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RELAZIONE DI ITALO TRIPI ALLA MANIFESTAZIONE REGIONALE FLAI

 PALERMO 5 MARZO 2004

 

Negli ultimi mesi due vicende economiche hanno focalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Mi riferisco ai crack Cirio e Parmalat.

Molto si è parlato dei destini dei risparmiatori,poco di quelli dei lavoratori delle aziende dei due gruppi e delle ricadute che si avranno sui territori interessati.

E’ emerso con chiarezza l’intreccio profondo che questi due gruppi nazionali e multinazionali avevano e hanno con l’economia del nostro paese; la dimensione economica del deficit è pari a quella di un buco da colmare con una finanziaria governativa da” lacrime e sangue”.

Molti che per cultura politica,economica ,sindacale sono abituati a considerare  industria solo quella metalmeccanica o chimica hanno scoperto che nel nostro paese c’è una realtà industriale,quella alimentare, forte,diffusa,che produce profitti, da’ lavoro, rende ricche varie aree regionali ,ha primati a livello internazionale ,si presta ,purtroppo, al malaffare cosi come avviene in tanti altri settori.

Lo spunto che ci offrono queste vicende negative ,però, ha un profilo utile per una strategia dello sviluppo produttivo della nostra isola.

L’espressione “ nuovo modello di sviluppo”,che spesso sento usare, se non è riempita di contenuti e di idee è una espressione priva di significato.

La Flai è impegnata a dare un contributo di elaborazione alla piattaforma del sindacato che avrà un primo banco di prova nello sciopero generale del 26 marzo che chiederà al governo regionale una inversione di tendenza e politiche coerenti,per il rilancio, tra l’altro, dell’industria siciliana.

Credo sia doveroso,in primo luogo sottolineare che i lavoratori della Cirio e della Parmalat hanno risposto con grande dignità al latrocinio perpetrato dai loro datori di lavoro: hanno tenuto fermo l’impegno ad assicurare la produzione,la qualità del marchio e la presenza sul mercato,dando una lezione ai teorici della centralità dell’impresa o meglio degli imprenditori.

Con i tempi che corrono non è cosa da poco dimostrare che per assicurare futuro e prosperità alle aziende è necessario, anche, la centralità del lavoro dipendente. La battaglia dei lavoratori Parmalat è la nostra battaglia.

Contrastare qualunque idea di spezzatino industriale vuol dire tutelare oggi un importante marchio nazionale cosi come hanno fatto i lavoratori Fiat solo un anno fa.

In Sicilia i lavoratori Parmalat si chiamano Latte Sole a Catania e Ragusa, Emmegi a Termini Imerese, Cosal a Terme Vigliatore a Messina.

La prima questione che hanno posto è stata quella di garantire la produzione, dare certezze ai fornitori, creare una interlocuzione con i produttori agricoli.

Garantire la filiera agroalimentare, quindi, infatti la specificità dell’industria alimentare è data dall’ attività lavorativa a monte e a valle della produzione industriale.

In questa vicenda il governo Cuffaro ha brillato e brilla per pochezza e pressappochismo,si è limitato a fare il portavoce del commissario Bondi non ha avuto capacità di iniziativa autonoma spendendo i poteri che l’autonomia regionale gli conferisce.

Addirittura all’assessore all’industria abbiamo dovuto spiegare che la crisi non colpiva solamente le aziende interessate ma anche i produttori agricoli e le loro aziende.

La risposta del governo è del tutto inadeguata, la vertenza qui in Sicilia è ferma al palo, nonostante tutte le rassicurazioni dei governi nazionale e regionale,con il risultato che si sono messe in moto manovre speculative attorno a questa vertenza (ad. esempio i produttori agricoli siciliani chiedono lo stato di crisi per fare quattrini) .

Anche contro questi comportamenti sciopereremo il 26 Marzo!

Fin dallo sciopero generale dei lavoratori del nostro settore il 2 marzo 2001 abbiamo chiesto l’apertura di un tavolo “verde”,come lo abbiamo chiamato, per affrontare tutte le tematiche della filiera agro-alimentare-ambientale della nostra regione sulla base di un ragionamento semplice che valeva tre anni fa ma che vale ancora oggi.

