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RELAZIONE DI SALVATORE LO BALBO,

SEGRETARIO GENERALE DELLA FLAI CGIL DELLA SICILIA,

AL IV CONGRESSO REGIONALE.

9 E 10 GENNAIO 2006

HOTEL SHERATON – CATANIA

 

 

Care compagne, cari compagni, cortesi invitati,

nel  ringraziarvi per la vostra presenza mi auguro che questo IV congresso regionale possa contribuire a farci avere maggiori elementi di conoscenza e di valutazione sia del comparto Agro-Alimentare-Ambientale sia della nostra organizzazione.

 

Voglio fornire, anzitutto, alcuni dati sulla Flai siciliana:

 

Dal dopoguerra la Federterra prima la Federbraccianti e la Filziat dopo e la Flai oggi sono stati punti riferimento di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici agricoli, dei magazzini agrumicoli ed ortofrutticoli, dell’industria alimentare e dei servizi al settore.

 

In questa fase congressuale hanno partecipato alle assemblee di base circa 26.451 mila iscritti, pari al 32,60 % dei lavoratori attivi che sono stati presenti in tutti i congressi di base della CGIL siciliana. Nei congressi provinciali hanno partecipato circa 1.500 delegati e oggi sono 224 i delegati presenti a questo congresso.

 

Inoltre, rappresentiamo un terzo degli iscritti tra i lavoratori attivi della CGIL siciliana e in molte realtà territoriali siamo più del 60% dei lavoratori attivi iscritti alle Camere del Lavoro territoriali.

 

Questa carta d’identità della Flai siciliana serve a rappresentare la complessità e l’articolazione di una categoria che è la raffigurazione di un comparto dell’economia siciliana che, direttamente e indirettamente, dà linfa e speranza a circa 250.000 lavoratori e lavoratrici dipendenti, che assieme alle proprie famiglie sono circa 600.000 siciliani.

 

Il comparto contribuisce, in modo originale, per 4 miliardi di euro al Prodotto Interno Lordo dell’isola. Dico in maniera originale perché nel nostro comparto i beni e i servizi prodotti sono visibili e ben riconoscibili. Quando si dice Made in Sicily o Dieta Mediterranea non si pensa, infatti, ai carburanti prodotti nelle raffinerie siciliane, alla produzione di automobili di Termini Imerese, o alla pubblica amministrazione regionale.

 

Il Made in Italy comprende i settori del manifatturiero, come il comparto della moda o la meccanica di precisione (ovviamente la Ferrari è un’eccezione) e il settore alimentare. In Sicilia non sono presenti né il settore della moda né la meccanica di precisione, ma siamo diventati in questi ultimi quindici anni sicuramente leader nel comparto AGRO-ALIMENTARE-AMBIENTALE.

 

Non penso che occorrano particolari sondaggi tra i consumatori, siciliani, italiani, europei o del resto del pianeta, con reddito superiore a 10.000 euro, per sapere quali sono i prodotti alimentari che fanno parte del paniere del Made in Sicily o della Dieta Mediterranea. Agrumi, olio, grano duro, uva da vino e uva tavola, ortaggi, frutta, fiori e piante ornamentali, pasta, carne, prodotti ittici caseari, ecc… sono produzioni ricche di sostanze salutari che giornalmente i mass-media pubblicizzano, poiché contribuiscono ad una aspettativa di vita tra le più longeve del pianeta.

 

Però, quello che rende originale il Made in Sicily non sono solo le materie prime, ma è il fatto che esse, in Sicilia e nel Mediterraneo, vengono coltivate, manipolate e trasformate da almeno tremila anni. Esse sono frutto della professionalità millenaria di uomini e donne che hanno elaborato singolari tecniche di produzione, di manipolazione, di trasformazione e di utilizzo di queste materie. Questi uomini e queste donne hanno imparato a coniugare il colpo di forbice indispensabile per la potatura con le condizioni climatiche utili a determinare il migliore risultato produttivo per la pianta e per il suo proprietario.

 

Oggi il “made in Sicily” è l’uva di Mazzarone, la pesca di Bivona, la razza bovina di Modica, il pomodorino di Pachino, il Cerasuolo di Vittoria, il ficodindia di San Cono o di Santa Margherita Belice, i prodotti caseari del Belice, l’arancia rossa di Scordia, le fave di Leonforte, l’eno-gastronomia di Castelbuono, il bianco d’Alcamo, il marsala di Marsala, il passito di Pantelleria, la cioccolata di Modica, il vivaismo ornamentale di Falcone, le fragole di Marsala, il Nero d’Avola, il pesce di tante marinerie, il pistacchio di Bronte, le razze equine di San Fratello e di Ragusa, la mandorla di Avola, il caciocavallo di Ragusa, il vino Corvo di Salaparuta, ecc…

 

In sintesi in Sicilia si è verificato quello che è avvenuto nel resto d’Italia, ovvero la valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti, nonché l’identificazione geografica e lo sviluppo economico e produttivo collegato con la tradizione.

 

Questo sviluppo è stato anche certificato e valorizzato dalla vigente normativa nazionale e comunitaria. Oggi in Sicilia abbiamo finalmente una zona che produce vino a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), abbiamo 22 decreti ministeriali che riconoscono vini a denominazione di origine controllata (DOC), 200 prodotti catalogati come “tipici” dal Ministero dell’Agricoltura, decine di DOP, IGP e IGT, 2 certificazioni alimentari Emas. Siamo la regione d’Europa con il maggior numero di aziende che producono e manipolano con tecniche biologiche. Inoltre dobbiamo aggiungere 4 Parchi, decine di riserve terrestri e marine e un’attività di tutela ambientale maggiore rispetto agli anni 60, 70 o 80.

 

A tutto ciò va aggiunto il notevole sviluppo di attività economiche legate al territorio e alle sue tradizioni, come le attività agrituristiche, i percorsi eno-gastronomici e le strade del vino e dell’olio. In sintesi questo è il Made in Sicily.

