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RELAZIONE DI

SALVATORE LO BALBO,

 COORDINATORE REGIONALE DELLA FLAI-CGIL SICILIA,

 ALLA RIUNIONE DEI DELEGATI SINDACALI

DELLE AZIENDE VITIVINICOLE DELLA SICILIA

SULLA CERTIFICAZIONE

 EMAS

DELL’AZIENDA CARLO PELLEGRINO & C.

 

 

8 aprile 2005

Ente Mostra di Pittura

Marsala

 

 

Nell’iniziare questa riunione voglio ringraziare la “Carlo Pellegrino” nella  persona del suo Presidente, Dott. Romano Pietro Alagna, il dott. Giovanni De Martino responsabile  Gestione Ambientale della stessa azienda e il nostro delegato sindacale Vito Coppola.

 

Con questo incontro l’Azienda ci dà l’opportunità di “toccare con mano” la concretizzazione della direttiva della Comunità Europea, la numero 1836/93 e successive modifiche, che prevedeva e prevede la possibilità per le aziende e per i territori di dotarsi di un marchio di qualità ambientale inizialmente denominato ECOLABEL e successivamente modificato con regolamento comunitario n. 761/2001 e denominato EMAS.

 

La dichiarazione ambientale EMAS ( Environmental Management and Audit Sheme) è i sistema comunitario di ecogestione a audit, cioè il massimo livello di certificazione che la Comunità Europea prevede per un apparato produttivo eco-compatibile e interconnesso con una qualità avanzata del territorio.

 

La certificazione EMAS, viene rilasciata dal Comitato Ecoaudit, Sezione EMAS Italia, sito presso il Ministero dell’Ambiente, dopo un iter che dura almeno due anni dalla richiesta e dopo aver realizzato le prescrizioni che vengono disposte dal Comitato.

 

Ho voluto dire, spero esattamente, di cosa si è “liberamente e volontariamente” dotato l’azienda Pellegrino, perché nel quadro del sistema di imprese italiane e siciliane certamente rappresenta l’eccezione e non la regola. Eccezione positiva, ovviamente, che si confronta con un sistema di imprese che spesso basano le proprie scelte sulla riduzione dei costi, sull’occultamento dei rifiuti, sull’utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili, sull’inquinamento delle falde acquifere e dei terreni. In una parola sullo “sfruttamento” delle risorse ambientali.

 

L’azienda, che si dota di una certificazione EMAS, fa la precisa scelta di puntare ad uno sviluppo sostenibile della propria attività economica e di relazionarsi con il territorio e con il consumatore in modo chiaro , trasparente e onesto.

 

Un ringraziamento va anche al Sindaco di Marsala, Notaio Eugenio Galvano, al Dott. Andrea Forni, a Felice Mazza, ai delegati delle principali aziende vitivinicole della Sicilia presenti e alle strutture delle Flai provinciali che, malgrado siano impegnate in modo particolare in importanti momenti di lotta sindacale, sono presenti oggi perché ritengono importante questo momento di conoscenza.

 

La Flai siciliana, assieme a quella nazionale, è da tempo impegnata sul fronte politico e sindacale per uno “sviluppo sostenibile” sotto il profilo sociale , economico ed ambientale.

 

Da uno “sviluppo sostenibile” deriva la necessità della “qualità dello Sviluppo” stesso.

 

Il nostro settore, tra i tanti, è particolarmente sensibile a queste scelte. Dal vino al metanolo degli anni ’80 a mucca pazza, agli OGM, il settore agro-alimentare –in tutta la sua filiera, dal seme alla tavola come si dice con uno slogan – è profondamente pervaso da queste tematiche  e da questo dualismo. Due modelli sociali, economici e politici si scontrano: da una parte quello dello “sviluppo sostenibile”, dall’altro quello dello “sviluppo sfruttatore”.

 

Ricordo che quando in Italia siamo stati chiamati ad esprimerci sul referendum contro i pesticidi la Federbraccianti (oggi Flai) si schierò con la sparuta pattuglia di quanti ponevano i problema dello “sviluppo sostenibile”.

