FLAI-CGIL NAZIONALE     

FLAI CGIL SICILIA

                                               

ORIZZONTI MERIDIONALI:

LAVORO, ALIMENTAZIONE E AMBIENTE  

Convegno nazionale

 RELAZIONE DI 

ITALO TRIPI

SEGRETARIO GENERALE DELLA FLAI-CGIL SICILIA

 

Palermo, 21 gennaio 2003

Hotel San PAOLO

 Nelle ultime settimane del 2002 due temi hanno riproposto la questione meridionale: il caso FIAT e la Finanziaria 2003 del governo nazionale.

I lavoratori della FIAT, ai quali va, assieme ai lavoratori della Cirio, la solidarietà della FLAI, hanno dato vita ad un forte, articolato e intelligente, movimento di lotta che ha raccolto il consenso e il sostegno dell’opinione pubblica italiana.

Una lotta che si è inserita in quel solco che la CGIL ha tracciato nel momento in cui ha deciso che bisognava opporsi a quel patto perverso tra governo e Confindustria per fare, a spese dei più deboli, più forti i forti.

Un movimento di lotta, quello della CGIL, che ha caratterizzato tutto il 2002, ed ha messo le premesse per una stagione di lotta che proseguirà sicuramente anche nel 2003 e che ha come obbiettivo unificante quello di tutelare i diritti dei lavoratori, difendere le libertà sindacali, porre le basi per uno sviluppo che recuperi lo svantaggio Nord - Sud e renda il Paese competitivo dentro scenari internazionali che sono in movimento.

L’iniziativa della CGIL vuole  arrestare il declino del Paese del quale il caso FIAT è una spia abbastanza allarmante.

I lavoratori della FIAT e dell’indotto di Termini Imerese sono stati e sono protagonisti di questa battaglia.

Nel Mezzogiorno chi perde il lavoro non ha prospettive occupazionali, ha di fronte solo la disperazione; chi va in cassa integrazione non ha possibilità, così come suggerisce con dubbio gusto il Presidente del Consiglio, di fare un secondo lavoro in nero, perché qui il lavoro nero non è una seconda attività ma spesso è l’unica occupazione possibile.

Di fronte al dramma, i lavoratori della FIAT di Termini Imerese hanno dato una lezione di grande dignità, ponendo con forza una questione nazionale di fondo: un paese industriale come l’Italia non può disfarsi dell’industria automobilistica nazionale, per questo rivendicano non assistenza ma un piano che partendo dalla innovazione rilanci il settore in Europa e nel mondo.

Dunque, gli operai della FIAT di Termini Imerese hanno riproposto un volto produttivo del Mezzogiorno, hanno rivendicato una inversione di tendenza, si battono contro la deindustrializzazione del Sud e chiedono di arrestare il declino del Paese.

Dall’altro lato la Legge Finanziaria per il 2003, una legge sbagliata, iniqua e pericolosa, che è stata annunciata, con sfavillii di luci, come un evento storico.

Ma aldilà degli effetti mediatici si è scontrata con una realtà diversa: ad esempio il capitolo che riguarda il Mezzogiorno rivela in modo evidente la vera opinione del governo: quella di considerare questa parte del Paese la palla al piede di qualsiasi ipotesi di sviluppo.

Tutti hanno protestato, era uno spettacolo vedere le grida di Confindustria e dei sottoscrittori del patto per l’Italia, unirsi alle critiche della CGIL, dei Comuni, delle Regioni, dei Rettori delle Università.

Il cosiddetto maxi emendamento sul Mezzogiorno ha introdotto correttivi più di facciata che di sostanza.

Mentre c’è la necessità di rigore, di selezione della spesa, di investimenti al Sud si è preferito nei fatti costruire una finanziaria fondata su entrate sovrastimate basate sui condoni, su tagli che spostano verso i comuni e le regioni il peso della imposizione fiscale.

Una finanziaria che alla fine anche settori della maggioranza hanno votato “turandosi il naso”.

Una finanziaria quindi che dà molto meno di quello che serve, e lo dà anche in modo sbagliato.

Infatti la modulazione delle risorse prevede un incremento di queste nel tempo, poche risorse nel 2003 e aumento delle risorse (forse) negli anni successivi.

Il governo non ha compreso o non vuole comprendere che il Mezzogiorno d’Italia deve fare i conti con due scadenze a tempi brevi: l’allargamento ad Est dell’Unione Europea con l’ingresso di Paesi che competeranno seriamente con le attività produttive del Mezzogiorno e che saranno sostenuti da quelle risorse dell’obbiettivo uno che fino ad oggi sono andate alle regioni delle aree svantaggiate; dall’altro lato la scadenza del 2010 quando si creerà una zona di libero scambio che comprenderà una quarantina di Paesi e un mercato di oltre seicento (600) milioni di abitanti che coinvolgerà e ridarà centralità al Mediterraneo.