 

I protagonisti di questo sviluppo agro-alimentare-ambientale sono quei soggetti che hanno fatto la scelta di produrre per il mercato. Risorse finanziarie private e pubbliche, professionalità e scelte culturali sono state investite nel comparto da una parte del sistema delle imprese, dell’associazionismo e della pubblica amministrazione. Nelle imprese, imprenditori e lavoratori dipendenti in tutti questi anni hanno determinato uno sviluppo del comparto agro-alimentare-ambientale che non ha pari nei precedenti 40 anni.

 

Poche settimane fa sono stati ufficializzati i dati economici del 2004, che hanno confermato ulteriormente il trand positivo di PIL, PLV, export, occupazione e dinamicità di questo spaccato dell’economia.

 

Da consumatori ci meravigliamo sempre di più, quando nei vari punti vendita non troviamo le “nostre” produzioni, che finalmente vengono confezionate e pertanto diventano riconoscibili.

 

L’età media delle lavoratrici e dei lavoratori in questi quindici anni si è abbassata e, oggi, si attesta sui quarantacinque anni. Non solo il comparto occupa decine di migliaia di quadri, impiegati, tecnici ed operai ma è in grado anche di assorbire circa 20.000 lavoratrici e lavoratori migranti.

 

Gli occupati in questo comparto hanno un tenore di vita proporzionato a tanti altri dipendenti siciliani e vivono una vita del tutto simile ai loro coetanei italiani o europei. Passano il tempo libero allo stesso modo, vestono secondo le mode del momento e hanno cura del proprio benessere intellettuale e fisico. Non c’è differenza tra una lavoratrice delle zone interne con una della fascia costiera, non c’è differenza tra gli sms che inviati dai lavoratori siciliani e gli sms che si inviano a Singapore o a Londra. Inoltre più della metà hanno un titolo di studio di scuola media superiore o una laurea. Tutti hanno frequentato la scuola dell’obbligo e magari hanno fatto corsi di formazione professionale.

 

Compagne, compagni e signori invitati,

 

ho voluto, anche in modo particolareggiato, descrivere la parte positiva della realtà dove giornalmente centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori lavorano e vivono. Ovviamente non ho descritto l’Eldorado o l’Isola del Tesoro, di confindustriale memoria, poiché tanti sono i problemi presenti.

 

Ho voluto iniziare questa relazione descrivendo la SICILIA PRODUTTIVA, parlando di produzione e di lavoratori dipendenti, senza i quali non esisterebbe il made in Sicily, perché “sono stufo”, e penso di poter dire a nome vostro che “siamo stufi” di sentire parlare costantemente del comparto in termini catastrofistici e del lavoro dipendente come un costo, un onere, un fardello, un problema.

 

E’ opinione diffusa nella società che una retribuzione di 35 € per otto ore di lavoro al giorno (questa è la media regionale) sono troppi, che i contributi sociali sono eccessivi, che il lavoratore non ha diritto ad avere il sindacato in azienda, che l’orario di lavoro è determinato dal caporale di turno, che le pause sono esagerate, che lo straordinario va fatto senza lamentarsi, che il comparto non ha bisogno né di lavoratori a tempo indeterminato né di lavoro dipendente intellettuale.

 

Mentre i prodotti del Made in Sicily sono apprezzati, valutati, pubblicizzati, decantati, di contro i lavoratori dipendenti del settore costantemente vengono offesi dai luoghi comuni che imprenditori, studiosi, politici, giornalisti, economisti, e alcune volte anche dei sindacalisti artatamente alimentano. Infatti, chiamano contadini o agricoltori i lavoratori dipendenti e si intende un non lavoro il lavoro agricolo.

 

Il contadino o l’agricoltore sono proprietari della terra e solo in alcuni casi vi lavorano. Il bracciante è l’operaio dipendente agricolo che non è proprietario della terra e che mette a disposizione del datore di lavoro le proprie braccia, il proprio cervello e la propria professionalità per un corrispettivo economico regolamentato dal contratto nazionale di lavoro e dalla legislazione sociale. Il lavoratore dipendente agricolo è come il lavoratore dipendente della pubblica amministrazione, del sistema bancario, del settore metalmeccanico o chimico.

Il Made in Sicily non esisterebbe solo con l’attività dei contadini o degli agricoltori, ma esiste grazie al lavoro dipendente e ai lavoratori del comparto.

 

Il valore del lavoro è uno degli argomenti al centro del dibattito congressuale della CGIL, ed esso viene declinato con la proposta “della dipendenza economica come fondamento dei diritti, delle tutele e dei costi cui deve far fronte l’impresa, attraverso una ridefinizione di lavoratore economicamente dipendente cui far corrispondere una equiparazione dei diritti e dei costi” (tesi congressuali della CGIL). Per questo motivo la CGIL individua nelle tesi congressuali il contratto a tempo indeterminato come la normale forma di lavoro e i contratti flessibili come una mera eccezione. Le fasi di lavoro stagionale devono trovare nei contratti a tempo indeterminato lo spazio utile a dare dignità ai lavoratori che di questa ricchezza professionale sono depositari.

 

Di conseguenza è credibile, ed è possibile, superare in Sicilia entro il 2006 il numero di diecimila lavoratori a tempo indeterminato, contro gli attuali tremila. Più si stabilizza il lavoro, specialmente nelle grandi aziende, più si contribuisce a che le imprese diventino sistema economico.

 

Tutto ciò vuol dire, pertanto, “riportare in correlazione diretta la fatica e l’impegno nel lavoro con una retribuzione giusta, con un corredo di diritti universali, indipendentemente dal nome contrattuale, estendendo così lo Statuto dei diritti dei lavoratori alle aziende con meno di quindici dipendenti (tesi congressuali della CGIL).

 

Per questi motivi è assurdo assistere al fatto che ancora oggi quando si parla del lavoro agricolo in tanti dimenticano, sia nella casa di destra sia in quella di sinistra, che anche questo è lavoro dipendente. Lo stesso fatto che da anni la Flai tenta di affermare l’esistenza politica, sociale ed economica del lavoro agricolo dipendente è un assurdo.

