singole regioni a specializzarsi in singoli segmenti della filiera (es.: Emilia: produzione pomodoro finalizzata alla trasformazione e commercializzazione; Sicilia per la produzione di agrumi o Puglia per la produzione di pomodoro; Calabria e Campania per la trasformazione rispettivamente di agrumi e pomodori). A grosse linee mentre nel Centro Sud si concentra la parte a più basso valore aggiunto della filiera, al Centro Nord si sviluppa la fase di trasformazione e commercializzazione, a più alto valore aggiunto.

 

·                  In molte parti del paese la presenza del lavoro nero e di condizioni selvagge di sfruttamento rappresentano una drammatica realtà, che condiziona negativamente le possibilità di sviluppo del settore. Inoltre negli ultimi anni la presenza di lavoratori migranti ha determinato l’emergere della figura dello SCHIAVISTA che, senza scrupoli, gestiscono e sfruttano la fame di lavoro di decina di migliaia di uomini e donne.

 

·                  Alle suddette condizioni di illegalità sul lavoro si affianca la presenza della criminalità organizzata (mafia, ndrangheta, camorra e sacra corona unita, a seconda dei territori) che tenta di controllare tutta la filiera. Molte regioni vivono drammaticamente questa realtà che condiziona pesantemente lo sviluppo del settore, a cui oltretutto si accompagnano fenomeni di evasione fiscale e di clandestinità economica che fanno abbassare i livelli di sicurezza alimentare (oltre al danno più generalizzato per la collettività).

 

·                  Utilizzo di semilavorati provenienti da paesi extra UE senza che questi siano dichiarati.

 

·                  Debolezza del concetto di dieta mediterranea se non si presidiano con attenzione fattori quali:

o       ricerca scientifica;

o       sicurezza alimentare (es.:abbattimento dei residui di fitofarmaci);

o       certificazione di qualità;

o       controllo e repressioni delle frodi;

o       potenzialità della produzione biologica

o       educazione alimentare

oltre a quelli già citati in precedenza.

 

·                  Pericolo derivante dal certificare prodotti i cui scarti vengono destinati alla trasformazione, ovvero danno derivante dall’assimilazione tra prodotto di qualità e sottoprodotti

 

·                  Rischio che il calo di investimenti (V. ad esempio la IV gamma) lasci scoperti approvvigionamenti che verranno, poi soddisfatti dalle aziende acquistando all’estero

 

·                  Scarso valore aggiunto del settore nel Meridione d’Italia: è evidente infatti una linea di demarcazione netta tra v.a. nel Centro-Nord, in cui il segmento commerciale della filiera ha un peso maggiore, e v.a. nel Centro-Sud, più orientato alla produzione e quindi più in sofferenza per la concorrenza già proveniente, e potenzialmente in aumento, dei Paesi del Mediterraneo

 

·                  Profilo, posizione e strategie delle attuali OP italiane diversificato per territori.

 

·                  Tendenza delle OP a connotarsi come entità “burocratiche”.

 

·                  Laddove le OP evidenziano una strategia, questa rappresenta gli interessi solo delle imprese più grandi.

 

·                  Debolezza negoziale nei confronti della GDO

 

·                  Scarsa segmentazione del mercato che viene controllato dalla GDO in tutti gli elementi del marketing mix.

 

·                  Basso livello di aggregazione dei produttori e di concentrazione dell’offerta che determinano uno scarso peso contrattuale nei confronti della GDO e la mancata programmazione delle produzioni, con conseguente rischio di produrre di più di quanto il mercato chieda.

 

·                  Peso crescente della GDO nel rapporto produttore/consumatore con tendenza ad un ulteriore sviluppo internazionale non solo sui segmenti bassi del mercato ma anche su quelli alti e specializzati, inglobando e valorizzando anche le specificità territoriali.

 

·                  Azione di lobbying del nostro sistema priva di visione d’insieme ed inefficace.

