SEMINARIO REGIONALE

“QUALITA’ E SICUREZZA

ALIMENTARE

IN SICILIA”

(dalle produzioni d’eccellenza a quelle di largo consumo)

  COMUNICAZIONE INTRODUTTIVA DI:

SALVATORE LO BALBO

Segretario regionale della FLAI-CGIL SICILIA

  PALERMO, 19 MARZO 2001

SALONE CGIL SICILIA

           Apriamo questo nostro seminario ringraziando tutti i partecipanti che hanno risposto al nostro invito.

Questo incontro è un ulteriore tassello alle iniziative che in questi mesi la FLAI-CGIL della Sicilia ha assunto e,  non ha caso, si tiene dopo pochissimi giorni dalla iniziativa che la Flai nazionale ha svolto congiuntamente alla Confederazione sullo stesso tema.

Dopo il Convegno Regionale  del 12 dicembre dell’anno scorso tenuto a Catania, dove abbiamo messo a punto la nostra linea politica e programmatica , dopo  lo Sciopero generale unitario del 2 marzo del comparto agro-alimentare-ambientale, dove abbiamo reso visibile la volontà, non solo del gruppo dirigente, ma dei lavoratori, di rivendicare il ruolo indispensabile che il mondo del lavoro ha nella crescita del comparto, questo seminario è un’ulteriore tappa di sviluppo e di confederalizzazione della nostra linea politica

Con l’iniziativa di oggi si vuole raggiungere l’obiettivo di mettere a disposizione del gruppo dirigente siciliano della Flai e della Confederazione  strumenti di ulteriori conoscenze utili a saper leggere, e avanzare rivendicazioni, sull’attuale fase di forte sismicità che attraversa la filiera alimentare. Il contributo di conoscenze che verrà dagli ospiti sicuramente ci aiuterà in questa direzione.

La filiera alimentare, in questa  nuova fase della sua evoluzione, assume un ruolo non solo di soddisfacimento di esigenze primarie, sia quantistiche/biologiche che economiche, ma di evoluzione del concetto  di massima qualità e salubrità in tutte le fasi del processo produttivo - dalla ricerca scientifica alla tavola - arricchite da un valore aggiunto che è determinato sia dalle tradizioni, che dalla cultura, dalle specificità, dalle promiscuità, dalla ricerca di nuove frontiere.

In questo contesto storico possiamo dire sia come italiani, ma anche come europei, di essere in una situazione che contemporaneamente manifesta sia tutto il valore positivo della nostra condizione ma anche  tutto l’isolamento che il vecchio continente ha nei confronti degli altri paesi.

L’Europa è il più grande importatore/esportatore di alimentari al mondo.

L’Italia è ai primissimi posti nel mondo per valore, qualità, tipicizzazione, varietà, quantità di gusti e di sapori, professionalità culinarie, storicizzazione delle produzioni alimentari e, cosa non secondaria, per tutto l’indotto ad esso connesso.

La Sicilia, nel panorama nazionale, è ai primissimi posti.

Sia l’Italia che l’Europa si devono misurare da una parte con una forte americanizzazione della vita e degli alimenti caratterizzata dalla cultura del “mangiare veloce”, del “produrre veloce”, del “vivere veloce”, di “idealizzare e valorizzare l’apparire”, e dall’altra parte si misurano con miliardi di persone che hanno il problema di combattere la fame, di vivere con pochi dollari al mese, di lottare per la sopravvivenza.

In poche parole ci troviamo a dover difendere e sviluppare le nostre identità nell’ambito di forti forze centrifughe che tentano di annullare la nostra cultura. Cosa non sono, se non quanto detto, le questioni legate agli ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI?

Gli OGM sintetizzano, sia l’evoluzione di processi di manipolazione della natura da parte dell’uomo che dura da migliaia di anni, che l’esigenza di fare più profitti, di produrre di più, di innovare e di conservare meglio gli alimenti.

Gli OGM fanno coesistere le esigenze speculative delle multinazionali, l’aspirazione della scienza a conquistare nuove frontiere dell’evoluzione umana, il poco credibile soddisfacimento dei bisogni alimentari primari di miliardi di esseri umani.