 

Nei prossimi mesi svilupperemo una forte, determinata e diffusa iniziativa su questi temi in tutta la regione, perché siano abbattuti i luoghi comuni che i contributi agricoli non si debbano pagare, il contratto non si applica, la professionalità non esiste, il lavoro nero è la regola

 

Questo clima di clandestinità, complicità e illegalità economica e sociale ha determinato la vergognosa e drammatica situazione del proliferare, nella terra del Made in Sicily e delle lotte e delle conquiste bracciantili degli anni ’50, ’60 e ’70, la diffusione di “nuova schiavitù” nel comparto Agro-Alimentare-Ambientale. Dalla zootecnia agli agrumeti, dagli ortaggi alle serre, dall’agriturismo alle aziende biologiche nella nostra regione ci sono imprenditori senza scrupoli che, vantandosene, praticano forme di schiavitù.

 

Questo succede non nel silenzio delle case di campagne ma nelle rumorose piazze delle nostre cittadine, nelle quali è diventato uno degli argomenti principali di discussione. Migliaia di lavoratori e di lavoratrici dell’Est Europa sono brutalmente schiavizzati e ricattati: vengono loro sottratti i passaporti, il loro pesante lavoro è pagato con pochi euro, vivono in abitazioni fatiscenti senza acqua, luce e servizi igienici, e cosa ancora più grave le donne, oltre alle prestazioni lavorative, sono costrette anche prestazioni sessuali. Il dramma è che questa situazione è nota alle forze dell’ordine, ai preti, ai sindacalisti, ai sindaci, agli ispettori del lavoro e ai benpensanti.

 

Da questo congresso lancio un forte appello a tutta la nostra organizzazione e alla Cgil per una mobilitazione contro il nuovo schiavismo che non è solo frutto della sciagurata legge Bossi-Fini ma anche del degrado culturale, etico ed economico presente nella nostra regione. Alla indignazione per gli immigrati che muoiono nel nostro mare o per le condizioni dei CPT si deve aggiungere l’indignazione per la nuova schiavitù presente in Sicilia.

 

Il livello di qualità del lavoro e il rispetto della dignità della persona sono la cartina di tornasole non solo della nostra civiltà economica e sociale ma anche le condizioni essenziali per il rifiuto della cultura mafiosa e di Cosa Nostra.

 

Più la cultura del produrre si afferma più la Mafia, in tutte le sue manifestazioni, arretra. Oggi possiamo affermare che nelle principali città siciliane, dopo gli attentati a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino lo Stato, o una parte significativa di esso, riesce non solo a contrastare Cosa Nostra ma anche a contenerla con gli strumenti della democrazia e, di conseguenza, aumenta la partecipazione dei cittadini alla costruzione di una società libera dalla Mafia.

 

Tutto ciò, purtroppo, non accade nelle campagne e nei paesi di provincia. Sono tanti i segnali che continuano a registrare la forte presenza delle organizzazioni mafiose. Essi  non sono necessariamente proporzionati agli omicidi, anzi, quando le armi tacciono il livello di presenza mafiosa è più alto ed efficiente.

 

Le molte illegalità, i molti soprusi, i tantissimi atti di violenza che giornalmente si consumano nei paesi e nelle campagne si spiegano solo con una tolleranza, che in molti casi si tramuta in complicità o partecipazione, di parte dell’apparato statale e pubblico. Solo così è spiegabile come mai le attività mafiose note ai più sono ignote a quanti devono intervenire.

 

Nelle settimane scorse la Guardia di Finanza ha eseguito nella provincia di Catania un’operazione di Polizia Giudiziaria contro una organizzazione che interpretava “modu proprio” la legislazione sul lavoro agricolo. A seguito di questa operazione sono stati eseguiti diciannove arresti, tra cui quello di un impiegato Inps, di quattro consulenti del lavoro e di quattordici finti imprenditori agricoli che avevano messo sù un giro di cooperative senza terra che operavano sul fronte della coltivazione di terreni agricoli, i cui proprietari sono noti personaggi della provincia catanese e di altre provincie. Queste cooperative senza terra, oltre ad alimentare il mercato delle false giornate di lavoro, assumevano migliaia di lavoratrici e di lavoratori che, se volevano lavorare in modo regolare, dovevano pagarsi per intero i contributi previdenziali altrimenti avrebbero lavorato in nero.

 

Il risultato è stato che dal punto di vista formale oltre ai diciannove arrestati ci sono cinque mila rapporti di lavoro contestati. Dico contestati e non presunti falsi perché per l’Inps non esiste la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva ma la presunzione di colpevolezza e di conseguenza l’Istituto applica da subito la sospensione immediata di tutte le prestazioni previdenziali ed assistenziali.

 

La Cgil e la Flai di Catania, ma anche quelle di tutte le altre province, da anni hanno denunciato la nascita, lo sviluppo e la diffusione di questi reati. Migliaia di lavoratori, prima di cedere al ricatto di queste cooperative fasulle, nelle piazze e nelle strade dei nostri paesi hanno gridato l’esistenza di queste organizzazioni criminali. Questa situazione era nota a molti, ma legalmente e con tutti i timbri queste false aziende continuavano ad operare mentre la sfiducia dei lavoratori aumentava. Tale ragionamento non è una difesa generalizzata di chiunque sia iscritto negli elenchi anagrafici, ma una adeguata valutazione di una situazione che non deve tramutare le vittime in truffatori e i truffatori in furbi.

 

Dopo anni di denunce inascoltate, finalmente la magistratura ha fatto il suo dovere. E’ intervenuta sugli effetti di un fenomeno che ha radici ben più profonde. Le cause di questo evento sono ancora inalterate ed esse si possono sintetizzare nella clandestinità economica , nella evasione fiscale, nella limitazione dei diritti fondamentali dei lavoratori dipendenti e dei cittadini, nella complicità di tutti coloro che, pur giurando fedeltà allo Stato e agli Enti dove lavorano, di fatto sono conniventi con Cosa Nostra e con la cultura mafiosa.

Nello specifico non ci risulta che l’Inps abbia disposto una inchiesta interna, né che a Catania si stia procedendo ad una verifica dei registri d’impresa consegnati alle altre cooperative senza terra, né che i dipendenti del reparto siano stati sostituiti con altri dipendenti.