 

Nel corso degli anni ’90 e in questo inizio di terzo millennio vengono segnali positivi da diversi fronti. Oggi siamo in presenza, oltre alla Autorità Europea per l’Alimentazione con sede a Parma, di direttive comunitarie che istituiscono le certificazione ambientali – come l’EMAS – ma anche come le certificazioni UNI ISO; e ancora ci sono le certificazioni di Lega Ambiente, della protezione degli animali, della salvaguardia delle foreste e dell’ozono, di riduzione dell’uso dei detersivi, quelle sul riciclaggio dei rifiuti , quelle sulla identificazione, riconoscimento e smaltimento dei rifiuti, quelle sulle buone maniere. A queste vanno aggiunte quelle derivanti dalla legislazione nazionale e quelle adottate a livello regionale e comunale.

 

Ma per rimanere nel settore agro-alimentare, oltre alle certificazioni c’è tutto il capitolo delle DOCG, delle DOC, delle IGP delle DOP delle STG, delle certificazioni derivanti dal metodo biologico o integrato di produrre, delle certificazioni NO OGM, quelle per i prodotti tipici e tradizionali, quelle per i prodotti di montagna e per i prodotti provenienti da “distretti rurali”, ci sono – inoltre – i marchi territoriali e aziendali, c’è l’HACCP e sicuramente dimentico qualcosa.

 

In tanti cominciano a riflettere che tutti questi marchi sono poco noti, alcune volte poco chiari e spesso finalizzati solo al marketing.

 

Recentemente sono stati pubblicati i risultati di una inchiesta, cofinanziata dalla Commissione Europea e realizzata da Euroconsumers in Italia, Spagna, Portogallo e Belgio su un campione di 1.600 consumatori.

 

In sintesi il risultato finale è che il consumatore stenta a comprendere il significato di tutte queste sigle e icone, ma si lascia influenzare positivamente al momento dell’acquisto dei prodotti che sono certificati o presunti tali. C’è poca informazione, poca comunicazione, poca educazione alla qualità certificata.

 

Le stesse etichette dei prodotti alimentari non tendono non ad informare il consumatore o a gestire la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto, ma ad essere uno “specchietto per allodole”.

 

Tutto ciò accade in un contesto dove il “mercato di qualità ed ecologico” europeo è fiorente e i consumatori sono convinti di dover pagare di più un prodotto con marchio ambientale. Negli indici che determinano l’acquisto di un prodotto il “marchio ambientale” sta assumendo posizioni sempre più alte.

 

In questo contesto si inserisce l’esperienza di questa azienda, del settore vitivinicolo e dell’agro-alimentare siciliano.

 

Tralascio alcune considerazioni nazionali e di comparto agro-alimentare regionale.

 

Già più volte abbiamo messo in evidenza i problemi che non si affrontano nel settore vitivinicolo siciliano.

 

Dal nanismo economico che domina il settore alla parcellizzazione delle aziende vitivinicole, dal permanere di logiche “fai da te” alla arretratezza delle condizioni di lavoro, dalla poca presenza di lavoro intellettuale alla inesistenza delle DOCG.

 

Nel settore vitivinicolo oggi sono presenti quattro diverse tipologie di catalogazione dei vini:

1.    i vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita – DOCG -, previsti dal regolamento comunitario 2081/92, sono di qualità più alta dei DOC, hanno disciplinari maggiormente restrittivi e devono essere sottoposti a degustazione ed analisi chimica-organolettica prima dell’imbottigliamento.                                                              Sulle bottiglie vengono apposte fascette di Stato numerate, rilasciate dal Consorzio o dalle Camere di Commercio ai produttori in numero limitato, secondo il quantitativo prodotto.                                                I vini DOCG, insieme ai DOC, sono definiti secondo la classificazione della Unione Europea “Vini di Qualità Prodotti un Regioni Determinate” (VQPRD).                                                   Nessun vino DOCG è prodotto in Sicilia mentre, al febbraio 2002, 7 vini DOCG sono presenti in Piemonte, 2 in Lombardia, 1 in Friuli, 3 nel Veneto, 1 in Emilia Romagna, 6 in Toscana, 2 in Umbria, 1 in Campania e 1 in Sardegna.