L’Italia e l’Europa nuotano in questo mare aperto.

Contribuire allo sviluppo certo e positivo della scienza, al riequilibrio delle economie forti con quelle deboli, alla tutela e conservazione delle specificità è un compito che altri paesi del pianeta non possono o non vogliono svolgere.

Le decisioni assunte da quasi tutti i paesi europei, dal parlamento e dalla Commissione Europea mi sembrano che vadano in questa direzione.

Le  soluzioni individuate affermano sia un ruolo internazionale positivo e rispettoso degli altri sia la necessità di affermare il diritto alla ricerca con le precauzione e le verifiche pragmatiche che  da secoli caratterizzano la cultura europea.

La decisione assunta nel gennaio del 2000 dalla Commissione delle Comunità Europee, sintetizzate nel “Libro bianco sulla sicurezza alimentare”, sancisce non solo gli obiettivi della politica di sicurezza alimentare ma anche gli strumenti, individuati nella costituzione di una Autorità indipendente.

Gli obiettivi sono rappresentati dalla proposizione di “un nuovo quadro giuridico che coprirà l’intera catena alimentare, compresa la produzione di mangimi per gli animali, che stabilirà un elevato livello di protezione della salute dei consumatori e  attribuirà in modo chiaro le responsabilità primarie di una produzione alimentare sicura alle industrie, ai produttori e ai fornitori.

A questa Autorità verrebbero affidati numerosi compiti fondamentali che vanno dal parere scientifico indipendente su tutti gli aspetti relativi alla sicurezza alimentare, alla gestione di sistemi di allarme rapido, alla comunicazione e al dialogo con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni sanitarie e alla realizzazione di reti con le Agenzie nazionali e gli organismi scientifici. L’autorità alimentare europea fornirà alla Commissione le necessarie analisi, ma toccherà alla Commissione decidere sulle azioni appropriate da adottare a seguito di tali analisi. L’Autorità alimentare europea potrebbe essere istituita entro il 2002 una volta varata la legislazione necessaria concernente tutti gli aspetti dei problemi alimentari “dai campi alla tavola”.…. “I consumatori debbono esser tenuti meglio informati delle nuove preoccupazioni in materia di sicurezza alimentare e dei rischi che certi alimenti particolari presentano per determinati gruppi di persone.

I consumatori hanno il diritto di attendersi informazioni sulla qualità degli alimenti e sui loro ingredienti e tale informazione deve essere utile e presentata in modo chiaro da consentire scelte consapevoli. A partire dalle norme esistenti Si presenteranno proposte in merito alla etichettatura degli alimenti, Si sensibilizzeranno inoltre i consumatori sull’importanza di una dieta equilibrata e sulle ripercussioni a livello sanitario.

In questo contesto trovano pieno diritto di cittadinanza i cosiddetti prodotti tradizionali e tipici. Ad oggi il Ministero delle POLITICHE AGRICOLE ha registrato un primo elenco di 2.171 prodotti. Questo permetterà di derogare all’applicazione di quelle norme sanitarie concepite giustamente per le produzioni industriali, consentendo di conservare processi produttivi radicati nel tempo e di mantenere le tradizioni alimentari delle regioni italiane, senza perdere il carattere di genuità e di sicurezza che caratterizzano la cultura alimentare italiana nel mondo.

La Sicilia sembra, purtroppo, poco interessata a partecipare.

 Infatti solo 64 prodotti su 2.171 sono siciliani e solo 600 sono meridionali; la piccola Umbria ne ha censiti 62, e il piccolo Trentino 60. La regione che ne ha presentati di più è la Toscana con 282, seguita dal Veneto con 204. Bolzano è presente con 126 prodotti. Coniugare tradizione e tipicità con regole chiare a tutela dei consumatori è cosa possibile e già fatta propria da altri.

 Non solo le decisioni assunte dalla Comunità Europea ma anche i provvedimenti adottati in questi ultimi mesi sulle continue emergenze alimentari sottolineano fortemente tutte queste scelte.