Il fattore tempo è quindi decisivo per il Mezzogiorno d’Italia. Ma il Governo non ha tenuto conto di ciò.

Anzi, se mettiamo in fila gli orientamenti che si vogliono affermare con la cosiddetta devolution e il modo in cui si stanno spendendo le risorse finanziarie previste da Agenda 2000 (senza una selezione degli obiettivi) si ha la forte sensazione che  il Sud sia condannato,ancora una volta, a  una “crescita senza sviluppo”.

Non si coglie la complessità: nel Mezzogiorno convivono innovazione e arretratezza, produttività e assistenzialismo, lavoro tutelato e lavoro sommerso, punti di eccellenza e precariato, futuro e passato, tradizione e modernità.

La quantità dell’intervento deve essere, quindi, accompagnata necessariamente dalla qualità.

In un interessante convegno del CERDFOS-CGIL Sicilia sulla “globalizazzione” il prof. Purpura si poneva la domanda su come si modifica il divario Nord-Sud all’interno dei nuovi sistemi.

         Se è vero che è centrale la conoscenza, quest’ultima ha due dimensioni fondamentali: una codificata, l’altra tacita. La conoscenza tecnologica è una pre-condizione, purché gestita da competenze adeguate in grado di andare oltre l’imitazione. La dimensione strategica della competizione è però sulla competenza tacita, cioè, quella che si crea nei centri di ricerca, nel rapporto tra università ed imprese. Su questo punto rischia di accentuarsi il divario Nord-Sud. Le nuove tecnologie tendono a ricreare, su basi diverse e in misura forse ancora più approfondita, i divari di conoscenza e sviluppo che erano preesistenti sulle vecchie tecnologie, rispetto alle quali la logica dell’inseguimento era in qualche modo fattibile. Negli anni Cinquanta si disse ai Meridionali: Prendetevi la chimica, la siderurgia, la meccanica e inseguiteci. Ci raggiungerete. In quegli anni il gap tra Nord e Sud era di tipo quantitativo mentre il modello di sviluppo proposto era lo stesso. Oggi le nuove tecnologie e la gemmazione di nuovi grappoli di innovazione, tendono a modificare  i modelli di sviluppo.

         La politica Regionale così come la si sostanzia nei Pit e negli altri strumenti di accesso al lavoro, sembra di pura continuità rispetto al passato, di puro sviluppo sul profilo più basso. Se guardiamo i dati, le industrie meridionali sono tutte addensate su miglioramenti di processo, cioè, su percorsi innovativi di bassissimo profilo, con i quali ci si difende alla meno peggio. Sono processi aziendali che tendono a difendere posizioni già acquisite, ed è una difesa talvolta disperata. L’integrazione dei mercati mondiali avviene a due lati: si può portare la cassata in Svezia, ma è anche vero che gli svedesi possono arrivare anche a Canicattì, ciò vuol dire che siamo aperti in un mercato in cui gli scambi sono liberi e le barriere alla conoscenza, all’accesso ai mercati si rompono sia in un senso che nell’altro. O noi riusciamo a difenderci, costruendo vantaggi competitivi solidi, oppure siamo destinati a perdere.(A.Purpura)

 

Questo è il cuore del problema economico meridionale, dunque, qualità per essere competitivi.

Confindustria, invece, ritiene che la competitività si determini liquidando i diritti dei lavoratori (che sono considerati lacci e laccioli) e precarizzando il mercato del lavoro.

Il Governo ha scelto come propria politica industriale il programma di Confindustria.

La Cgil contrasta le scelte di Confindustria che coincidono con la politica industriale ed economica del Governo.

E’ per questo che dicono che facciamo politica!

In questo quadro l’obiettivo che la FLAI-CGIL si pone con l’iniziativa odierna è ambizioso, infatti vogliamo fare un salto di qualità nell’azione del nostro sindacato puntando decisamente a fare divenire la risorsa dell’Agroalimentare di qualità una leva per un nuovo sviluppo eco-compatibile del Mezzogiorno.

Si tratta di cogliere tutte le potenzialità esistenti in questo importante segmento produttivo mettendo a punto una strategia che si ponga l’obiettivo di creare occupazione, tutelare l’ambiente, difendere gli interessi dei consumatori, innovare e modernizzare le imprese del settore.

Obiettivo ambizioso ma non impossibile, infatti non esiste Paese al mondo che possa vantare, come l’Italia, una tale varietà di gamma e di calendari nelle produzioni agricole e una tale ricchezza di produzioni tipiche e di alta qualità.

Esistono altri sistemi agricoli che possono vantare condizioni climatiche forse anche più favorevoli, ma sono privi della ricchezza della tipicità.

Il sistema agroalimentare italiano è potenzialmente il più importante sistema agroalimentare di qualità nel mondo.