La Sicilia è una delle regioni più importanti d’Italia per produzione agricola di qualità ,per varietà delle specie, per produzione biologica. Con le sue produzioni è in grado di coprire tutto l’arco dell’anno.

Siamo sicuramente competitivi nei settori vitivinicolo, olivicolo, vivaistico, ortofrutticolo, zootecnico, lattiero caseario,ittico.

La nostra agricoltura è per valore aggiunto la seconda dopo la Lombardia,mentre l’industria alimentare siciliana è al sesto posto per produzione,commercializzazione e trasformazione.

Questo scarto dimostra quanto ci sia ancora da fare per una vera politica di filiera,ma al tempo stesso dimostra le grandi potenzialità che l’industria alimentare siciliana può esprimere e l’apporto che può dare allo sviluppo della Sicilia.

Per deficit di iniziativa e per ritardi culturali delle aziende e della Regione la Sicilia non riesce a fare sistema ,a chiudere la filiera del “produrre-trasformare-commercializzare”.

Succede cosi che le nostre produzioni agricole sono lavorate in altre parti del Paese dove producono valore aggiunto,cioè ricchezza,poi magari quelle stesse produzioni trasformate le ritroviamo sui banchi dei mercati delle città siciliane.

Domanda:cosa impedisce di trasformare in Sicilia le produzioni agricole isolane?

L’industria alimentare di qualità deve essere la leva per un nuovo sviluppo eco-compatibile della Sicilia.

Perché lo diventi occorre però mettere a punto una strategia che si ponga assieme gli obiettivi di innovare e modernizzare le imprese del settore,difendere gli interessi dei consumatori,tutelare l’ambiente,creare occupazione .

A ben riflettere sono le novità che hanno determinato il successo del vitivinicolo siciliano.

Le parole chiave di questa strategia sono:filiera,qualità,rafforzamento di un modello di produzione basato sui prodotti tipici,valorizzazione del biologico,sicurezza alimentare.

Qualità vuol dire una impresa agricola e una industria alimentare che accetta la sfida delle certificazioni:sistemi di qualità,rintracciabilità di filiera,gestione ambientale,certificazione etica,certificazione di prodotto.

Queste cose immateriali fanno la differenza e aprono i mercati:succede così che Fiasconaro di Castelbuono può vendere il panettone in Lombardia.

Bisogna ragionare in grande concependo filiere che si pongano l’obiettivo di essere competitive nei mercati internazionali,invertendo quella tendenza che fa arrivare oggi a Ragusa sementi olandesi e know-how israeliano.

Siamo ancora in tempo ad utilizzare strumenti come agenda 2000 e i piani di sviluppo rurale per questi obiettivi che assicurano sviluppo nel tempo.

Su questi temi il 17 marzo alla presenza di Chiriaco incontreremo i presidi di tre facoltà, ricercatori ed esperti del settore nell’occasione della presentazione della rivista della Flai AE (agricoltura, alimentazione, economia, ecologia)in un convegno dal titolo: Mediterraneo giardino d’Europa - Lavoro e saperi per un progetto emas delle Madonne,del sistema comunitario di eco-gestione e monitoraggio

Bisogna aggredire i punti di debolezza dati dalla frammentazione fondiaria e dalla orografia del territorio,dalla scarsa propensione a fare filiera,dalla modesta capacità di trasformare e commercializzare.

Da due anni chiediamo di discutere le motivazioni di queste difficoltà.

Ma il disinteresse del governo e dei partiti politici è grande, e la stessa imprenditoria è più interessata all’assistenza che a confrontarsi con realtà che hanno grandi potenzialità produttive.

Ho trovato sbalorditive le affermazioni ,di ieri, del presidente della regione e del presidente di Sicindustria che plaudono alle motivazioni del nostro sciopero.

Viviamo in tempi straordinari se i padroni devono tifare per il sindacato!

Ma a Cuffaro non viene minimamente in mente che l’ostacolo è proprio lui e che contro le sue decisioni e mancate scelte è indetto lo sciopero?

