SEMINARIO REGIONALE
“QUALITA’ E SICUREZZA
ALIMENTARE
IN SICILIA”
(dalle produzioni d’eccellenza a quelle di largo consumo)
SALVATORE LO BALBO
Segretario regionale della FLAI-CGIL SICILIA
SALONE CGIL SICILIA
Apriamo questo nostro seminario ringraziando tutti i partecipanti che hanno risposto al nostro invito.
Questo
incontro è un ulteriore tassello alle iniziative che in questi mesi la
FLAI-CGIL della Sicilia ha assunto e, non
ha caso, si tiene dopo pochissimi giorni dalla iniziativa che la Flai nazionale
ha svolto congiuntamente alla Confederazione sullo stesso tema.
Dopo
il Convegno Regionale del 12
dicembre dell’anno scorso tenuto a Catania, dove abbiamo messo a punto la
nostra linea politica e programmatica , dopo
lo Sciopero generale unitario del 2 marzo del comparto
agro-alimentare-ambientale, dove abbiamo reso visibile la volontà, non solo del
gruppo dirigente, ma dei lavoratori, di rivendicare il ruolo indispensabile che
il mondo del lavoro ha nella crescita del comparto, questo seminario è
un’ulteriore tappa di sviluppo e di confederalizzazione della nostra linea
politica
Con
l’iniziativa di oggi si vuole raggiungere l’obiettivo di mettere a
disposizione del gruppo dirigente siciliano della Flai e della Confederazione
strumenti di ulteriori conoscenze utili a saper leggere, e avanzare
rivendicazioni, sull’attuale fase di forte sismicità che attraversa la
filiera alimentare. Il contributo di conoscenze che verrà dagli ospiti
sicuramente ci aiuterà in questa direzione.
La
filiera alimentare, in questa nuova
fase della sua evoluzione, assume un ruolo non solo di soddisfacimento di
esigenze primarie, sia quantistiche/biologiche che economiche, ma di evoluzione
del concetto di massima qualità e
salubrità in tutte le fasi del processo produttivo - dalla ricerca scientifica
alla tavola - arricchite da un valore aggiunto che è determinato sia dalle
tradizioni, che dalla cultura, dalle specificità, dalle promiscuità, dalla
ricerca di nuove frontiere.
In
questo contesto storico possiamo dire sia come italiani, ma anche come europei,
di essere in una situazione che contemporaneamente manifesta sia tutto il valore
positivo della nostra condizione ma anche tutto
l’isolamento che il vecchio continente ha nei confronti degli altri paesi.
L’Europa
è il più grande importatore/esportatore di alimentari al mondo.
L’Italia
è ai primissimi posti nel mondo per valore, qualità, tipicizzazione, varietà,
quantità di gusti e di sapori, professionalità culinarie, storicizzazione
delle produzioni alimentari e, cosa non secondaria, per tutto l’indotto ad
esso connesso.
La
Sicilia, nel panorama nazionale, è ai primissimi posti.
Sia
l’Italia che l’Europa si devono misurare da una parte con una forte
americanizzazione della vita e degli alimenti caratterizzata dalla cultura del
“mangiare veloce”, del “produrre veloce”, del “vivere veloce”, di
“idealizzare e valorizzare l’apparire”, e dall’altra parte si
misurano con miliardi di persone che hanno il problema di combattere la fame, di
vivere con pochi dollari al mese, di lottare per la sopravvivenza.
In
poche parole ci troviamo a dover difendere e sviluppare le nostre identità
nell’ambito di forti forze centrifughe che tentano di annullare la nostra
cultura. Cosa non sono, se non quanto detto, le questioni legate agli ORGANISMI
GENETICAMENTE MODIFICATI?
Gli
OGM sintetizzano, sia l’evoluzione di processi di manipolazione della natura
da parte dell’uomo che dura da migliaia di anni, che l’esigenza di fare più
profitti, di produrre di più, di innovare e di conservare meglio gli alimenti.
Gli OGM fanno coesistere le esigenze speculative delle multinazionali, l’aspirazione della scienza a conquistare nuove frontiere dell’evoluzione umana, il poco credibile soddisfacimento dei bisogni alimentari primari di miliardi di esseri umani.
L’Italia
e l’Europa nuotano in questo mare aperto.