Esistono tutte le condizioni di base quindi per impostare una strategia che veda in questo obiettivo un traguardo raggiungibile.

Non si tratta di inventare un modello di sviluppo, di scrivere l’ennesimo libro dei sogni, ma semplicemente di guardarsi attorno, analizzare le numerose iniziative che nascono e crescono.

Nel Mezzogiorno, per il nostro Sindacato, si tratta di capire che è necessario uscire dalle piccole certezze quotidiane riprendere il gusto di fare sindacato, di sapere leggere le ansie, le aspettative, le aspirazioni che stanno dietro quelle migliaia di domande di disoccupazione agricola che le nostre strutture compilano ogni anno con pazienza certosina.

Dietro quelle pratiche ci sono uomini e donne che chiedono al nostro Sindacato qualche cosa in più dell’assistenza e proprio loro sono il filo rosso che ci consente, ripercorrendo all’indietro la loro strada di trovare le aziende, le fabbriche e gli stimoli per mettere in piedi una politica di sviluppo.

Siamo il Sindacato dell’occupazione delle terre e della riforma agraria, siamo il Sindacato che intreccia la tutela degli interessi dei lavoratori con gli interessi più generali del Paese, siamo uno dei più grandi sindacati di categoria del mezzogiorno.

Consumatori e forze dell’ambientalismo devono essere i naturali interlocutori dei lavoratori del settore agroalimentare.

Bene ha fatto Franco Chiriaco al momento del suo insediamento a presentare alla segreteria confederale il progetto che fa della FLAI il sindacato del territorio, che vuole essere attore dello sviluppo sostenibile, che fa della sicurezza alimentare, della difesa del suolo, dello sviluppo rurale punti strategici della propria iniziativa, che individua nell’uso delle acque, nei rifiuti, nelle fonti energetiche, nella certificazione di qualità ambiti nei quali misurare le proprie proposte con quelle di altri soggetti a partire dagli stessi sindacati di categoria che si occupano della stessa materia.

Vogliamo essere nei fatti il sindacato del territorio. Attorno a quale tema fondare la nostra strategia nel Mezzogiorno?

La qualità come strumento dello sviluppo civile e moderno e come presidio dell’ambiente e del territorio.

Nel nostro settore qualità vuol dire in primo luogo sicurezza alimentare. I consumatori sono sensibilissimi a questo tema.

Il tema della sicurezza alimentare è all’ordine del giorno e non può più essere eluso.

Mucca pazza e lo scandalo dei mangimi alla diossina hanno turbato profondamente l’opinione pubblica europea, hanno prodotto reazioni e paure alle quali i governi non hanno saputo dare risposte rassicuranti non per cattiva volontà politica ma sopratutto perché non sono in grado di contrastare in modo adeguato simili emergenze. Ciò è drammatico e angosciante!

Salutiamo positivamente la decisione assunta dalla commissione europea di andare alla istituzione di una Autorità alimentare europea indipendente. Ma quando sarà istituita?

A questa autorità saranno affidati compiti fondamentali che vanno dal parere scientifico su tutti gli aspetti relativi alla sicurezza alimentare, alla gestione di sistemi di allarme rapido, alla comunicazione ed al dialogo con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni sanitarie, e alla realizzazione di reti con le agenzie nazionali e agli organismi scientifici.

La Commissione ha già identificato numerose misure necessarie per migliorare gli standard di sicurezza alimentare.

Il libro bianco sulla sicurezza alimentare delinea più di ottanta diverse azioni contemplate per i prossimi anni.

         I consumatori hanno il diritto di attendersi informazioni sulla qualità degli alimenti e suoi loro ingredienti e tale informazione deve essere utile e presentata in modo chiaro ed in modo da consentire scelte consapevoli.

Dare una risposta positiva al tema della sicurezza alimentare significa introdurre dei vincoli che avranno conseguenze sia nel modo di produrre che in quello della trasformazione e della commercializzazione.

Non abbiamo nulla da temere da una politica che vuole mettere sotto controllo l’intera catena alimentare.

Ciò comporta la rivisitazione dell’intera catena alimentare e la necessità di introdurre innovazioni di processo e di prodotto.

Il Mezzogiorno deve usare questa novità come un’opportunità per costruire un proprio “sistema agroalimentare” che guardi verso l’Europa da una parte e verso il bacino del Mediterraneo dall’altra, un sistema che realizzando filiere agroalimentare mediterranee non produca più per il mercato sotto casa, ma si ponga invece il problema di essere un soggetto che trasforma e commercializza i prodotti per i grandi mercati nazionali ed internazionali producendo valore aggiunto e ricchezza in loco.