Con la manifestazione odierna chiediamo alla nostra confederazione di assumere le questioni del comparto agroalimentare come tematiche centrali, senza trascurare,ovviamente, altri settori e tutti assieme, con lo sciopero generale del 26 marzo chiederemo, con la lotta, al governo regionale di cambiare politica industriale.

Il compagno Guglielmo Epifani al nostro direttivo nazionale ha sostenuto che il futuro dell’industria manifatturiera italiana appartiene ai settori legati alle vocazioni territoriali.

Sono sicuramente d’accordo e per questo chiedo che le nostre proposte abbiano uno spazio adeguato nella strategia della Cgil.

Lo dico in punta di piedi,senza spirito polemico e senza atteggiamento critico nei confronti di nessuno: la Cgil ha un serio ritardo di elaborazione complessiva in questa materia.

L’agroalimentare deve essere  un punto di forza  di qualunque  piattaforma per il Mezzogiorno,sicuramente ha una centralità in qualunque ipotesi di sviluppo: sarebbe banale dire “che la gente deve pur sempre mangiare”.

Ma forse proprio perché quella del mangiare è una attività semplice, normale e quotidiana si sottovaluta le risorse che mette in moto e che le girano attorno.

Basta solo un dato per capire di cosa parliamo:la metà del bilancio dell’UE va all’agricoltura.

Le analisi sulla specializzazione produttiva in Sicilia ci dicono che la quota di occupati più alta è quella relativa al complesso delle industrie della fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici,elettrici,ottici e dei mezzi di trasporto che assorbono il 21,5% degli occupati dell’industria manifatturiera siciliana.Segue a poca distanza l’industria alimentare e delle bevande con il 19,9% e con il 15% l’industria del legno,della gomma,della plastica e altre industrie manifatturiere.

Ciascuno di noi è in grado di considerare qual è l’attenzione che il nostro sindacato dedica a ciascuno di questi settori.

Sia chiaro la Flai non ha nessuna sindrome della solitudine,anzi apprezziamo la delega piena che ci viene data dalla confederazione,ma riteniamo che queste tematiche , proprio perché importanti per lo sviluppo della Sicilia, debbano essere presenti nella attività quotidiana della Cgil.

Ma il ritardo nella elaborazione ha interessato e interessa in primo luogo la Flai che fino a poco tempo fa ,almeno in Sicilia, era il sindacato prevalentemente dei forestali.

Nel dicembre del 2000 con una manifestazione analoga fatta a Catania, e conclusa da Cofferati , discutemmo del tema della qualità alimentare e ci ponemmo l’obiettivo di diventare il sindacato “anche dei forestali”.

Il gioco di parole serviva a dire che volevamo essere rappresentativi di tutto l’universo mondo agro-alimentare-ambientale, e per essere credibili dovevamo avere una proposta che esplicitamente fosse indenne da qualunque tentazione assistenziale.

Una proposta che sul piano delle politiche di sviluppo ma anche su quelle del lavoro e del salario fosse in grado di contrastare l’idea aberrante del non lavoro in agricoltura.

Nell’arco degli ultimi 15/20 anni il lavoro dipendente in agricoltura ha perso centralità a favore dell’impresa,complice le normative europee che l’impresa hanno messo al centro.

Se si considera che più del cinquanta per cento del bilancio UE va all’agricoltura si ha una idea dello spostamento dei pesi dal lavoro all’impresa.

Nell’occupazione agricola si evidenziano i fenomeni del massiccio ricorso alla manodopera stagionale e saltuaria e al lavoro extracomunitario,della bassa qualificazione dei lavoratori,dell’invecchiamento degli occupati .

Inoltre l’accento posto sulla produzione e non sul come si produce ha fatto ritenere che in agricoltura tutti potessero lavorare: barbieri, artigiani,pensionati, studenti,impiegati pubblici il sabato e la domenica, ecc. fuorché i salariati agricoli.

Da qui la teoria di individuare come non lavoro l’attività svolta in agricoltura. Teoria e pratica che hanno mitizzato e reso possibile il sottosalario,il lavoro nero,il sommerso che viene praticato in agricoltura molto più ampiamente che in altri settori.