 

·                  Scarsa attenzione alle esigenze del consumatore.

 

 

 

LE PROPOSTE DI FAI, FLAI e UILA

 

Alla luce dello scenario fin qui esposto, quelle che seguono sono le azioni che riteniamo fondamentali per dare una prospettiva al comparto ortofrutticolo italiano nel suo insieme, e conseguentemente ai lavoratori che vi operano e che dovranno continuare a trovarvi la propria fonte di reddito:

 

·                  Necessità di diffondere il concetto di buona occupazione come fattore di sviluppo e pertanto di  governarne quantità e qualità attraverso un approccio di filiera.

 

·                  Attenzione particolare sui temi del lavoro e dell’occupazione, a partire da:

o       le tipologie contrattuali che vengono applicate ai lavoratori, che si articolano nei CCNL dei settori agricolo, commerciale, cooperazione agricola ed industriale, impiegati agricoli, industria alimentare:

o       le tipologie previdenziali ed assistenziali dell’agricoltura, del commercio, degli impiegati agricoli e dell’industria.

o       la rivalutazione del lavoro come valore etico nonché sociale e civile.

 

·                  Necessità di combattere il lavoro totalmente o parzialmente illegale, lo schiavismo e la criminalità presenti nel settore. A lavoro dipendente illegale corrisponde attività economica illegale e dumping tra le aziende.

 

·                  False coop. di servizi.

 

·                  Adozione della certificazione etica da parte delle imprese attraverso accordi nazionali con le associazioni datoriali.

 

·                  Riconoscimento ed accrescimento del valore della professionalità e competenza del lavoro degli operatori.

 

·                  Razionalizzazione, e diffusione dei marchi di qualità; loro effettiva applicabilità e sostenibilità economica attraverso le diverse realtà nazionali.

 

·                  Aumento delle referenze ortofrutticole brandizzate (quindi ben identificabili) per non relegarle al rango di commodities (basso valore aggiunto); questo non solo attraverso i marchi IGP, O DOP, ma anche attraverso la creazione di marchi riferiti a specifici prodotti.

 

·                  Maggior caratterizzazione della produzione di ortofrutta e ortaggi in base al vissuto salutistico e di sicurezza alimentare che il consumatore già diffusamente le riconosce.

 

·                  Favorire l’approccio di filiera, stringendo maggiormente la relazione tra produzione e trasformazione. soprattutto per gli aspetti relativi a innovazione, programmazione, lavorazione, logistica e commercializzazione.

 

·                  Valorizzazione della vocazione territoriale/ambientale integrando le valenze materiali del territorio (materia prima, infrastrutture) e quelle immateriali (conoscenza , professionalità, cultura del cibo saperi) utili all’innovazione ed alla diversificazione competitiva rispetto all’offerta esogena.

 

·                  Accorciamento della forbice dei prezzi dal seme alla tavola e dal produttore al consumatore attraverso il pieno rispetto dell’etica sociale e produttiva.

 

·                  Incentivazione delle verticalizzazioni produttive imprenditoriali e di filiera perché non sia la sola Grande Distribuzione Organizzata a determinante il rapporto produttore/consumatore

 

·                  Concentrare l’attenzione sul segmento del Fresco, che nel nostro Paese rappresenta di gran lunga il maggior peso per il settore ortofrutticolo italiano con potenzialità di crescita

 

·                  Accorciamento delle filiere a partire dallo sbocco nella ristorazione collettiva istituzionale locale (scuola, ospedali, etc.).

 

·                  Accorciamento della filiera e differenziazione dei canali distributivi (alto contenuto di servizio, alternativi alla GDO,  gruppi d’acquisto, e-commerce, home vending, etc.).

 

·                  Attenzione sul segmento della trasformazione e sugli effetti della OCM: contrastare un calo di investimenti che lasci campo libero alle imprese ad approvvigionarsi dall’estero (oltretutto esportando il nostro know-how).