Un Mezzogiorno che porta le cassate siciliane in Europa e il know-how agroalimentare nel Mediterraneo, anche per contrastare quanto già avviene oggi e cioè che in alcune serre di Ragusa arrivano sementi olandesi e kow-hov israeliano

Già oggi il Mezzogiorno è uno dei maggiori produttori europei di agricoltura biologica, ma ancora deve essere fatto molto in quanto in queste produzioni la quantità la fanno produzioni come il grano.

Ciò vuol dire, in primo luogo, che nel territorio, e non solo in quello meridionale ma anche in quello mediterraneo, bisogna rivedere le modalità d’uso dei fitofarmaci, degli antiparassitari e dei diserbanti arrivando alla diminuzione della loro somministrazione ed eventualmente alla loro eliminazione.

Una sicurezza alimentare costruita sulla tradizione e sull’innovazione eco-compatibile, che chiami in causa la ricerca scientifica e la sua applicazione in un’agricoltura sana e di qualità.

La nostra, così come dice il libro bianco della UE sulla sicurezza alimentare, deve essere la politica “dai campi e dal mare alla tavola”, una politica che copra tutti i settori della catena alimentare, compresa la produzione di mangimi, la produzione primaria, la lavorazione degli alimenti, l’immagazzinamento, la logistica, il trasporto e la vendita al dettaglio in grado di attrarre investimenti centrati sulla qualità.

L’istituzione di un’Autorità alimentare europea indipendente sarà accompagnata da una serie di misure e di vincoli, che sicuramente introdurranno anche dei correttivi di qualità alla nostra agroindustria.

Non bisogna mai dimenticare che la Comunità è il più grande importatore/esportatore di prodotti alimentari al mondo,noi dobbiamo avere occhio a questo mercato, offrendo tipicità e qualità.

La qualità quindi come fattore che risponde alle aspettative dei consumatori e non solamente dei più attenti.

Ma al tempo stesso la qualità come mezzo di penetrazione nel mercato globale.

Negli ultimi due decenni l’Italia ha fatto enormi progressi sull’immagine che proietta sul resto del mondo; la favorevole immagine del “made in Italy” ha consolidato una diffusa accettazione di modelli di consumo alimentare legati alla “dieta mediterranea”.

Le produzioni agroalimentare meridionali sono tipiche produzioni da dieta mediterranea.

Anche per questo esprimiamo riserve sul modo con cui si vogliono imporre le biotecnologie in agricoltura.

La bioingegneria come qualsiasi altra scienza non è né buona né cattiva, dipende dall’uso che ne fa l’uomo.

Se controllata e utilizzata in modo etico può anche contribuire a risolvere grandi problemi.

Le biotecnologie esistono da oltre un secolo, ufficialmente la loro data di nascita può risalire al 1857 quando Louis Pasteur spiegò i meccanismi di lievitazione e di fermentazione, ciò che maggiormente ci preoccupa è l’uso che se ne vuole fare in agricoltura.

Come l’impiego delle sementi transgeniche che inducono una dipendenza funzionale verso le imprese titolari dei brevetti e tendono ad appiattire le differenze qualitative dei prodotti agricoli verso standard predefiniti.

La diffusione di queste tecnologie ha creato, o sta creando, nuove dipendenze e gravi rischi di impatto ambientali sulla “biodiversità” che è una delle ricchezze della Terra.

Si profila la possibilità di una marcata supremazia di alcuni grandi gruppi a scapito di un settore economico primario come l’agricoltura e il sistema alimentare nel suo complesso, con il fine di produrre profitti senza alcuna responsabilità in ordine agli impatti su sistemi ecologici, economici, antropologici, sanitari, determinando inoltre un salto di qualità in negativo per quanto attiene alla standardizzazione ed omologazione dei processi produttivi, con ricadute deleterie sulla qualità del lavoro.

Crediamo che in un settore come quello degli organismi geneticamente modificati     (OGM) la ricerca debba procedere secondo il “principio di precauzione”almeno per tutta l’area del Mediterraneo, poiché attualmente è molto difficile prevedere le innumerevoli variabili degli effetti delle modificazioni e delle ricadute sull’ambiente e sulla salute umana.

La sicurezza alimentare deve essere la priorità assoluta: riguarda, infatti, in primo luogo la salute dei consumatori, ma può anche, per il nostra paese sopratutto, rappresentare un importante elemento di convenienza economica.

Abbiamo appreso, a spese di tutti, che l’applicazione acritica delle conoscenze derivanti dalle ricerche scientifiche, può produrre disastri irreversibili.

Non è quindi possibile prescindere dalla valutazione del rapporto che esiste, anche in questo campo, tra ricerche di base ed il suo trasferimento nei processi produttivi.

Non si può dare spazio a qualsiasi deregolamentazione in un settore strategico per la vita delle popolazioni.

Garantire effetti standard di sicurezza significa sciogliere i troppi interrogativi ancora senza risposta nel campo della sperimentazione della biotecnologia, sopratutto in quello della diffusione delle biotecnologie nella produzione alimentare.