Contribuire
allo sviluppo certo e positivo della scienza, al riequilibrio delle economie
forti con quelle deboli, alla tutela e conservazione delle specificità è un
compito che altri paesi del pianeta non possono o non vogliono svolgere.
Le
decisioni assunte da quasi tutti i paesi europei, dal parlamento e dalla
Commissione Europea mi sembrano che vadano in questa direzione.
Le soluzioni individuate affermano sia un ruolo internazionale
positivo e rispettoso degli altri sia la necessità di affermare il diritto alla
ricerca con le precauzione e le verifiche pragmatiche che
da secoli caratterizzano la cultura europea.
La
decisione assunta nel gennaio del 2000 dalla Commissione delle Comunità
Europee, sintetizzate nel “Libro bianco
sulla sicurezza alimentare”, sancisce non solo gli obiettivi della
politica di sicurezza alimentare ma anche gli strumenti, individuati nella
costituzione di una Autorità indipendente.
Gli
obiettivi sono rappresentati dalla proposizione di “un nuovo quadro
giuridico che coprirà l’intera catena alimentare, compresa la produzione di
mangimi per gli animali, che stabilirà un elevato livello di protezione
della salute dei consumatori e attribuirà
in modo chiaro le responsabilità primarie di una produzione alimentare
sicura alle industrie, ai produttori e ai fornitori.
A
questa Autorità verrebbero affidati numerosi compiti fondamentali che vanno
dal parere scientifico indipendente su tutti gli aspetti relativi alla sicurezza
alimentare, alla gestione di sistemi di allarme rapido, alla comunicazione e al
dialogo con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni
sanitarie e alla realizzazione di reti con le Agenzie nazionali e gli organismi
scientifici. L’autorità alimentare europea fornirà alla Commissione
le necessarie analisi, ma toccherà alla Commissione decidere sulle azioni
appropriate da adottare a seguito di tali analisi. L’Autorità alimentare
europea potrebbe essere istituita entro il 2002 una volta varata la legislazione
necessaria … concernente tutti gli aspetti dei problemi alimentari
“dai campi alla tavola”.…. “I consumatori debbono esser tenuti meglio
informati delle nuove preoccupazioni in materia di sicurezza alimentare e dei
rischi che certi alimenti particolari presentano per determinati gruppi di
persone.
I
consumatori hanno il diritto di attendersi informazioni sulla qualità degli
alimenti e sui loro ingredienti e tale informazione deve essere utile e
presentata in modo chiaro da consentire scelte consapevoli. A partire dalle
norme esistenti Si presenteranno proposte in merito alla etichettatura degli
alimenti, Si sensibilizzeranno inoltre i consumatori sull’importanza di una
dieta equilibrata e sulle ripercussioni a livello sanitario.
In
questo contesto trovano pieno diritto di cittadinanza i cosiddetti prodotti
tradizionali e tipici. Ad oggi il Ministero delle POLITICHE AGRICOLE ha
registrato un primo elenco di 2.171 prodotti. Questo permetterà di derogare
all’applicazione di quelle norme sanitarie concepite giustamente per le
produzioni industriali, consentendo di conservare processi produttivi radicati
nel tempo e di mantenere le tradizioni alimentari delle regioni italiane, senza
perdere il carattere di genuità e di sicurezza che caratterizzano la cultura
alimentare italiana nel mondo.
La
Sicilia sembra, purtroppo, poco interessata a partecipare.
Infatti
solo 64 prodotti su 2.171 sono siciliani e solo 600 sono meridionali; la piccola
Umbria ne ha censiti 62, e il piccolo Trentino 60. La regione che ne ha
presentati di più è la Toscana con 282, seguita dal Veneto con 204. Bolzano è
presente con 126 prodotti. Coniugare tradizione e tipicità con regole chiare a
tutela dei consumatori è cosa possibile e già fatta propria da altri.
Non
solo le decisioni assunte dalla Comunità Europea ma anche i provvedimenti
adottati in questi ultimi mesi sulle continue emergenze alimentari sottolineano
fortemente tutte queste scelte.
L’ubriacatura
americanizzante che abbiamo importato in questi ultimi venti o trent’anni oggi
si è rivoltata contro noi stessi e ne stiamo pagando il conto. Ciò si
concretizza nelle vicende legate alla “influenza aviaria”, alla “mucca pazza”, alla afta
epizootica, alla diossina, alla forte chimizzazione della alimentazione e della
natura, alla radioattività nucleare, etc….