 

Un altro caso balzato agli onori della cronaca ha coinvolto un imprenditore del Nord che tranquillamente conviveva con noti personaggi della mafia locale arrestati nelle settimane scorse e che dichiarava alla TV, in un programma che avrebbe dovuto fare chiarezza sulla libertà di intraprendere senza ingerenze criminali, di non aver mai avuto a che fare con organizzazioni mafiose. Tra le garanzie che Cosa Nostra gli dava c’era quella di non fare entrare il sindacato nella sua azienda.

 

Liberare le campagne dalla Mafia è un obiettivo che lo Stato si deve dare per i prossimi anni, e nello Stato ci sono sia i lavoratori dipendenti sia gli imprenditori e le organizzazioni sindacali di entrambi. Se con la Mafia il Made in Sicily alimentare è la più importante novità economica degli ultimi quindici anni, senza la Mafia il Made in Sicily può diventare una delle più importanti novità economiche dell’Europa per i prossimi decenni.

 

Delegate e delegati, signori invitati

 

In questi tre mesi da Segretario Generale della FLAI CGIL della Sicilia ho avuto modo di apprezzare, ulteriormente, la rilevanza che il comparto e la Flai hanno per l’isola nella quale viviamo.

 

Ho la fortuna di essere stato, per la massima direzione della Flai, la soluzione interna per la categoria dopo il compagno Sebastiano Russo, già segretario Generale della Federbraccianti siciliana negli anni ottanta, al quale va il nostro sentito pensiero e che nei prossimi mesi ricorderemo con una manifestazione regionale specifica.

 

Sono tantissimi i ricercatori e gli osservatori economici che indicano per l’Italia e per la Sicilia nello sviluppo locale, nella valorizzazione delle ricchezze territoriali e nel potenziamento della nostra millenaria cultura l’unica possibilità per continuare a dare un contributo di progresso al pianeta.

 

I temi individuati dalla Comunità Europea sulla sicurezza alimentare, sulla tutela ambientale, sul recupero della ruralità, sul rispetto dei diritti dei cittadini, dei lavoratori e dei consumatori sono pietre miliari per quanti vedono i rapporti tra le macro-aree della nostro pianeta basati non sui conflitti ma sulla reciproca tolleranza.

 

In questo contesto i temi dell’energia e dell’alimentazione rappresentano i due campi dove sempre maggiore è la competizione, armata o pacifica, tra i singoli stati e tra le macro-aree. Ad essi si aggiunge il tema della sanità che sempre di più si integrerà con l’energia e l’alimentazione. Non a caso le grandi multinazionali tendono a controllare tutti e tre i settori..

 

Vale la pena ripetere che la sfida si attesterà su due fronti: quello della competizione a bassi prezzi e normale qualità e quello della competizione su un rapporto qualità/prezzo a livelli alti. La nostra economia, il nostro apparato produttivo, il nostro modello di vita si sono assestati su livelli di produzione e di consumo sempre più avanzati.

 

Ogni qualvolta facciamo scelte che favoriscono la ricerca, l’innovazione e la qualità, a prezzi adeguati, la nostra competitività aumenta. Quando, invece abbandoniamo questo modello di sviluppo e pensiamo di competere penalizzando la ricerca, l’innovazione, la qualità, la sicurezza e i salari dei lavoratori nei mercati internazionali, nazionali e locali, siamo perdenti.

 

Confermiamo la scelta fatta nell’ultimo congresso di avere forti dubbi sulla tecnologia che crea gli organismi geneticamente modificati, meglio noti come OGM. Le nostre preoccupazioni rimangono intatte, e la ricerca deve continuare a procedere secondo il principio di precauzione e secondo direttive e norme comunitarie, nazionali e regionali improntate  alla trasparenza e alla massima informazione per le popolazioni che vivono nelle aree di produzione e per i consumatori. E’ molto strano che, nonostante la diffusione nel mondo delle produzioni OGM, siano rare, anzi inesistenti, le etichette di alimenti di massa che hanno alla base prodotti geneticamente modificati.

 

Così come in Europa i paesi più competitivi sono quelli che il documento congressuale della CGIL e le classifiche economiche più autorevoli individuano nei paesi scandinavi, così i prodotti più apprezzati della nostra economia nazionale e regionale sono quelli che danno al consumatore certezze, conoscenza, cultura, corrispondenza tra l’apparire e l’essere.

 

La strada dell’anonimato, delle truffe commerciali, dell’improvvisazione economica dopo poco tempo non solo determinano perdita di mercato ma allontanano il consumatore anche dal territorio di produzione di questi alimenti.

 

I diritti del consumatore ad avere livelli qualitativi dei prodotti sempre più alti è una opzione in continuo sviluppo. Non è da sottovalutare anche il fatto che il pianeta non si divide in consumatori che hanno questi diritti e consumatori che non ne hanno.

 

Le epidemie alimentari globali, quelle vere e quelle presunte, alle quali facciamo fronte, ci dicono che i consumatori del pianeta hanno diritto a livelli di sicurezza alimentare uguali per tutti. Questo incomincia ad essere un diritto globale sempre più pregnante e non eludibile. Per questi motivi i paesi ricchi del pianeta hanno maggiori responsabilità nell’affrontare questi temi e nel proporre un modello produttivo e di sviluppo contenente codici di comportamento e regole che devono essere rispettati.

 

Il tema dell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, a partire da quelle derivanti dalla produzione agro-alimentare-ambientale come il bioetanolo o le biomasse, o da quelle derivanti dall’energia solare, sarà un tema che la Flai della Sicilia, unitamente alla Flai nazionale, svilupperà già a partire dai prossimi giorni. Dopo questa relazione il direttore generale della Fondazione Metes, Antonio Federico farà una comunicazione dal titolo “l’agroalimentare energetico e le fonti rinnovabili”.

 

La Fondazione Metes è la fabbrica delle idee della Flai nazionale. Già da più di due anni, oltre ad occuparsi di formazione per i delegati e per i dirigenti sindacali della nostra categoria, si occupa anche di diffondere i valori e le ragioni del lavoro nel settore agroalimentare, attraverso gli strumenti della ricerca, della conoscenza, della formazione e dell’informazione, per promuovere l’affermazione di un modello di sviluppo economico sostenibile e solidale.