A nostro parere non può che esserci una fermezza assoluta nell’interdire la sperimentazione di colture transgeniche in pieno campo, che permette la diffusione non controllata di OGM, tramite l’impollinazione e che rappresenta un ulteriore e difficilmente controllabile rischio di contaminazione dei terreni.

Siamo invece convinti che vada rafforzato un modello di produzione basato sui prodotti tipici italiani, che colleghi alla sicurezza, la qualità che può essere perseguita solo in un rapporto stretto tra ambiente, territorio e tradizione, intesa in termini di trasferimento di conoscenze, competenze e procedure.

Si pone un problema di certificazione dell’innovazione biotecnologica e dei suoi effetti, che riguarda esclusivamente la ricerca e che non deve implicare in alcun modo la diffusione delle biotecnologie nelle produzioni alimentari, almeno fino a quando non saranno stati fatti tutti gli accertamenti necessari a garantire la sicurezza alimentare.

In ogni caso, una volta fatta questa scelta di campo ed avendo chiarito che questo è il problema prioritario esiste anche un problema di informazione: è indispensabile e urgente risolvere in modo corretto il nodo rappresentato dall’etichettatura, che deve essere chiara e completa, mentre attualmente sono omesse le informazioni sui contenuti di OGM, e al tempo stesso l’etichetta deve indicare il luogo di produzione.

Su queste tematiche la FLAI dell’ Emilia e Romagna ha prodotto un documento che è parte integrante dei materiali di questo Convegno.

Non si tratta, quindi, di un’alternativa tra innovazione e oscurantismo, né di bloccare in una logica neo-luddista tutta la ricerca nel campo delle biotecnologie.

Credo sia anche necessario porsi la domanda se gli OGM siano utili per un’agricoltura tipicizzata come la nostra.

La risposta mi sembra scontata! E’ per questo che salutiamo positivamente l’accordo volontario nazionale sulla sicurezza e qualità alimentare siglato presso il Cnel lo scorso 8 luglio 2002.

Con questo patto si intende promuovere un sistema diffuso di autoregolamentazione della produzione e dell’offerta nazionale non alternativo, ma integrativo della regolamentazione pubblica, volto alla sicurezza alimentare, alla tutela dei consumatori, alla tracciabilità e alla leale concorrenza,in una strategia di elevazione delle qualità competitive delle nostre produzioni in termini di ambiente, lavoro, processi, prodotti, informazioni.

Si inizia con la filiera del latte e dei suoi derivati, del pesce, dell’ortofrutta fresca e delle carni.

Crediamo che nel territorio le nostre strutture debbano essere attori della gestione di questo patto chiedendo alle aziende, a partire da quelle più grandi di essere conseguenti. In questo quadro la Flai nazionale candida il Parco delle Madonie in Sicilia per la certificazione Emas.

Credo che sia utile concentrarsi su quello che gli analisti chiamano il grande paradosso: mentre la dieta mediterranea e la moda alimentare italiana nel mondo avanzano, l’agricoltura, in particolare quella meridionale, non riesce a costituirsi in sistema, stenta a raggiungere livelli sufficienti di organizzazione economica.

Il grande paradosso è rappresentato da un settore economico che potrebbe essere uno dei punti di forza di tutta l’economia meridionale ma che sembra non avere la percezione delle sue potenzialità, piegato così com’è su richieste assistenziali.

La produzione e il consumo di alimenti è un fatto centrale di ogni società e ha ripercussioni economiche, sociali e, in molti casi, ambientali.

Nel sistema agroalimentare del Mezzogiorno questa situazione appare ancora più esasperata: se da un lato la specializzazione e la tipicizzazione avanzano con grande forza (basti pensare al grande spostamento al Sud della frutticoltura di alta qualità, allo sviluppo qualitativo della viticoltura), ancora fortissimi restano la vischiosità e i ritardi organizzativi in altri comparti, penso ad esempio agli agrumi.

Bisogna però sottolineare che nonostante tutto a partire dagli anni novanta si è cominciata a registrare una inversione di tendenza caratterizzata dall’ aumento dell’esportazioni di prodotti finiti verso altri mercati e da un interesse dell’imprenditoria nazionale ed internazionale ad investire nel Sud d’Italia.

Tale tendenza rafforza la tesi che sosteniamo in questo convegno.

Bisogna aggredire i punti di debolezza del sistema  dati dalla frammentazione fondiaria e dalla orografia del territorio,dalla scarsa propensione a fare filiera,dalla modesta capacità di trasformare e/o commercializzare.

Il fenomeno della ridotta superficie agricola media aziendale potrebbe essere superato da un efficiente rete organizzativa tra imprese e nell’attuazione delle misure per la ricomposizione fondiaria.