Le
decisioni e i provvedimenti assunti su fronti diversi – al netto di
contraddizioni che ancora esistono - da parte dei maggiori governi europei vanno
nella direzione di ricercare una propria autonoma strada di sviluppo economico,
sociale e culturale.
Il
nostro seminario su “Qualità e sicurezza Alimentare in Sicilia” penso si
inserisca in questo contesto.
Gli
ospiti ci daranno un importante contributo di approfondimento delle tematiche
che riguardano il sistema alimentare europeo, nazionale e regionale
In
particolare si affronteranno le questioni della zootecnia, dell’agrochimica e
del biologico, dei diritti dei Consumatori, della ricerca e dello spessore
nazionale ed europeo delle problematiche.
Due
questioni mi permetto di sottolineare.
La
prima è relativa alla emergenza attuale e alle forti preoccupazioni che il
settore zootecnico e lattiero-caseario sollevano nell’opinione pubblica e nel
mondo del lavoro.
La
Flai siciliana, storicamente, non ha mai avuto
tanta confidenza con questo settore. Non abbiamo mai sviluppato
conoscenze, politiche, rivendicazioni, organizzazione dei lavoratori. Abbiamo
pertanto da recuperare un ritardo che, vista la situazione in cui ci troviamo,
è obbligatorio per tutto il gruppo dirigente.
Il
settore si caratterizza sempre più in forte crescita e sviluppo.
La base produttiva zootecnica ammonta quantitativamente a circa 450.000 bovini, piazzandosi al 5° posto tra le regioni italiane. La popolazione ovina è di circa 1.300.000 capi, quella caprina di 230.000, quella suina di 175.000 e quella equina di 30.000 capi. La produzione zootecnica, nelle sue varie componenti, ammonta a circa 1.000 miliardi di lire. Non esistono dati relativi alla acquacoltura; sappiamo che ci sono solo una decina di aziende.
I
lavoratori dipendenti occupati a tempo indeterminato sono circa 200; quelli a
tempo determinato non superano il migliaio. Questo è un settore dove molto
forte è il lavoro nero che a tratti rasenta lo schiavismo; è presente anche il
lavoro minorile.
Un
dato positivo è rappresentato, invece, dalla marcata tecnica di allevamento che
è prevalentemente estensiva o semi-intensiva, limitando in tal modo le
conseguenze di una “gestione allegra” da parte delle autorità sanitarie e
degli stessi allevatori.
Negli
ultimi cinque anni si è sviluppata una forte caratterizzazione produttiva sia
sul fronte della macellazione che del latte e dei suoi derivati.
Non
è per nulla facile avere uno spaccato del settore. I dati sono inesistenti o
distanti nel tempo o poco credibili. Sul perché ne parlerò più avanti.
Da
una azione di rilevamento per difetto e mettendo assieme una serie di elementi
sparsi, posso affermare che per il latte e i suoi derivati, sono circa 50 le
aziende a carattere provinciale che operano nel settore lattiero-caseario; circa
10 hanno rilevanza sovraprovinciale o regionale e due sono di dimensioni
nazionali o multinazionali. La Parmalat, la Galbani, la Zappalà, la Puccio, le
Latterie Riunite occupano complessivamente circa 1.000 lavoratori, e tutti gli
indicatori danno un ulteriore espansione di questo apparato produttivo che
lavora circa 150 milioni di litri di latte all’anno per,
prevalentemente, soddisfare il mercato locale.
Sul
fronte della macellazione, gli impianti operanti in Sicilia sono di tre
categorie diversi: 50 impianti possono lavorare l’equivalente di 20 o 40
bovini; 15 sono con marchio Cee e possono lavorare quantitativi illimitati di
animali e hanno inceneritori propri; e due sono con inceneritore e marchio Cee abilitati al ritiro di animali
sopra i 30 mesi, cioè a rischio BSE. E’ presente un solo inceneritore ad
Augusta autorizzato a incenerire i rifiuti animali.
Le
cronache ci dicono anche di continue chiusure dei macelli, a prevalenza
pubblici, per non
adeguamento alle normative esistenti e dell’incremento del fenomeno
della macellazione clandestina.