Per dirla con Cuffaro si piange con un occhio solo nel senso che una giornata su due è sommersa.

Particolare attenzione merita,invece,il fenomeno positivo della realtà delle figure miste o delle piccole aziende a conduzione familiare verso le quali si indirizza l’attività dell’Alpa che sempre più deve essere considerata una struttura di servizio della Cgil.

Con la direzione di Franco Chiriaco ci siamo gettati dietro le spalle i meccanismi del riallineamento salariale, che erano figli della logica del lavoro agricolo a basso costo e abbiamo posto con forza il tema della dignità salariale.

In primo luogo diventa decisivo resistere alle forti sollecitazioni che ancora ci vengono fatte per utilizzare lo strumento del riallineamento.

Con la campagna per rinnovo dei CPL dobbiamo rilanciare la lotta al sottosalario e al sommerso, penso proprio che più che predicarla dobbiamo praticarla, specialmente oggi che la questione salariale torna centrale a fronte di una perdita del potere d’acquisto dei salari.

E’ noto che la Flai propone la rivisitazione dell’accordo del 23 luglio93,che essendo stato disatteso da governo nazionale e dai datori di lavoro non garantisce più una adeguata copertura dei lavoratori dalla inflazione.

Proponiamo contratti nazionali triennali e automatismi di recupero salariale della inflazione annuale che superando la logica dell’inflazione programmata pratichino quella dell’inflazione contrattata.

E’ del tutto evidente che la titolarità della materia appartenga alla Confederazione ma credo sia utile dare un contributo al dibattito sulla tutela salariale dei lavoratori.

In ogni caso credo che non si possa avere una idea dello sviluppo che non metta in chiaro le condizioni di vita dei lavoratori: dal salario al welfare,dai diritti alla qualità della vita.

Altri meglio di me,e Gulielmo in particolare, ci diranno della fase politica e della coerente battaglia che la Cgil porta avanti per tutelare i lavoratori,difendere le loro conquiste affermare la democrazia nel nostro Paese.

Siamo in prima linea per le pensioni contro il tentativo di scippo della controriforma Maroni/Tremonti, sosteniamo le ragioni di chi si oppone alla dequalificazione della scuola e della sanità, chiediamo il ritiro dei nostri militari dall’Iraq.

Parlare di queste cose non vuol dire parlare d’altro,perché esse sono le condizioni che permettono di affermare la nostra idea di sviluppo.

Le cose che diciamo in questa manifestazione sono il nostro specifico di una strategia generale:quella della Cgil.

Dire che il settore vitivinicolo,assieme all’industria elettronica e alla telefonia, è ambasciatore nel mondo della possibile modernizzazione della Sicilia all’insegna della qualità ,significa chiedere di parlare di sviluppo e non di lifting o di altre amenità alle quali ci sta abituando il presidente del consiglio in queste settimane.

Tuttavia, è giusto ricordare che l’agroindustria è la metafora dello sviluppo siciliano dove convivono innovazione e arretratezza,produttività e assistenzialismo,futuro e passato,lavoro tutelato e sommerso,punti di eccellenza e precariato.

C’è spazio per una qualità nuova dell’iniziativa sindacale,per questo riteniamo che l’agroalimentare possa essere una risorsa per un nuovo sviluppo della Sicilia e in particolare oggi che il declino industriale sembra imperare sulla scena sociale.

Bisogna reagire indicando una strada che non può essere quella del basso profilo e della precarizzazione del posto di lavoro che indicano le associazioni degli imprenditori con i quali oggi anche nella nostra isola è impossibile qualunque livello di intesa.

Il loro ruolo nella vicenda Parmalat, cosi come in altre importanti vertenze sindacali è stato quello di stare alla finestra pronti a lucrare posizioni di rendita speculativa senza nessuna idea realmente produttiva da mettere in campo.