2.    I vini a Denominazione di Origine Controllata - DOC – disciplinati dallo stesso regolamento 2081/92 sono prodotti in quantità prestabilite da vigneti iscritti al relativo Albo di una zona geografica ben definita.                                                                                      Ogni vino DOC ha il suo disciplinare, che definisce in maniera precisa le caratteristiche di qualità di produzione e devono sostenere un’analisi chimica-organolettica con esame di idoneità.            E’ prevista la gestione delle DOC da parte dei Consorzi o delle Camere di Commercio.                                                                          In Sicilia vi sono ad oggi 21 DOC per un totale di 210 vini diversi, tra vini rossi, rosati, bianchi, spumanti, vini dolci e da meditazione, che interessano quasi tutta la regione e i cultivar viticoli presenti in Sicilia. Un numero maggiore di DOC in confronto alle nostre sono presenti solo in Piemonte, in Toscana e nel Lazio.

3.    Il vino a Indicazione Geografica Tipica - IGT -, ha un disciplinare ma non ha un Albo dei vigneti e non c’è l’analisi per l’esame di idoneità.

4.    Il Vino da Tavola - VDT - può avere nomi di fantasia ed è vietato riportare sull’etichetta l’annata di produzione.

 

E’ in fase di rivisitazione la legge nazionale sulle denominazione di origine. Uno dei punti importanti è rappresentato dalla decadenza dopo un triennio di inattività delle DOC inattive . In base a questa giusta ipotesi la Sicilia perderebbe l’80% delle DOC presenti nella regione con un grave danno d’immagine ed economico.

 

Nel 2003 in Sicilia sono stati prodotti circa 6.500.000 di ettolitri di vino base, derivante da 135.000 ettari di superficie.

 

 

Non esistono dati certi sull’utilizzo di questo prodotto. I più attendibili dicono che nel 2003 è stato imbottigliato circa il 30% del prodotto per un totale di 1.800.000 ettolitri, il rimanente 70% viene distillato o venduto sfuso. Le aziende presenti nel settore sono circa 200 con una media di circa 110.000 bottiglie procapite., per un totale di circa 220 milioni di bottiglie.

 

Se pensiamo che solo 10 aziende hanno una produzione vicina o superiore a 10 milioni di bottiglie si desume che il nostro livello di competitività sul mercato regionale, nazionale, europeo ed internazionale è molto basso.

 

Bastano queste riflessioni per capire quanto sia diversa l’Azienda Pellegrino dalle altre aziende. L’Azienda si presenta sul mercato con:

·       Una certificazione EMAS;

·       Con circa il 50% di produzione DOC;

·       Con una diversificazione produttiva di prodotti legati molto al territorio;

·       Con più 5 milioni di bottiglie nel 2004;

·       Con 60 dipendenti, di cui il 40% impiegati e il 60% operai;

·       Con un processo di tracciabilità applicato dall’uva al consumatore.

 

Fortunatamente l’azienda non è isolata, ma sicuramente è una pioniera. Altre aziende puntano decisamente a percorrere questa strada e a strutturarsi sempre più come soggetti economici sani che guardano al medio e lungo periodo con qualche certezza in più.

 

Ma i limiti del settore siciliano nel contesto nazionale ed europeo pesano enormemente e la stessa inetta presenza della Regione Siciliana e dell’Assessorato Agricoltura frenano notevolmente le potenzialità esistenti.

 

Ritengo, ad esempio, che l’attuale fase di sovraesposizione e di annacquamento commerciale del “Nero d’Avola”sia una iattura per il settore vitivinicolo regionale. Umiliare il “Nero d’Avola vendendolo sfuso nei supermercati o  in bottiglia (sia caro che economico) crea confusione tra i consumatori e ricchi affari a quatti – senza scrupoli e senza professionalità – cavalcano l’onda della speculazione enologica.

 

La stessa fine rischiano di farla altri vini derivanti da vitigni autoctoni.

 

Altro che DOC regionale; anche la IGT registra ormai tutti i limiti che derivano da un marchio troppo generalista e, oggi più di ieri, questi limiti diventano inaccettabili e controproducenti.

 

La Flai –Cgil siciliana si spenderà nei  prossimi mesi per costruire un forte movimento di opinione e di interessi affinché il settore vitivinicolo imbocchi velocemente la strada della qualità totale e certificata.

 

In questo contesto decisivo diventa il ruolo dell’impresa e del lavoro dipendente.

 

Sul ruolo dell’impresa penso che parlerà il dott. Alagna.

 

Sul ruolo del lavoro va positivamente sottolineata l’attività formativa messa in campo dalle scuole medie superiori di agraria e dalle facoltà universitarie presenti in Sicilia. Sono centinaia i tecnici che stanno formandosi e che si sono formati. Tutti questi giovani immetteranno una ventata di innovazione e di modificazioni di professionalità.