L’ubriacatura americanizzante che abbiamo importato in questi ultimi venti o trent’anni oggi si è rivoltata contro noi stessi e ne stiamo pagando il conto. Ciò si concretizza nelle vicende legate alla  “influenza aviaria”, alla “mucca pazza”, alla afta epizootica, alla diossina, alla forte chimizzazione della alimentazione e della natura, alla radioattività nucleare, etc….

Le decisioni e i provvedimenti assunti su fronti diversi – al netto di contraddizioni che ancora esistono - da parte dei maggiori governi europei vanno nella direzione di ricercare una propria autonoma strada di sviluppo economico, sociale e culturale.

Il nostro seminario su “Qualità e sicurezza Alimentare in Sicilia” penso si inserisca in questo contesto.

Gli ospiti ci daranno un importante contributo di approfondimento delle tematiche che riguardano il sistema alimentare europeo, nazionale e regionale

In particolare si affronteranno le questioni della zootecnia, dell’agrochimica e del biologico, dei diritti dei Consumatori, della ricerca e dello spessore nazionale ed europeo delle problematiche.

Due questioni mi permetto di sottolineare.

La prima è relativa alla emergenza attuale e alle forti preoccupazioni che il settore zootecnico e lattiero-caseario sollevano nell’opinione pubblica e nel mondo del lavoro.

La Flai siciliana, storicamente, non ha mai avuto  tanta confidenza con questo settore. Non abbiamo mai sviluppato conoscenze, politiche, rivendicazioni, organizzazione dei lavoratori. Abbiamo pertanto da recuperare un ritardo che, vista la situazione in cui ci troviamo, è obbligatorio per tutto il gruppo dirigente.

 Il settore si caratterizza sempre più in forte crescita e sviluppo.

La base produttiva zootecnica ammonta quantitativamente a circa 450.000 bovini, piazzandosi al 5° posto tra le regioni italiane. La popolazione ovina è di circa 1.300.000 capi, quella caprina di 230.000, quella suina di 175.000 e quella equina di 30.000 capi. La produzione zootecnica, nelle sue varie componenti, ammonta a circa 1.000 miliardi di lire. Non esistono dati  relativi alla acquacoltura; sappiamo che ci sono solo una decina di aziende.

I lavoratori dipendenti occupati a tempo indeterminato sono circa 200; quelli a tempo determinato non superano il migliaio. Questo è un settore dove molto forte è il lavoro nero che a tratti rasenta lo schiavismo; è presente anche il lavoro minorile.

Un dato positivo è rappresentato, invece, dalla marcata tecnica di allevamento che è prevalentemente estensiva o semi-intensiva, limitando in tal modo le conseguenze di una “gestione allegra” da parte delle autorità sanitarie e degli stessi allevatori.

Negli ultimi cinque anni si è sviluppata una forte caratterizzazione produttiva sia sul fronte della macellazione che del latte e dei suoi derivati.

Non è per nulla facile avere uno spaccato del settore. I dati sono inesistenti o distanti nel tempo o poco credibili. Sul perché ne parlerò più avanti.

 Da una azione di rilevamento per difetto e mettendo assieme una serie di elementi sparsi, posso affermare che per il latte e i suoi derivati, sono circa 50 le aziende a carattere provinciale che operano nel settore lattiero-caseario; circa 10 hanno rilevanza sovraprovinciale o regionale e due sono di dimensioni nazionali o multinazionali. La Parmalat, la Galbani, la Zappalà, la Puccio, le Latterie Riunite occupano complessivamente circa 1.000 lavoratori, e tutti gli indicatori danno un ulteriore espansione di questo apparato produttivo che lavora circa 150 milioni di litri di latte all’anno per,  prevalentemente, soddisfare il mercato locale.  

Sul fronte della macellazione, gli impianti operanti in Sicilia sono di tre categorie diversi: 50 impianti possono lavorare l’equivalente di 20 o 40 bovini; 15 sono con marchio Cee e possono lavorare quantitativi illimitati di animali e hanno inceneritori propri; e due sono con  inceneritore e marchio Cee abilitati al ritiro di animali sopra i 30 mesi, cioè a rischio BSE. E’ presente un solo inceneritore ad Augusta autorizzato a incenerire i rifiuti animali.

Le cronache ci dicono anche di continue chiusure dei macelli, a prevalenza pubblici,  per non  adeguamento alle normative esistenti e dell’incremento del fenomeno della macellazione clandestina.