Noi chiediamo alla regione di offrire sponda a quanti si vogliono misurare con uno sviluppo produttivo,è necessario avere una normativa a sostegno e per lo sviluppo dei distretti industriali,indirizzare le risorse della programmazione negoziata verso quelle attività che sono legate alle vocazioni territoriali,riformare la formazione professionale,dotarsi di strumenti che favoriscano lo sviluppo a cominciare dalle infrastrutture.

L’esperienza che si sta facendo a Butera con l’accordo di programma offre uno spaccato di come si possa procedere. In questo territorio vengono avanti sei iniziative industriali,(cinque delle quali alimentari) grazie a una intesa tra comune,sindacato e imprese.

Si creeranno circa duecento posti di lavoro che cambieranno il volto di quell’area geografica dove già da alcuni anni opera Zonin con il vino.

Fatte le imprese  si pone il problema della presenza del sindacato e spesso ci scontriamo con una logica ottocentesca dei datori di lavoro. Un caso per tutti i fratelli Zappalà e Zonin.

Ma c’è un retroterra, è quello di Niscemi ,di Gela e Licata, che offre già oggi una agricoltura trasformata e di qualità che se riesce a fare sistema permetterà la creazioni di tante esperienze simili a quelle di Butera.

Dov’è la Regione, dov’è Sicindustria?

E lo stesso può dirsi per il ragusano con l’agricoltura industriale delle serre.

A Cesena le industrie alimentari conoscono tutte le aziende di questo territorio perché ne trasformano le produzioni agricole.

E lo stesso può dirsi per il trapanese e l’agrigentino con i vigneti e la frutta,con Siracusa e Catania per gli agrumi, e per Palermo e Messina.

La stessa produzione vinicola,che tanti successi miete, è ancora di nicchia,anche se sono arrivati Giv, Mezzacorona, Zonin, Marzotto ad aggiungersi ai produttori siciliani.Tuttavia ci vogliono ancora due o trecento milioni di bottiglie per essere competitivi nei mercati mondiali.

Perché il nostro orizzonte devono essere i mercati internazionali e non  il mercato sotto casa.

In questa dimensione servono le alte professionalità ,la ricerca,il marketing,le reti informatiche,la modernizzazione e l’innovazione e il bracciante agricolo e l’operaio.

Purtroppo manca una strategia della regione siciliana per affermare il marchio Sicilia nel mondo.

 Eppure i pubblicitari ci dicono che la Sicilia è appetibile perché è una componente importante di quel  Made in Italy che tanto successo ha in vari campi.

L’autonomia speciale offre potenziali vantaggi che possono essere una forte attrattiva per investimenti produttivi nazionali e internazionali.

Assistiamo invece all’apoteosi dell’assistenzialismo che mai aveva raggiunto i livelli che si stanno conoscendo oggi.

Lo sciopero generale del 26 marzo deve rendere espliciti questi concetti  perché è possibile cambiare oggi.

Ma è necessario tutelare la qualità e la specialità delle nostre produzioni agroalimentare, per questo abbiamo criticato il provvedimento del ministro Marzano che permette la produzione di bibite a base di essenze e coloranti,decisione che induce una parte delle aziende di trasformazione a poter alterare senza limiti i prodotti dell’industria alimentare.

Allo stesso tempo apprezziamo l’idea di costituire in Sicilia l’agenzia per la sicurezza alimentare,ma questa scelta deve essere accompagnata dalla decisione di dichiarare la Sicilia “ogm free”.

Le dichiarazioni dell’assessore alla agricoltura circa la possibilità di sperimentare gli organismi geneticamente modificati nelle coltivazioni di cereali ha trovato finora solo la nostra opposizione.

Tutelare la qualità e la tipicità dei prodotti agricoli siciliani,significa fare una precisa scelta di campo rispetto agli ogm,che oltre a porre problemi di sicurezza alimentare sviliscono la tipicità dell’agricoltura siciliana,che è il suo punto di forza sul mercato.

Propongo di lanciare da questa manifestazione una campagna per dichiarare la Sicilia “ogm free”.

E’ un punto qualificante dell’azione per uno sviluppo sostenibile,sono convinto che tante sensibilità nella nostra isola condividono questa scelta.