 

Delegate, delegati, signori invitati,

 

è partendo da queste riflessioni che ritengo utile affrontare alcune questioni al centro del dibattito congressuale nazionale e regionale.

 

La definizione di nuovi e più avanzati modelli contrattuali per il mondo del lavoro dipendente italiano non può che passare da un rilancio di quelli che sono stati i motivi che hanno spinto CGIL, CISL e UIL a sottoscrivere l’accordo del 23 luglio1993 e, ancora prima, dal dopoguerra in poi, ci ha sempre spinto a fare accordi con le controparti pubbliche e private.

 

Non penso che siano venuti meno i motivi che portarono a quella scelta: combattere l’inflazione o contenere i prezzi e le tariffe e investire come sistema Italia nella ricerca, nell’innovazione e nel Mezzogiorno sono temi che anche oggi compaiono nell’agenda del dibattito politico, sindacale ed economico.

 

Questo governo nazionale ha avuto la capacità di dimostrare che senza una convinta e partecipata governance della società la fase di declino non è solo un aspetto economico. Il declino economico, che la CGIL già quattro anni fa denunciava, non solo si è aggravato ma ha coinvolto anche altri aspetti della vita sociale, civile, istituzionale.

 

Per questi motivi penso che sia politicamente vantaggioso per il sistema Italia e per i lavoratori dipendenti avere per il futuro prossimo un quadro politico che incoraggi e non ostacoli la possibilità di aggiornare quell’accordo. L’aggiornamento dovrebbe prevedere non solo una rivisitazione dei parametri fondamentali della nostra economia ma anche le misure che vanno assunte per tenere il paese in una fase di sviluppo e di produzione della ricchezza.

 

Il documento congressuale della CGIL afferma che “una strategia di sviluppo deve proporsi di ribaltare l’economia dello spreco invalsa in questi anni, proponendo al contrario un’economia del benessere, attenta all’uso sostenibile e ottimale delle risorse. Essa va realizzata attraverso l’innovazione dei prodotti e dei processi, la riduzione del contenuto energetico e di materie prime per unità di prodotto, la manutenzione idrogeologica del territorio e la sua messa in sicurezza”. La Sicilia, più di ogni altra regione è interessata a questo tipo di scelte, perché non è rimanendo nell’Obiettivo 1 della Comunità Europea che eleviamo il nostro livello di ricchezza, ma operando scelte di fondo che valorizzino tremila anni di storia e di cultura.

 

Il tema della redistribuzione della ricchezza prodotta, a partire da una europeizzazione dei salari delle lavoratrici e dei lavoratori italiani, è anche per la nostra categoria e per la nostra regione un tema centrale. Con chiarezza diciamo NO al federalismo contrattuale, all’introduzione di doppi regimi salariali per i vecchi e nuovi assunti, ad aumenti salariali legati a parametri non verificabili dalle RSU e alle frequenti erogazioni unilaterali.

 

Il direttivo nazionale della Flai, circa due anni fa dopo un appassionato dibattito, ha assunto l’orientamento di modifica dell’attuale assetto. In particolare la Flai ritiene che la contrattazione nazionale:

 

Il valore di questa decisione mi sembra fortemente attuale e coerente con le tesi congressuali della CGIL. Questa mi sembra essere la strada più adeguata per rispondere alla esigenza di ridistribuire la ricchezza prodotta sia nazionalmente sia ai livelli territoriali e/o aziendali.

 

E’ chiaro che, fissati i minimi nazionali, compresi quelli che recuperano l’inflazione, la contrattazione aziendale va esercitata pienamente e per tutti. In particolare la nostra categoria non può continuare a soffrire la schizofrenica situazione di essere da una parte convinti aziendalisti nell’industria alimentare e dall’altra di “subire” i tanti se e i tanti ma che esistono nel settore agricolo e che limitano l’esercizio alla contrattazione decentrata.

 

Ho affermato che siamo presenti in 145 aziende, di cui almeno la metà sono agricole o di commercializzazione dei prodotti. In alcuni casi abbiamo buone esperienze di contrattazione sindacale, ma ciò non è la normalità.

 

Spesso mi chiedo se il limite all’esercizio della contrattazione aziendale o territoriale sia solo strettamente sindacale o prevalentemente politico o culturale, oppure se in Sicilia e nel meridione la Confederazione (anche noi siamo la Confederazione) storicamente si sia occupata prevalentemente del lavoratore come figura sociale e meno come soggetto contrattuale nei confronti delle controparti private e pubbliche.

 

Sono punti di riflessione che penso debbano essere approfonditi ai vari livelli della Flai e della Cgil. Inoltre, se è vero che la contrattazione aziendale si sviluppa (sia nelle quantità sia nella qualità) dove c’è maggiore apparato produttivo, nel centro-nord e in alcune categorie, questi mi sembrano essere temi di spessore congressuale non solo per la Sicilia ma per l’intero territorio nazionale.

 

Questo limite geografico fa abbassare di molto la media quantitativa e qualitativa della contrattazione aziendale, spingendoci ad affermare che i recuperi salariali legati alla contrattazione aziendale sono stati notevolmente inferiori alle attese derivanti dall’accordo del 23 luglio 1993.

 

Per questi motivi, nella nostra regione sia come Confederazione sia come categorie dobbiamo dare corso ad una stagione di lotte che determinino aumenti salariali capaci di far recuperare il differenziale produttivo maturato dal 1993 in poi, dato che almeno l’inflazione formale è stata recuperata a livello nazionale. In particolare nella nostra categoria, dobbiamo rendere esigibile l’incremento di produttività e di redditività che in molte medie e grandi aziende si è realizzato con il made in Sicily in quanto è a questo livello che il salario che valorizza la produttività esprime la sua ragione di essere.