Le diseconomie non riguardano,dunque, solo la produzione ma anche il commercio e ovviamente tutti i servizi che mancando di una domanda aggregata si caratterizzano per scarse finalizzazioni, ripetitività e scarsa efficienza.

Ciò vale anche per la promozione e la valorizzazione commerciale.

Se fossero aggregati tutti i fondi pubblici per la promozione si raggiungerebbero dimensioni di cofinanziamento tali da potere affrontare anche i mercati più difficili.  

Tra i servizi meno efficienti i trasporti meritano un posto a parte trattandosi di inefficienze che si riflettono direttamente sui costi e sulla competitività.

In questo quadro riteniamo che  il ponte sullo Stretto non sia una priorità, prima c’è molto altro da fare.

La questione delle infrastrutture è centrale per lo sviluppo del Mezzogiorno e del nostro comparto: acqua, elettricità, comunicazioni, reti telematiche, strade, ferrovie, interporti, reti di commercializzazione e di promozione dei prodotti, ricerca e innovazione, formazione professionale e scuola, sistema creditizio accessibile, pubblica amministrazione efficace.

E per ultimo non in ordine di importanza, la lotta e il contrasto delle organizzazioni criminali: mafia, ndrangheta, camorra, corona unita.

Bisogna rivendicare allo Stato e alle Regioni uno sforzo sinergico per l’internazionalizzazione del sistema non solo per le fasi di commercializzazione ma anche di produzione assicurando mezzi, strumenti, risorse finanziarie per essere competitivi nel mercato globale.

Ciò che fa Israele per gli agrumi, Francia, Olanda e Belgio per le ortive e i fiori.

Le politiche assistenziali che rivendicano le organizzazioni degli agricoltori condannano il Mezzogiorno a essere mercato di consumo e sono un ostacolo alla trasformazione in mercato di produzione che punta alle esportazioni.

Sono pochi gli operatori che hanno tentato la strada dell’internazionalizzazione.

Agli agricoltori diciamo che il prodotto agroalimentare non può vincere la sua scommessa nella competitività sui costi di produzione, può essere competitivo solo sui servizi incorporati ed in particolare sulla carica “ipersimbolica” dei suoi prodotti, considerata anch’essa come un servizio.

Da una fase di orientamento al prodotto nella quale era determinante il fattore prezzo e quindi i costi di produzione si è passati ad un’era di orientamento al mercato.

I fattori di successo sono oggi accanto al prezzo, la qualità del prodotto e la sua riconoscibilità, ovvero il marchio.

Nuovo sviluppo è quindi la trasformazione del nostro mercato da mercato di consumo a mercato di produzione e di proiezione internazionale.

Bisogna coinvolgere le università, i centri di ricerca e rilanciare quel rapporto di collaborazione con gli studiosi che è da tempo patrimonio del nostro sindacato.    

Con questi soggetti verificheremo la fattibilità dei nostri ragionamenti e metteremo a punto la nostra piattaforma.

Siamo fermamente convinti che gli ingredienti di un nuovo sviluppo siano tutti sotto i nostri occhi, e devo confessare che mi stupisce quel deficit di interpretazione della società e della realtà economica meridionale che verifico intorno a me.

In questi anni c’è stato un forte dinamismo dei comuni riformati che hanno cominciato a porsi l’esigenza dello sviluppo locale utilizzando, anche, quelle strumentazioni che il sindacato è riuscito a conquistare con le proprie battaglie.

I patti territoriali fanno parte di questa strumentazione, in particolare per quel che ci riguarda, i patti territoriali verdi che sono il frutto del decreto legislativo 173/98, che ha esteso all’agricoltura gli strumenti della programmazione negoziata.

Il governo nazionale ha finanziato, negli anni passati, novantuno patti territoriali agricoli e della pesca.

Un risultato importante, che segnala il dinamismo degli enti locali, di un’imprenditoria che tenta di misurarsi uscendo dalla nicchia della protezione politica, di un sindacato legato al territorio.

Un dinamismo che rivela una grande voglia di fare, di innovare, di rompere con il fatalismo meridionale, una voglia che è figlia di quella grande riscossa antimafia che ha caratterizzato gli anni Novanta.

Le imprese agricole e della pesca potrebbero utilizzare agevolazioni consentite dall’U.E. fino a un massimo del 75% e potrebbero competere sui mercati interni ed internazionali.

Purtroppo tutto è fermo perché è cambiata la strategia del governo.

Se siamo in grado di fissare le coordinate della nostra iniziativa abbiamo la necessità di vedere con quali strumenti possiamo concretizzare le nostre idee, per evitare di fare buoni ragionamenti senza essere in grado poi di realizzare fatti concreti dei quali abbiamo bisogno.

Patti territoriali, Agenda 2000, sviluppo rurale sono il terreno sul quale si sta giocando uno delle partite decisive che potrà determinare importanti inversioni di tendenza.Stiamo correndo il rischio di perdere un’occasione.