Quanta carne venga macellata, quanti lavoratori sono occupati, etc.. non è dato sapere. Da alcune conoscenze sono pochi i lavoratori che lavorano con il contratto dell’industria e molti quelli che sono inquadrati con il contratto del commercio, dato che normalmente a gestire i macelli (quasi tutti pubblici) sono cooperative di macellai  che inquadrano anche l’attività di macellazione tra i servizi e il trasporto. Poi sono presenti quattro aziende che  trasformano i rifiuti animali  in grassi o farine. Non si è in grado di determinare la quantità e la qualità dei mangimifici, dato che potenzialmente ogni mulino (ad esempio) è un mangimificio. Però si sa che il 45% della produzione nazionale è realizzata da 8 aziende e una sola di esse controlla il 19% del mercato.

In Sicilia l’Assessorato Regionale alla Sanità ha il compito istituzionale di sovrintendere alla sicurezza alimentare. L’Assessorato si articola attraverso le AUSL in tre aree di intervento: quella sulla sanità animale, quella sui controlli alimentari e quella igienica zootecnica, sui rifiuti, sull’impatto ambientare, sul randagismo e sulla farmaco vigilanza. Inoltre è presente con l’Ispettorato Regionale. In questa struttura sono presenti circa 400 veterinari pubblici e 100 veterinari convenzionati. Per numero di veterinari siamo quasi come la Lombardia e il Veneto che hanno, come si può facilmente intuire, ben altra popolazione animale. I veterinari inoltre dovrebbero controllare tutte le movimentazioni di animali vivi e morti.

Sono presenti inoltre l’Istituto zooprofilattico sperimentale con quattro sezione territoriali e circa 40 tecnici, l’Associazione Regionale Allevatori con circa 200 dipendenti di cui 100 veterinari, i NAS dei Carabinieri.

Malgrado tutto questo apparato che mette in campo circa 1.000 uomini la Sicilia ha il triste primato di registrare il 50% dei casi di brucellosi umana della Comunità Europea, solo nel 1999 sono stati identificati e controllati almeno una volta il 75% degli ovo-caprini e l’80% dei bovini ( difficilmente vengono controllati più volte); nel 1996 la percentuale di controlli si attestava sul 50%. Siamo una regione dove le epidemie di “lingua blu” negli ovini, di tubercolosi, di leucomi, di influenza aviaria sono presenti. I controlli per controllore sono abbastanza scarsi e molte volte vengono fatti dai veterinari aziendali.

Sono rari i controlli sui residui degli alimenti e nell’industria mangimistica (non esiste un censimento). Non c’è un controllo su tutta la filiera dai mangimi al consumatore. Non si sa quasi nulla sui residui di diossina, di antibiotici e di radioattività presenti nella catena. Si sa ancora di meno sulla importazione di materie prime utili al settore per la preparazione di prodotti finiti.

In queste settimane registriamo, inoltre, un notevole incremento di sequestri di animali infetti a vario titolo, di denunce di furti di bestiame, di casi di macellazione clandestina. Che il settore sia sotto il controllo di potenti organizzazione mafiose e dato anche dalla continua attività di truffe nei confronti dell’AIMA che sono state scoperte dagli investigatori. Malgrado ciò ci sembra utile dire che oggi scontiamo i ritardi accumulatisi nel passato da parte di una struttura burocratica pubblica numerosa, inefficiente e persino alcune volte coinvolta e complice di questa situazione.

Nel settore zootecnico sono presenti anagrafi e libri genealogici  poco credibili, prevalentemente utili solo alla corresponsione dei premi AIMA e alla auto-esistenza di Associazioni varie che vivono solo grazie alla carta prodotta.

La seconda questione che mi sembra opportuno sottolineare riguarda la ancora massiccia presenza della chimica, in tutte le sue varie articolazioni, in Italia e in Sicilia.