 

La Cgil siciliana deve tutelare il lavoratore sia quando è in azienda sia quando il lavoratore/disoccupato/pensionato è fuori dall’azienda. In entrambi i casi deve recuperare quasi un ventennio di squilibrio e di ritardi accumulati sul fronte contrattuale del lavoratore/cittadino. In questa direzione la Flai siciliana metterà tutto il suo impegno e darà il suo contributo di elaborazione e di iniziativa. Le condizioni ci sono, basta che con determinazione si dia ai lavoratori una linea politica chiara e comprensibile.

 

La capacità dimostrata dalla nostra organizzazione, in accordo con Fai e Uila, di contrastare la volontà del Governo nazionale di procedere a tagli insensati sulla indennità speciale di disoccupazione agricola, ha intercettato la volontà del governo di togliere ai poveri per dare ai ricchi e di non voler procedere a vere riforme strutturali.

Anche la soluzione individuata nei giorni scorsi, di fatto, rinvia il problema, e con determinazione dobbiamo proseguire nella strada per un ammodernamento del sistema contributivo, previdenziale ed assistenziale del comparto, prevedendo anche una reintroduzione di regole pubbliche di gestione del mercato del lavoro. Sento, in questa occasione, di dover rivolgere un ringraziamento a tutte le strutture e a tutti i compagni che si sono impegnati nel 2004 e nel 2005 nel governo di questo movimento di lotta che, sono certo, contiene le basi di una azione sindacale più complessiva.

 

Il documento politico che la Cgil della Sicilia propone nell’ambito del suo XV congresso è un ottimo punto di partenza per l’inizio di una nuova stagione di lotte e di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori siciliani. Nel contempo esso, a mio avviso, è il contributo che la nostra Confederazione dà alla parte progressista della società per l’inizio di una fase di riscatto della Sicilia dalla Mafia e da una classe politica che ha allontanato la nostra regione dal resto dell’Europa.

 

Delegate, delegati, signori invitati,

 

per la Flai della Sicilia il bilancio di questi ultimi quattro anni è fortemente positivo anche perchè abbiamo contribuito a dare alla CGIL siciliana un segretario generale capace di rilanciare la credibilità, l’immagine e i contenuti della nostra organizzazione. Inoltre, fino a qualche mese fa non era per nulla scontato sottoscrivere un’ipotesi di accordo per il riordino della legge regionale n. 16/96 sulla forestazione, non era scontato sottoscrivere quasi tutti i contratti provinciali di lavoro del settore agricolo senza il riallineamento, non era scontato aver traghettato in modo definitivo la categoria da una deriva assistenziale e dipendente dalle risorse pubbliche ad una fase di forte protagonismo contrattuale, sociale e politico.

 

Il compagno Italo Tripi, nella sua relazione svolta in occasione dell’ultimo congresso regionale della Flai, ci faceva assumere la scelta “di qualificare la nostra azione come sindacato generale del comparto agroalimentare”. Oggi possiamo affermare che abbiamo mantenuto questo impegno e che andiamo oltre. Vogliamo essere il sindacato di decina di migliaia di donne e uomini del nostro tempo che vogliono trovare nel comparto agro-alimentare-ambientale il luogo dove poter realizzare le proprie professionalità, i propri desideri e il proprio protagonismo.

 

In questi quattro anni abbiamo marcato la nostra innovativa presenza sulle tematiche inerenti al settore della pesca, attraverso la partecipazione alla trattativa per la firma del CCNL e la forte denuncia delle condizioni di vita e di lavoro dei tredicimila lavoratori dipendenti del settore. Bassi salari, condizioni previdenziali ed assistenziali arretrati, alto indice di rischi per la salute e molte volte per la vita, sono le condizioni disumane che imperversano tuttora.

 

La persistente assenza di concertate programmazioni politiche ed economiche lascia il settore nelle mani di avventurieri senza scrupoli che perseverano nell’opera di rapina che viene svolta sia nei confronti del mare sia nei confronti della pubblica amministrazione. La tolleranza che c’è da parte di quest’ultima sull’assenza dei mercati ittici, oltre ad aumentare i livelli di evasione fiscale non dà ai consumatori le certezze sanitarie e di qualità cui hanno diritto, lasciando nelle mani della mafia un settore che necessita di ben altro.

 

Un contributo notevole potrebbe venire dalla presenza di Federpesca a livello regionale. La presenza provinciale di questa organizzazione datoriale non permette alle parti di dare attuazione alle scelte contrattuali che prevedono azioni comuni nei confronti degli interlocutori pubblici e di sostegno del settore.

 

Nel settore della zootecnia e dei prodotti caseari è indispensabile condurre una decisa azione di disinquinamento criminale. Tale settore. grazie alle tecniche di allevamento semi-brado e alla presenza di razze indigene importanti, ha grandi prospettive di sviluppo e può essere un volano importante per la valorizzazione delle zone interne e montane. Assieme con la forestazione e il turismo, la zootecnia è già oggi una importante realtà economica e una occasione per la tutela dell’ambiente e del paesaggio.

 

Per continuare questo trend positivo le aziende del settore devono fare definitivamente la scelta della qualità e la pubblica amministrazione deve svolgere i compiti istituzionali con maggiore coerenza e determinazione. Non possiamo assistere alla persistente presenza nella nostra regione di centinaia di casi l’anno di brucellosi umana, ai continui blocchi dello spostamento degli animali per infezioni sempre in corso, ai casi di lingua blu, a intere zone interdette a tutte le attività dell’uomo per contaminazioni di carbonchio e anche a qualche caso di BSE umana.

La sicurezza dei luoghi di produzione, dell’ambiente e dei prodotti. mai come in questo settore sono pre-condizioni di sviluppo indispensabili per dare possibilità concrete di emancipazione delle popolazioni delle zone interne.

 

La positiva fase di consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori forestali, conclusasi recentemente, ha determinato la ufficializzazione della firma definitiva da parte di Fai, Flai e Uila della ipotesi di accordo sindacale per il riordino del settore agro-forestale-ambientale della regione siciliana sottoscritta il 30 novembre 2005 con l’Assessore Innocenzo Leontini, che ringrazio per la presenza a questo congresso.