Il punto è se le risorse dovranno ancora una volta essere sacrificate sull’altare della crescita senza sviluppo, oppure essere volano di un’azione  che chiudendo con il passato faccia del Mezzogiorno un ponte tra Europa e paesi rivieraschi.

Purtroppo se guardiamo alle scelte finora compiute grande è la preoccupazione di rivedere vecchi scenari.

Si ha la sensazione che le risorse aggiuntive della programmazione negoziata si stiano utilizzando, prevalentemente, per finanziare la spesa corrente e per far fronte ai deficit di bilancio.

Non credo che ci si muova nella direzione richiesta da Agenda 2000, quella di ridurre significativamente il divario economico-sociale delle aree del Mezzogiorno in modo sostenibile.

Si ha la sensazione che ci si muova furbescamente per sfuggire ai regimi vincolistici richiesti dall’U.E., che a mio parere più che un impedimento sono una occasione per una rigorosa politica di investimento di risorse pubbliche e private per lo sviluppo del Mezzogiorno.

E’ necessario affinare la nostra azione su Agenda 2000 ed i Patti Territoriali: proponiamo alla Confederazione di promuovere una iniziativa sull’occupazione prodotta da questi strumenti partendo da un monitoraggio sullo stato dell'arte.

Particolare attenzione bisogna porre  ai piani di sviluppo rurale ,si tratta di interventi a carico della Comunità, che serviranno per accompagnare la nuova politica agricola comunitaria (PAC): agroambiente, forestazione, prepensionamento, ecc...

Sulla base delle richieste si potranno sviluppare azioni per agricoltura e zootecnia biologiche, la riduzione dei fitofarmaci, la tutela dei paesaggi agrari, l’abbandono dei seminativi, la salvaguarda della fauna a rischio di estinzione. Si apre un importante spazio per l’iniziativa dell’ALPA, che può porsi così l’obiettivo di raggiungere ulteriore risultati lusinghieri

Al momento attuale le risorse non sono pienamente utilizzate se non come forma di integrazione del reddito e dall’altra parte non possiamo che manifestare la nostra preoccupazione per quella strategia del rinvio che c’è attorno all’urgenza di riformare la Politica agricola comunitaria.

La FLAI non vuole essere spettatrice di questo confronto, faremo la nostra parte con la proposta, l’iniziativa, la mobilitazione; ma ciò non è sufficiente.

Poniamo alla Confederazione la necessità di riqualificare i Tavoli Verdi ormai snaturati per la pletoricità dei partecipanti e nei quali Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Associazioni Cooperative, fanno ciò che vogliono spesso con l’interlocutore istituzionale che fa da sponda a richieste esclusivamente assistenziali.

Questo bilancio negativo  conferma la giustezza della nostra richiesta di abolire il ministero delle risorse agricole cosi come ha chiesto Chiriaco a Napoli nella iniziativa meridionale della Cgil.

Il Mezzogiorno d’Italia, come ho gia detto, deve lottare contro il tempo per arrivare a quegli appuntamenti internazionali che apriranno nuove ed importanti prospettive e che saranno una grande occasione solamente se esso arriverà preparato.

L’allargamento ad Est dell’Europa è già una realtà, il nostro meridione arriva in ritardo all’appuntamento e se continua così dovremo purtroppo rivendicare, per vaste aree territoriali, l’ipotesi di restare tra le regioni dell’obbiettivo uno.

L’altra grande prospettiva è quella Euromediterranea.

Care compagne e cari compagni, noi che viviamo in una isola al centro del mediterraneo, che è la punta più avanzata dell’Europa in questo bacino, sappiamo che il nostro futuro, la nostra prosperità si basa sulla capacità di dialogo con i paesi rivieraschi, in primo luogo con quelli musulmani: sulla capacità di essere Europa nel Mediterraneo.

E’ noto, come già detto, l’orientamento della Commissione Europea di creare entro il 2010 nel Mediterraneo una zona di libero scambio che comprenderà una quarantina di paesi e un mercato di oltre 600 milioni di abitanti.

Il Mediterraneo è stato per i paesi rivieraschi la via del grano, la via dell’olio, la via del sale, la via del vino.

Significa che il Mezzogiorno d’Italia, un ponte tra l’Europa e l’Africa ed il Medio Oriente, deve sapere cogliere la nuova centralità che il bacino del Mediterraneo riacquisterà dal punto di vista geopolitico.