Sempre a proposito di tutela dell’ambiente e del consumatore chiediamo regole uniche e controlli serrati in tutto lo spazio euro-mediterraneo rivedendo le modalità d’uso dei fitofarmaci,antiparassitari e diserbanti con l’adozione  di una politica che copra tutta la catena alimentare ,mangimi compresi.

Ma la sicurezza alimentare deve essere coniugata con la legalità e con la sicurezza nel territorio.

La legalità nella nostra categoria vuol dire in primo luogo lotta alla evasione contributiva, al sottosalario,al lavoro sommerso,vuol dire applicazione dei contratti:non c è qualità alimentare se non c’è qualità nel lavoro. Ma legalità vuol dire anche sicurezza alimentare,sicurezza nel posto di lavoro,riconoscimento dei diritti.

Altra questione è la lotta alla mafia,perché ci può essere illegalità senza mafia,ma se c’è mafia c’è illegalità.

La mafia nelle campagne è una realtà,anzi voglio essere più preciso:la mafia qui non è stata toccata dalle inchieste della magistratura della fine degli anni ottanta e novanta ,e recentemente le stesse imprese, e il procuratore Vigna ha confermato,hanno denunziato il ruolo della criminalità organizzata sulle aziende agricole italiane.

Se a Palermo città la mafia ha ricevuto colpi duri e seri lo stesso non si può dire per le province di Trapani,Agrigento, Caltanissetta, e nella stessa provincia di Palermo, dove, anche se risultati apprezzabili sono stati conseguiti, ancora la lotta tra stato e antistato è impari.

La condizione di isolamento che si registra attorno alla magistratura rende più complicata l’azione di prevenzione e di repressione.

Dalle inchieste della magistratura emerge che la campagna è stata sempre il bene rifugio dei mafiosi:qui trascorrono la latitanza,qui riciclano gran parte dei soldi sporchi (si veda la quantità di terreni confiscati), qui si trasformano in imprenditori,qui partecipano agli affari o organizzano gli stessi.

Ho la sensazione che in alcune province il potere mafioso esprima la stessa forza che aveva alla fine degli anni settanta,e chi ha vissuto quegli anni a Palermo sa di cosa parlo.

Un episodio realmente accaduto lo spiega bene.

Un compagno mi ha raccontato che un noto imprenditore settentrionale ha impiantato una azienda agricola in un comune dell’entroterra. Una notte viene derubato delle macchine e di tutte le barbatelle che in quei giorni dovevano essere utilizzate per impiantare il vigneto.

La notizia si sparge come un venticello nel paese, ma non succede nulla. Dopo qualche giorno i macchinari ritornano,le barbatelle vengono piantate,tutto come per incanto torna sereno.

Andate a guardare gli organici di quella azienda: ora nel libro paga ci sono molti rappresentanti della famiglia mafiosa di quella zona. Il mistero è spiegato.

Mi chiedo:ma l’unico a non sapere le cose che mi sono state raccontate è il maresciallo di quel paese oppure siamo in pieno sistema di potere mafioso? Ma questa volta non vale l’alibi dell’omertà perché l’imprenditore non è siciliano. Questa è la mafia, o meglio questi sono i mafiosi in carne e ossa.

Io non ho il diritto di mettere a repentaglio la vita di nessuno ma pongo il problema di come reagire a questo stato di cose che è molto più diffuso di quanto si possa immaginare.

E’ per questo penso sia necessario rilanciare l’iniziativa contro la mafia perché in alcuni territori se non c’è la Cgil non c’è antimafia.

Le condizioni di intimidazione di alcune realtà territoriali sono quelle della Sicilia di Rizzotto e di Carnevale.

Noi non vogliamo eroi,ma abbiamo il dovere non solo morale di reagire perché sappiamo che la ricchezza attrae la mafia ma che sono i condizionamenti ambientali che concorrono a darle impunità, e il nostro comparto presenta tutte le condizioni economiche,culturali,ambientali che lo rendono esposto alla mafia allo stesso modo come è esposta l’edilizia.

Negli ultimi anni è cresciuta una cultura antimafia ,non siamo più ai tempi in cui si diceva che la mafia non esiste,ma molto ancora c’è da fare.