La consultazione è andata oltre ai delegati e alle delegate aziendali, coinvolgendo più di quattromila lavoratrici e lavoratori che hanno apprezzato il profondo senso di rinnovamento e di unità che questa intesa dà al settore. E’ stata colta pienamente la volontà di delegiferare, di decentrare, di sburocratizzare, di valorizzare i distretti forestali, di valorizzare il lavoro e di avere relazioni sindacali improntate alla rivalutazione del ruolo privatistico che il rapporto di lavoro mantiene.

La decisione di procedere all’allargamento della superficie boschiva di almeno il 30% e di avere un organico aziendale di 16.540 unità, sostanzialmente stabilizzato, obbligherà l’amministrazione forestale a dotarsi di una diversa e più efficiente organizzazione del lavoro a partire dal lavoro intellettuale e impegnerà il sindacato unitario confederale ad un ruolo contrattuale e di valorizzazione delle RSU e dei RLS più pregnante e più partecipativo per le lavoratrici e per i lavoratori.

 

L’apertura delle trattative per il rinnovo del CCNL del settore agricolo con le innovazioni che contiene rappresenta un momento importante per la nostra categoria. La Flai siciliana è stata fortemente coinvolta nella fase di elaborazione della piattaforma e sarà altrettanto impegnata nella fase di rinnovo del contratto. Gli obiettivi che ci siamo posti, dalla questione salariale alla unificazione dei contratti degli operai e degli impiegati e alla nuova determinazione delle aree di contrattazione provinciale e aziendale sono contenuti che convincono i lavoratori ad una consapevole partecipazione per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nel settore.

Non posso che registrare negativamente la mancata firma, ad oggi, del CPL di Palermo, Catania e Messina. In alcuni casi siamo ad accordi verbali che non sanano il ritardo contrattuale. Nelle rimanenti sei province abbiamo conquistato punti importanti sia sulla tutela salariale sia sul fronte dei diritti individuali e collettivi.

 

Le industrie alimentari che utilizzano le materie prime agricole, ittiche e zootecniche devono fare un salto di qualità imprenditoriale ed organizzativo. La Sicilia qui registra la massima arretratezza. A fronte di un timido sviluppo di aziende medio-piccole che guardano al mercato regionale e che alcune volte sono in grado di soddisfare positivamente le esigenze dei consumatori siciliani, non corrisponde l’altrettanta necessità di avere aziende medie e grandi capaci di allargare l’orizzonte dei nostri prodotti al mercato nazionale ed europeo.

La presenza di aziende nazionali nel settore vitivinicolo, nel lattiero-caseario e nella distribuzione è un importante contributo alla valorizzazione dei nostri prodotti e alla responsabilizzazione dei nostri imprenditori che soffrono spesso di famelico infantilismo nel rapporto con il denaro pubblico e di provincialismo con il resto del mondo economico.

Valorizzare la nostra situazione geo-economica attraverso una forte contaminazione commerciale favorendo processi di ri-esportazione dei prodotti del bacino del Mediterraneo presuppone una adeguata presenza della catena del freddo e una rete dei trasporti in grado di soddisfare le esigenze di logistica indispensabili ad essere un importante riferimento per l’Europa. Già altre regioni europee si preparano al continuo espandersi dei commerci di qualità e la mancata competizione su questo terreno penalizzerà notevolmente il nostro futuro.

Per questi motivi confermiamo la inutilità a medio termine della costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina e la indispensabilità di una infrastrutturazione adeguata ad un apparato produttivo in forte crescita.

 

La capacità di commercializzare i prodotti allo stato fresco rimane una delle principali opzioni di utilizzo delle nostre materie prime. Negli ultimi quindici anni nel settore è avvenuta una ristrutturazione che ha visto la scomparsa di molte aziende , singole o associate, e l’affermazione di poche aziende che hanno avuto la capacità di diventare interlocutrici nazionali ed europee sia della Grande Distribuzione Organizzata sia della moderna distribuzione.

Ma ancora non sono venute meno le presenze dei “professionisti della economia di carta”, cioè di quei presunti imprenditori o affaristi che aggirandosi tra i corridoi degli assessorati, dei ministeri e della Comunità Europea riescono a drenare risorse pubbliche previste dalle normative vigenti, senza creare un centesimo di ricchezza. Questi affaristi determinano, molte volte, le sorti di una stagione produttiva e in alcuni casi, come è successo per la EMMEGI di Termini Imprese, la vita di un’azienda. Troppo timido è il contrasto che la parte sana del settore oppone ad essi e quasi inesistente è l’azione della pubblica amministrazione nel determinarne la loro fine.

Ai “professionisti della economia di carta” che parlano solo di crisi e di finanziamenti pubblici da rapinare, devono contrapporsi i “professionisti della economia di mercato” che svolgono l’attività di valorizzazione delle materie prime e che, attraverso una rete logistica adeguata, sono in grado di mettere in relazione i consumatori con le aziende

In questo settore ormai diventa vincente la determinazione di sinergie tra i soggetti della filiera, l’utilizzo di politiche di marchio, l’innovazione di prodotto, la gestione del marketing e delle campagne promozionali rapportate almeno al mercato nazionale.

L’abbandono definitivo delle vecchie tecniche di commercializzazione e l’inserimento nei moderni canali del fresco e delle gamme commerciali più moderne rappresentano la strada obbligata da percorrere per continuare a dare alle nostre produzioni un futuro aggressivo di mercato.

 

Un rinnovato associazionismo, basato sulla mutualità e sulla solidarietà, è la risposta obbligata che decine di migliaia di piccoli produttori devono darsi per avere una prospettiva non prettamente domestica alle loro produzioni. Essi, sempre di più, saranno stretti a valle da un consumatore che vuole comprare prodotti non anonimi a prezzi vantaggiosi e a monte da fornitori di mezzi di produzione non disponibili a frantumare la loro presenza nei mercati.

In Sicilia l’associazionismo non ha espresso il meglio di sé, e gli ultimi trent’anni sono tante le esperienze fallimentari. Ma ad esso non c’è alternativa se si vuole produrre piccole quantità ad alta qualità in grado di conquistare una soddisfacente presenza nei mercati. In tale direzione un rinnovato dialogo va ripreso con la Lega delle cooperative, coinvolgendo anche la nostra associazione delle figure miste Alpa.