Tantissimi giovani lavoratori agricoli e dell’industria vinicola già operano tra le campagne trapanesi, agrigentine e palermitane. Una nuova leva di lavoratori agricoli e delle cantine che danno un segnale di fiducia molto forte.

 

Ma con eguale chiarezza dobbiamo denunciare che questi giovani intellettuali o manuali, tecnici o operai vivono la modernità di un settore vivo e l’antichità di condizioni di lavoro caratterizzato dalla presenza del lavoro nero, del sottosalario, di condizioni di lavoro non proporzionato alla produzione quantitativa e qualitativa.

 

In molte aziende, dove siamo presenti come sindacato, la forbice tra arretratezza e sviluppo dei rapporti sindacali di va stringendo notevolmente, ma bisogna fare ulteriori passi in avanti.

 

Il concetto di qualità non può essere solo prerogativa del prodotto o del processo di produzione. La qualità è tale se il lavoro dipendente partecipa pienamente alla realizzazione di questo concetto e se la partecipazione comporta maggiore sicurezza sul lavoro, maggiore stabilità occupazionale, maggiore salario e formazione continua.

 

Non a caso si va facendo sempre più spazio tra le certificazioni anche la “certificazione sociale”. Essa non riguarda solo la lotta al lavoro minorile o lo sfruttamento al limite della schiavitù ma riguarda anche tutte le aziende che non rispettano leggi, contratti e sicurezza sul lavoro il Italia e in Sicilia.

In Sicilia ad ogni giornata regolarmente dichiarata all’INPS ne corrisponde una evasa, in nero. Alla giornata evasa si associa la clandestinità economica totale e/o parziale di migliaia di aziende, vera concorrenza sleale per il mondo del lavoro che opera rispettando le regole.

Altro che concorrenza del nord-Africa o della Cina.

Il dumping intanto è anche a  casa nostra e, quello che è più grave, viene tollerato dalle istituzioni, basti pensare ai condoni previdenziali e contributivi.

 

Mi avvio alle conclusioni.

 

La lotta tra legalità e illegalità, tra sviluppo sostenibile e sfruttamento delle risorse, è pienamente in corso e fortunatamente nei due fronti militano soggetti appartenenti a tutto lo spaccato sociale.

 

Nel fronte della legalità e dello sviluppo sostenibile ci siamo noi e c’è un pezzo dl sistema delle imprese, della scienza e della società.

 

Voglio concludere questa relazione leggendo un passo della dichiarazione ambientale dell’Azienda Pellegrino:

“In estrema sintesi la CARLO PELLEGRINO &C. S.p.a. ha imparato a considerare il proprio Sistema di Gestione Ambientale come uno strumento in grado di:

·       Identificare e tenere aggiornati gli impianti ambientali e le relative risposte, gestionali e tecnologiche, della propria attività ed i servizi ad essa collegati;

·       Dare consapevolezza degli obblighi normativi che le competono, provvedendo al loro continuo aggiornamento;

·       Garantire il corretto svolgimento di miglioramento ambientale e la loro costante adeguatezza rispetto alla Politica Ambientale;

·       Descrivere in apposite procedure tutte le azioni necessarie per garantire una corretta esecuzione dei principi della Politica Ambientale, alla luce di standard internazionalmente riconosciuti (nel nostro caso UNI EN ISO 14001), individuando con esse le relative responsabilità ed i modi operativi;

·       Stimolare costantemente tutto il personale affinché gli impegni della Politica Ambientale siano sempre più “Stile di Lavoro” dentro e fuori la realtà lavorativa;

·       Affinare capacità di cercare e riconoscere i “punti deboli” del Sistema a tutti i livelli (non conformità) tramite apposite ispezioni e relative azioni di correzione e prevenzione;

·       Garantire una corretta e completa informazioni ai pubblici interessati;

·       Riesaminare periodicamente tutti gli elementi del Sistema stesso, consentendo alla Direzione di perseguire costantemente l’ottica del miglioramento continuo delle proprie prestazioni in campo ambientale.”

 

Anche per questi eventi oltre che nella vita lo “stile è stile” e noi auspichiamo all’azienda, agli azionisti, ai tecnici e ai lavoratori un pieno successo:

 

Lavoreremo perché anche altre aziende facciano questa scelta.