Come succede in molti casi, dopo il referendum del 1990 si è avuto un calo di attenzione sull’utilizzo dei fitofarmaci e della chimica sugli alimenti. E’ stata la legge finanziaria di quest’anno a rilanciare l’attenzione sulla questione. Infatti l’art. 123 prevede che  al fine di promuovere lo sviluppo di una produzione agricola di qualità ed ecocompatibile e di perseguire l’obiettivo primario di riduzione dei rischi per la salute degli uomini e degli animali e per l’ambiente, a decorrere dal 1° gennaio 2001 è istituito un contributo annuale per la sicurezza alimentare nella misura del 2 per cento del fatturato dell’anno precedente relativo alla vendita dei fitofarmaci, e dei fertilizzanti da sintesi.….Viene, pertanto, istituito il fondo per lo sviluppo dell’agricoltura biologica e di qualità, alimentato dalle entrate derivanti dai contributi di cui al contributo suddetto. L’articolo continua con le modalità di erogazione.

Cosa vuol dire questo 2%. Nel 1999 l’agrochimica in Italia raggiunge un fatturato di 1.388 miliardi. In particolare si vendono 513 miliardi di fungicidi, 340 miliardi di insetticidi, 482 miliardi di erbicidi, 23 miliardi di fumiganti e 30 miliardi di altri.

Dal 1990 al 1999 pur essendo diminuita la quantità di fitosanitari per uso espresso passando da 1.412.000 a 1.073.000 di tonnellate, con un calo del 31,6%, c’è stato un incremento di valore passando da 1.000 a 1.388 miliardi con un incremento di 38.8%.

Come dire: la quantità diminuisce si specializza e  si trasforma, e i profitti aumentano.

Le sette maggiori aziende del mercato agrochimico - Syngenta, Aventis Crop Science, Bast, Monsanto, Bayer, DuPont e Dow Chemical – sono le stesse che senza abbandonare l’agrochimica, ed adottando il motto “più specializzazione e meno competizione”, concentrano sempre più la loro attenzione anche nel settore farmaceutico. Settore farmaceutico vuol dire ricerca; e oggi la ricerca va nella direzione sia di un miglioramento delle condizioni di  vita dell’uomo che nella realizzazione degli OGM per le produzioni alimentari.

Per la Sicilia non si hanno dati sull’uso dell’agrochimica.

E’ verosimile però sostenere che in Sicilia convivono sia territori che colture ad alto utilizzo di chimica che zone e produzioni di agricoltura biologica o integrata.

 Ci sono produzioni dove il non utilizzo del bromuro di metile per la sterilizzazione dei terreni, a partire dal 2004, sarà un problema e altre dove la stessa questione sarà una opportunità per convertire al biologico o all’integrato i processi produttivi.

Agricoltura biologica e integrata vuol dire investimenti, ricerca, qualità dell’imprenditore, dell’impresa, dei lavoratori, dei commercianti, dell’industria di trasformazione, del rivenditore, del consumatore. In una parola vuol dire competere con le carte in regola in un mercato ancora in forte espansione.

Al 1998 le aziende biologiche presenti in Sicilia erano 9.774, pari al 22.36% del totale nazionale, con una utilizzazione di una superficie di 128.917 ha, pari al 16.35% della superficie nazionale. E’ opportuno sottolineare il fatto che la superficie media di queste aziende è di circa 13 ha,  denotando una tipologia di azienda strutturata e preposta per una produzione di scala e razionale. Di queste solo 35 sono zootecniche.

Questa superficie rappresenta l’8% della S.A.U. della Sicilia, mentre nella  graduatoria nazionale si trovano primo di noi  il Piemonte, la Valle D’Aosta, la Lombardia, il Trentino Alto Adige, Bolzano, Trento, la Toscana, il Lazio e la Basilicata.

Va da sé affermare che più S.A.U. investita da processi produttivi di agricoltura biologica vuol dire meno prodotti fitosanitari, meno diserbanti, meno veleni che vanno nelle falde acquifere.

Nel corso degli intereventi programmati tutti questi temi verranno approfonditi dagli ospiti e con le conclusioni del compagno Cerfeda  la Flai siciliana comincerà ad acquisire elementi di conoscenza tali che le permetteranno di elaborare una proposta politica e sindacale in grado di costruire una forte iniziativa nel settore in grado di tutelare e migliorare le condizioni dei lavoratori e di incrementare un settore sempre più ricco della nostra economia.