 

L’arretratezza presente sul fronte della ricerca, dell’innovazione e dei servizi alla produzione ci portano a chiedere al governo della regione meno soldi per la garanzia dei redditi e per gli assistenzialismi e più investimenti per il lavoro intellettuale. La capacità di competere è frutto non delle quantità di materie prime prodotte ma della capacità di sapere innovare, di fare sistema, di essere in relazione con gli altri soggetti della filiera. Per realizzare ciò occorre più lavoro intellettuale, più professionalità, più capacità creative e relazionali e, prima di tutto, le nostre scuole e le nostre università devono esser in grado di formare le giovani generazioni.

Non c’è futuro del comparto se gli iscritti all’Enpaia, ente di previdenza degli impiegati, tecnici e quadri del settore agricolo, continueranno ad essere poche centinaia. Già oggi il comparto è in grado di assorbire migliaia di lavoratori intellettuali che, con la loro capacità di innovazione, sono in grado di spersonalizzare sempre di più le aziende familiari.

 

Vanno ritrovati i motivi e gli interessi per rendere costanti le relazioni sindacali con Confindustria, Confagricoltura, Coldiretti, Cia e le Centrali Cooperative. Con loro paghiamo le incertezze che molte volte accompagnano la nostra azione sindacale e subiamo passivamente il ruolo marginale che il Governo della regione ci assegna tra i soggetti del settore. La decisione assunta dal Governo Cuffaro di escludere il lavoro dipendente dal tavolo verde è una decisione di inaudita miopia politica che va contestata e osteggiata con tutti i mezzi.

 

Il governo fallimentare della Sicilia di questi quattro anni sta finalmente volgendo al termine e penso che esistano le condizioni affinché il centro-sinistra possa dimostrare di essere in grado di riscattare moralmente, socialmente ed economicamente la nostra regione. Le primarie nazionali, regionali e il risultato elettorale di Messina sono gli ultimi segnali di una volontà dell’elettorato di voler cambiare.

 

Ciò non significa che, automaticamente, un futuro governo diverso dal centro-destra in Sicilia sarà in grado di fare le scelte che, secondo noi sono necessarie e che sono ben visibili nel patrimonio congressuale delle categorie e della confederazione della nostra regione.

L’eventuale governo del centro-sinistra deve dare, senza tentennamenti, una forte risposta alla necessità di modernizzazione e di europeizzazione dell’economia nel quadro di una serrata lotta alla mafia e ad ogni forma di illegalità.

La candidatura di Rita Borsellino, che ringrazio per la presenza al nostro congresso, accompagnata dal coinvolgimento delle migliori risorse professionali della società, del sindacato, della cultura e dell’economia, può creare le condizioni per un recupero delle distanze oggi presenti tra la nostra regione e il resto dell’Europa.

 

La tavola rotonda, prevista nel pomeriggio, servirà per riflettere sul tema inerente alla presenza della mafia nelle campagne e sulla gestione delle aziende confiscate a Cosa Nostra e il dibattito che ne scaturirà contribuirà a conoscere ulteriormente uno spaccato importante del riscatto morale ed economico di tutti noi.

 

Insieme alla Fai e alla Uila regionali confermo la volontà di rafforzare le positive relazioni sindacali. Con loro dobbiamo dare un’ulteriore spinta propulsiva alla presenza del sindacato unitario nel territorio e nelle aziende e alla elaborazione di piattaforme sindacali capaci di dare spessore al sindacalismo confederale della Sicilia.

Le esperienze positive che abbiamo avuto nella elezione delle RSU e dei RLS confermano che le nostre indecisioni spesso sono immotivate e le lavoratrici e i lavoratori apprezzano il nostro senso di responsabilità quando riusciamo a coinvolgerli in maniera consapevole. Nei giorni scorsi si è proceduto alla elezione della RSU presso l’azienda di itticoltura Acqua Azzurra di Siracusa e la nostra organizzazione ha conquistato 3 seggi su quattro.

 

Le lotte sindacali e le iniziative assunte nei mesi di novembre e di dicembre dell’anno da poco conclusosi hanno dimostrato la capacità di Fai, Flai e Uila regionali e di tutti i territori di saper dare le opportune indicazioni di lotta e di riflessione alle lavoratrici e ai lavoratori del comparto. Penso sia opportuno nei prossimi mesi dare più spessore politico e sociale alla categoria, organizzando una grande iniziativa regionale di riflessione sul comparto Agro-Alimentare-Ambientale che, partendo dai territori, dia al sindacato confederale e alla nostra categoria quei contenuti indispensabili allo sviluppo della Sicilia.   

 

Mi avvio alle conclusioni.

 

Ringrazio per l’impegno profuso in questi animati mesi di attività sindacale e politica i componenti della segreteria uscente e i segretari generali delle Flai territoriali che, con il loro contributo e la loro pazienza mi hanno permesso di svolgere al meglio l’incarico di Segretario Generale. Ciò mi è stato possibile anche per la grande collaborazione che Carmelo Bellomonte mette al nostro servizio. Un ringraziamento devo rivolgere anche  a Franco Chiriaco e a Italo Tripi per il sostegno e il contributo che in questi mesi mi hanno dato e ai quali rinnovo il mio leale sostegno all’azione di positivo rinnovamento che stanno portando avanti

 

Il documento politico predisposto da questo gruppo dirigente, già approvato da tutti i dieci congressi territoriali, verrà messo ulteriormente in discussione e in votazione in questo congresso. Inoltre, l’O.d.G predisposto dalla segreteria sulle questioni organizzative, frutto del direttivo straordinario del 5 novembre 2005, mi esonera dall’affrontare questi argomenti.

 

La Flai di questo inizio millennio, assieme a una Cgil politicamente più forte, possono alimentare una nuova stagione di diritti per i lavoratori, per i cittadini e per le persone, che indichi con maggiore incisività un avanzamento progressista della società italiana e dell’Europa.

Possiamo fare ciò.

Possiamo dare futuro e speranza alle lavoratrici e ai lavoratori del comparto Agro-Alimentare-Ambientale.