Quanta
carne venga macellata, quanti lavoratori sono occupati, etc.. non è dato
sapere. Da alcune conoscenze sono pochi i lavoratori che lavorano con il
contratto dell’industria e molti quelli che sono inquadrati con il contratto
del commercio, dato che normalmente a gestire i macelli (quasi tutti pubblici)
sono cooperative di macellai che
inquadrano anche l’attività di macellazione tra i servizi e il trasporto. Poi
sono presenti quattro aziende che trasformano i rifiuti animali
in grassi o farine. Non si è in grado di determinare la quantità e la
qualità dei mangimifici, dato che potenzialmente ogni mulino (ad esempio) è un
mangimificio. Però si sa che il 45% della produzione nazionale è realizzata da
8 aziende e una sola di esse controlla il 19% del mercato.
In
Sicilia l’Assessorato Regionale alla Sanità ha il compito istituzionale di
sovrintendere alla sicurezza alimentare. L’Assessorato si articola attraverso
le AUSL in tre aree di intervento: quella sulla sanità animale, quella sui
controlli alimentari e quella igienica zootecnica, sui rifiuti, sull’impatto
ambientare, sul randagismo e sulla farmaco vigilanza. Inoltre è presente con
l’Ispettorato Regionale. In questa struttura sono presenti circa 400
veterinari pubblici e 100 veterinari convenzionati. Per numero di veterinari
siamo quasi come la Lombardia e il Veneto che hanno, come si può facilmente
intuire, ben altra popolazione animale. I veterinari inoltre dovrebbero
controllare tutte le movimentazioni di animali vivi e morti.
Sono
presenti inoltre l’Istituto zooprofilattico sperimentale con quattro sezione
territoriali e circa 40 tecnici, l’Associazione Regionale Allevatori con circa
200 dipendenti di cui 100 veterinari, i NAS dei Carabinieri.
Malgrado
tutto questo apparato che mette in campo circa 1.000 uomini la Sicilia ha il
triste primato di registrare il 50% dei casi di brucellosi umana della Comunità
Europea, solo nel 1999 sono stati identificati e controllati almeno una volta il
75% degli ovo-caprini e l’80% dei bovini ( difficilmente vengono controllati
più volte); nel 1996 la percentuale di controlli si attestava sul 50%. Siamo
una regione dove le epidemie di “lingua blu” negli ovini, di tubercolosi, di
leucomi, di influenza aviaria sono presenti. I controlli per controllore sono
abbastanza scarsi e molte volte vengono fatti dai veterinari aziendali.
Sono
rari i controlli sui residui degli alimenti e nell’industria mangimistica (non
esiste un censimento). Non c’è un controllo su tutta la filiera dai mangimi
al consumatore. Non si sa quasi nulla sui residui di diossina, di antibiotici e
di radioattività presenti nella catena. Si sa ancora di meno sulla importazione
di materie prime utili al settore per la preparazione di prodotti finiti.
In
queste settimane registriamo, inoltre, un notevole incremento di sequestri di
animali infetti a vario titolo, di denunce di furti di bestiame, di casi di
macellazione clandestina. Che il settore sia sotto il controllo di potenti
organizzazione mafiose e dato anche dalla continua attività di truffe nei
confronti dell’AIMA che sono state scoperte dagli investigatori. Malgrado ciò
ci sembra utile dire che oggi scontiamo i ritardi accumulatisi nel passato da
parte di una struttura burocratica pubblica numerosa, inefficiente e persino
alcune volte coinvolta e complice di questa situazione.
Nel
settore zootecnico sono presenti anagrafi e libri genealogici
poco credibili, prevalentemente utili solo alla corresponsione dei premi
AIMA e alla auto-esistenza di Associazioni varie che vivono solo grazie alla
carta prodotta.
La
seconda questione che mi sembra opportuno sottolineare riguarda la ancora
massiccia presenza della chimica, in tutte le sue varie articolazioni, in Italia
e in Sicilia.