       

         Che cos’é il partenariato euromediterrraneo? E’ un programma integrato di cooperazione; la dichiarazione di Barcellona del 95 prevede tre aree principali di cooperazione e partenariato. Il primo programma riguarda il partenariato politico e di sicurezza, per costituire un’area comune, di “pace e stabilità”: qui risalta l’attualità e la questione israelo-palestinese come punto di partenza per poter ragionare in termini di cooperazione e di sviluppo. Secondo: il partenariato economico e finanziario per creare una zona di prosperità condivisa (e qui viene sancita la data del 2010), ma anche i processi di avvicinamento rispetto a questa unica area di libero scambio divisa per settori economici e finanziari. Terzo: il partenariato relativo alle questioni sociali, culturali, per sviluppare le risorse umane e promuovere la comprensione fra le diverse culture e gli scambi tra le società.

         Le condizioni politiche e socioeconomiche dell’area rendono la cooperazione necessaria, però questa cooperazione è irta di difficoltà perché è frammentaria e fragile. Sono soprattutto i paesi dell’Unione Europea che si affacciano sul Mediterraneo ad essere consapevoli e preoccupati dei fenomeni di instabilità e insicurezza provenienti dalla sponda Sud, connessi con il sottosviluppo, l’immigrazione, il terrorismo e la diffusione delle armi. (A.Riolo)

 

I Paesi che hanno aderito, oltre quelli europei, sono: Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Territori Palestinesi, Giordania, Libano, Siria, Turchia, Malta e Cipro.

Siamo del tutto contrari a quella tesi che rivendica per la Sicilia, approfittando del semestre italiano di presidenza UE, un ruolo europeo di eccellenza nel Mediterraneo, perché per questo scopo bisogna avere le carte in regola, ma anche perché non vogliamo fare la fine che ha fatto Parma per l’autorità alimentare europea.

Ma la questione importante è darsi una politica euromediterranea per governare quel processo demografico che vedrà ridurre gli europei di 5 milioni di unità e incrementare la sponda nordafricana di 45 milioni di persone nello stesso periodo(2005-2020). Pensate alle novità che si produrranno nel mercato del lavoro!

Oggi siamo molto preoccupati per l’aggravarsi della crisi medio-orientale e per i venti di guerra che spirano.

Riteniamo insufficiente l’iniziativa per la pace della Comunità internazionale.

Noi rivendichiamo un ruolo importante per il Mezzogiorno d’Italia, quello di essere la grande piattaforma europea specializzata per l’agroalimentare mediterraneo.

Ma la prima condizione per il successo della nostra rivendicazione è fare del Mediterraneo un mare di pace.

Sappiamo che le dinamiche internazionali hanno forti ricadute sul nostro settore e più in generale sulle tematiche dell‘alimentazione.

Le politiche dell’alimentazione sono strategiche nelle relazioni tra i paesi e in particolare tra Nord e Sud del mondo.

Terra, aria, acqua, risorse del mare, salute sono al centro di un processo che non può tradursi in sola merce o mercato, ma in risorse e processi che devono essere governati a livello mondiale.

C’è spazio per dialogare con quei movimenti “new global” che aspirano a vivere in un mondo giusto, fatto di pace tra i popoli e di cooperazione tra razze diverse.

Il progetto portato avanti dalla Flai, che vuole essere sindacato del territorio e attore dello sviluppo sostenibile che assume la sicurezza alimentare, la difesa del suolo, lo sviluppo rurale come punti strategici dell’iniziativa sindacale, ci porta a rilanciare il confronto con le organizzazioni ambientaliste.

Sottolineo questi aspetti perché sono convinto che solamente se giochiamo a tutto campo, se facciamo politica nel senso più serio e più pieno della parola, possiamo portare a casa risultati positivi per le nostre rivendicazioni e possiamo dare un contributo per arrestare il declino del Paese.

All’iniziativa meridionale della Cgil a Napoli, Franco Chiriaco ha indicato quattro parametri per spiegare il fallimento delle politiche meridionali: abbandono dell’industrializzazione, incremento del lavoro nero e illegale, stabilità nel tempo dei livelli di disoccupazione, differenziale salariale nord-sud attestato attorno al 20%.

Sono quattro parametri sotto gli occhi di tutti che indicano come le ricette del “libro limaccioso sull’occupazione” e il cosiddetto patto per l’Italia siano terapie errate perché partono da analisi errate, che non porteranno risultati se non quello odioso di una ulteriore precarizzazione del lavoro meridionale.

 Lo sciopero dell’industria proclamato dalla CGIL nazionale per il 21 febbraio a sostegno delle vertenze in corso e per il rilancio dell’apparato produttivo nazionale è un momento importante per la nostra categoria e dovremmo contribuire con le nostre elaborazioni sia nella fase della costruzione dell’analisi e delle proposte sia nella fase di mobilitazione dei lavoratori per lo sciopero.

La Flai assieme alla Cgil tutta si batte per contrastare questo disegno, ha il consenso di ampi settori del mondo del lavoro e con l’iniziativa odierna da un contributo per determinare una inversione di tendenza nel mezzogiorno.

 Palermo, 10-01-2003