Molte remore a investire in Sicilia vengono proprio dal problema della sicurezza,e il sindacato è tra i pochi soggetti sociali che può dare un contributo reale per creare condizioni favorevoli con la propria azione di denunzia e con la pratica dell’azione sindacale.

A ben riflettere battersi per i diritti, per la partecipazione,per migliori condizioni di vita significa contrastare soprusi e prevaricazioni, liberare e fare progredire interi territori.

Credo che si possa dire che in questi tre anni le cose più pregevoli che ha fatto il gruppo dirigente della Flai siciliana sono due:la definizione di una proposta per lo sviluppo del settore agro-alimentare-ambientale e la proposta per una forestazione produttiva.

Le due cose si tengono perché sono le due facce della stessa medaglia quella della qualità.

Esprimo qui la soddisfazione per il risultato dello sciopero dei forestali e per la manifestazione di mercoledì 3 marzo.

Osservo un crescendo nella capacità di mobilitazione dei lavoratori basta fare un raffronto tra lo sciopero di tutto il settore dell’industria lo scorso anno e quello dei forestali dell’altro giorno, la protesta monta perché si avverte la sostanziale stagnazione dei problemi l’incapacità di dare risposte in positivo..

La cosa che mi ha colpito di più non sono gli oltre diecimila manifestanti, ma il fatto che in migliaia hanno aspettato la fine del confronto con il governo per ascoltare le conclusioni alle quali eravamo approdati,e hanno dimostrato una passione e una solidarietà nei confronti del sindacato unitario che non si vedeva da molti anni.

Con il governo abbiamo siglato un accordo con il quale la giunta regionale assume l’impegno di riformare la legge sulla forestazione. Si tratta di aumentare la superficie boschiva , di coordinare tutte le risorse finanziarie,di stabilizzare i lavoratori forestali prosciugando tutti gli spazi che si configurano come assistenziali.

A regime pensiamo a una riduzione di circa 15000 addetti degli attuali 35000 che affollano le fasce dei lavoratori occupati.

E’ del tutto evidente che noi esprimiamo un cauto ottimismo rispetto a una trattativa che è tutta da svolgere. Una cosa è certa la nostra non è una proposta assistenziale!

La nostra proposta deve essere accompagnata da una legge sulla montagna e da misure per favorire l’agriturismo e il turismo eno-gastronomico .

E’ stato bello vedere numerosi sindaci di destra come di sinistra , che con i gonfaloni erano con noi nel corteo, sostenere le nostre ragioni,che sono quelle di gran parte delle popolazioni della fascia montana della nostra isola.

Conosciamo tutti i rischi del nostro settore: il caso Parmalat, Cirio, Ferruzzi , Italgrani e poi la mucca pazza ,il pollo alla diossina,il vino al metanolo sono le tante esperienze che affinano le nostre capacità e che però non riescono a scoraggiarci dal ricercare gli aspetti positivi sui quali improntare la nostra iniziativa.

Siamo un grande sindacato di categoria che ha fatto la storia del movimento sindacale di questa regione ma anche di tutte le battaglie di emancipazione e di civiltà.

 Il lavoro che abbiamo fatto in questi anni con pazienza certosina comincia a dare i suoi frutti e in vista degli importanti appuntamenti internazionali,allargamento dell’Europa a 25 e creazione dell’area Euromediterranea di libero scambio,comincia per noi,comincia per la Sicilia una vera e propria corsa contro il tempo per arrivare a questi appuntamenti avendo risolto tutti i nostri atavici ritardi.

Stiamo delineando una strategia che al di fuori di qualunque “bisognistica e occorristica” ha individuato una proposta ,i protagonisti,gli alleati , che nel nostro caso sono i consumatori e gli ambientalisti.

La manifestazione di oggi vuole dare forza a questo ragionamento e incoraggiare la nostra azione.

Sono grato a nome di franco Chiriaco e di tutta la Flai al compagno Guglielmo Epifani che con la sua presenza oggi qui ci incoraggia ad andare per questa strada.