 

·                  Investire sull’innovazione di prodotto o di processo anche per creare un’alternativa che sostitusca e/o integri la riduzione di alcune  produzioni(es.: nettarine, pesche).

 

·                  Integrazione PAC e PSR per veicolare risorse allo sviluppo finalizzato ad una progettualità strettamente orientata a favorire l’adeguamento del settore alle mutate dinamiche di mercato.

 

·                  Potenziamento della capacità negoziale tra filiere organizzate e GDO, soprattutto straniera.

 

·                  Aggregazione dell’offerta indispensabile per l’accesso soprattutto alla GD.

 

·                  Promuovere una discussione ca. il ruolo che le OP dovranno ricoprire in un’ottica di sviluppo: ovvero implementare la loro capacità di orientamento tenendo conto del settore nella complessità dei soggetti. In effetti, considerato che l’attuale livello di aggregazione di produttori è stimato oggi in circa il 30%, sarà necessario raggiungere il 60%, così come dettava l’OCM, quota indispensabile per determinare una massa critica capace di contrattare con il mercato la grande distribuzione. Un sufficiente livello di aggregazione potrà altresì valorizzare le eccellenze e programmare maggiormente la produzione, azione cruciale in un settore in crisi anche a causa della sovrapproduzione.

 

·                  Sviluppo di un sistema logistico e di trasporti più efficiente che agisca sui flussi delle merci della filiera anziché della singola impresa, in modo da abbattere i costi distributivi, quantificato in circa il 34% dei costi complessivi, e al tempo stesso garantire qualità e contenuti di servizio ai prodotti.

 

·                  Riduzione dell’impatto ambientale dovuto al trasporto in considerazione delle positività anche economiche per il sistema Paese rispetto al protocollo di Kyoto.

 

·                  Aumento della dimensione dell’impresa (fattori favorenti la propensione ad investire in innovazione sia di prodotto che di processo).

 

·                  Necessità di una strategia nazionale, che coordini le peculiarità regionali in termini di sviluppo.

 

·                  Acquisire autorevolezza attraverso una chiara strategia nazionale.

 

·                  Alto livello di attenzione per i consumatori, almeno per due ordini di motivi:

o       sono i soggetti finali di tutto il processo produttivo ortofrutticolo (e alimentare in genere);

o       affrontano, nei paesi sviluppati, in maniera onerosa gli acquisti dei prodotti

o       determinano, nei nuovi mercati, l’ampiezza della nicchia di mercato che potremo occupare nel prossimo futuro.

 

 

Le azioni positive richiamate per noi sono indispensabili per un rilancio strategico del settore e per un suo posizionamento internazionale e nazionale capace di soddisfare le secolari capacità produttive, commerciali ed industriali.

      

       Mentre sul PSR è finalmente in atto un dibattito, è singolare che sull’OCM Ortofrutta assistiamo al massimo a qualche dichiarazione sulla stampa.

      

Chiediamo all’Assessore La Via di aprire un tavolo anche sull’OCM (recuperando anche qua i ritardi accumulati). FAI, FLAI e UILA della Sicilia chiedono, inoltre, al Governo Regionale di dichiarare per questi primi mesi del 2007 lo stato di calamità naturale dovuto alle alte temperature che di fatto hanno condizionato negativamente la maturazione degli agrumi in quasi tutta la regione.

 

La calamità deve prevedere l’applicazione delle 223 e così come è avvenuto per la crisi aviaria possono essere adottati nuovi strumenti di accompagnamento per superare la crisi occupazione e di redditi del lavoro dipendente.

 

Questo secondo tavolo, al quale deve partecipare anche l’Assessore al Lavoro, a nostro avviso va attivato da subito.

 

Il settore agrumicolo può ancora rappresentare una soddisfacente prospettiva per decine e decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori e spetta anche a noi, con una forte e convinta azione sindacale, motivare e mobilitare le lavoratrici e i lavoratori.