Come
succede in molti casi, dopo il referendum del 1990 si è avuto un calo di
attenzione sull’utilizzo dei fitofarmaci e della chimica sugli alimenti. E’
stata la legge finanziaria di quest’anno a rilanciare l’attenzione sulla
questione. Infatti l’art. 123 prevede che “al fine di promuovere lo sviluppo di una produzione
agricola di qualità ed ecocompatibile e di perseguire l’obiettivo primario di
riduzione dei rischi per la salute degli uomini e degli animali e per
l’ambiente, a decorrere dal 1° gennaio 2001 è istituito un contributo
annuale per la sicurezza alimentare nella misura del 2 per cento del fatturato
dell’anno precedente relativo alla vendita dei fitofarmaci, e dei
fertilizzanti da sintesi.….Viene, pertanto, istituito il fondo per lo
sviluppo dell’agricoltura biologica e di qualità, alimentato dalle entrate
derivanti dai contributi di cui al contributo suddetto. L’articolo
continua con le modalità di erogazione.
Cosa
vuol dire questo 2%. Nel 1999 l’agrochimica in Italia raggiunge un fatturato
di 1.388 miliardi. In particolare si vendono 513 miliardi di fungicidi, 340
miliardi di insetticidi, 482 miliardi di erbicidi, 23 miliardi di fumiganti e 30
miliardi di altri.
Dal 1990 al 1999 pur essendo diminuita la quantità di fitosanitari per uso espresso passando da 1.412.000 a 1.073.000 di tonnellate, con un calo del 31,6%, c’è stato un incremento di valore passando da 1.000 a 1.388 miliardi con un incremento di 38.8%.
Come
dire: la quantità diminuisce si specializza e
si trasforma, e i profitti aumentano.
Le
sette maggiori aziende del mercato agrochimico - Syngenta, Aventis Crop Science,
Bast, Monsanto, Bayer, DuPont e Dow Chemical – sono le stesse che senza
abbandonare l’agrochimica, ed adottando il motto “più specializzazione e
meno competizione”, concentrano sempre più la loro attenzione anche nel
settore farmaceutico. Settore farmaceutico vuol dire ricerca; e oggi la ricerca
va nella direzione sia di un miglioramento delle condizioni di
vita dell’uomo che nella realizzazione degli OGM per le produzioni
alimentari.
Per
la Sicilia non si hanno dati sull’uso dell’agrochimica.
E’
verosimile però sostenere che in Sicilia convivono sia territori che colture ad
alto utilizzo di chimica che zone e produzioni di agricoltura biologica o
integrata.
Ci
sono produzioni dove il non utilizzo del bromuro di metile per la
sterilizzazione dei terreni, a partire dal 2004, sarà un problema e altre dove
la stessa questione sarà una opportunità per convertire al biologico o
all’integrato i processi produttivi.
Agricoltura
biologica e integrata vuol dire investimenti, ricerca, qualità
dell’imprenditore, dell’impresa, dei lavoratori, dei commercianti,
dell’industria di trasformazione, del rivenditore, del consumatore. In una
parola vuol dire competere con le carte in regola in un mercato ancora in forte
espansione.
Al
1998 le aziende biologiche presenti in Sicilia erano 9.774, pari al 22.36% del
totale nazionale, con una utilizzazione di una superficie di 128.917 ha, pari al
16.35% della superficie nazionale. E’ opportuno sottolineare il fatto che la
superficie media di queste aziende è di circa 13 ha,
denotando una tipologia di azienda strutturata e preposta per una
produzione di scala e razionale. Di queste solo 35 sono zootecniche.
Questa
superficie rappresenta l’8% della S.A.U. della Sicilia, mentre nella
graduatoria nazionale si trovano primo di noi
il Piemonte, la Valle D’Aosta, la Lombardia, il Trentino Alto Adige,
Bolzano, Trento, la Toscana, il Lazio e la Basilicata.
Va
da sé affermare che più S.A.U. investita da processi produttivi di agricoltura
biologica vuol dire meno prodotti fitosanitari, meno diserbanti, meno veleni che
vanno nelle falde acquifere.
Nel
corso degli intereventi programmati tutti questi temi verranno approfonditi
dagli ospiti e con le conclusioni del compagno Cerfeda
la Flai siciliana comincerà ad acquisire elementi di conoscenza tali che
le permetteranno di elaborare una proposta politica e sindacale in grado di
costruire una forte iniziativa nel settore in grado di tutelare e migliorare le
condizioni dei lavoratori e di incrementare un settore sempre più ricco della
nostra economia.