
Don Pietro
Sapienza
PER IL CONVEGNO CGIL
SPEZZIAMO LE CATENE DEGLI SCHIAVISTI
NELL’AGRICOLTURA
(CATANIA 28 NOVEMBRE 2006)
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Leggendo il titolo del Convegno, mi vengono in
mente le parole del Vangelo di Luca (4,18), pronunciate da Gesù nella
sinagoga di Nazareth: “Lo Spirito del Signore è sopra di me (….) mi ha
mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare
agli schiavi la liberazione (….), per rimettere in libertà gli oppressi
(…..)”. L’annuncio e la diffusione della Buona Novella è, quindi,
connessa con il valore della libertà e implica la liberazione di
ogni uomo e di ogni donna da ogni sorta di schiavitù e oppressione.
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Il mio intervento vuole offrire il contributo
che, alla problematica da voi affrontata (lavoro nero, clandestinità,
schiavitù), può provenire dalla Dottrina Sociale della Chiesa, la
quale si prefigge di tradurre, nella vita sociale, politica ed economica, le
conseguenze che derivano dal Vangelo, con l’aiuto delle varie scienze umane.
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Nella Dottrina Sociale della Chiesa, il valore
primario e fondamentale, il perno attorno al quale ruotano tutti gli altri
principi e valori è costituito dalla persona umana,
che possiede una grande e inalienabile dignità, perché essa “è sempre
un valore in sé e per sé”. Pertanto, non può mai essere strumentalizzata e
trattata come una cosa da nessuno (né dai singoli, né dagli Stati, né dai
partiti, ecc.). Essa ha sempre la qualità di fine e mai di mezzo. Scriveva
Giovanni Paolo II: “la persona nella sua individualità non è un numero, non
è un anello di una catena, né un ingranaggio di un sistema”(Christifideles
laici n 37). In questa concezione, allora, è la persona umana che ha il
primato di fronte allo Stato e alla società. Essa, infatti, è definita come
“il diritto umano sussistente” e quindi anche il fondamento del diritto
(come affermava il grande filosofo Rosmini). Lo Stato ha il compito di
difendere, promuovere e favorire i diritti di tutte le persone. Di
conseguenza, “ogni discriminazione costituisce un’ingiustizia del tutto
intollerabile (….) per il disonore inferto alla dignità della persona” (Christifideles
laici n 37). Ed è proprio questa dignità umana che fonda i
diritti dell’uomo. Leggiamo nel Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa (n 153): “La radice dei diritti dell’uomo, è da ricercare nella
dignità che appartiene ad ogni essere umano”. Quindi, si tratta di
una dignità che non appartiene solo agli europei o, in genere, agli
occidentali dei Paesi supersviluppati, o a quelli che vivono nella ricchezza
e nell’opulenza, ma ad ogni uomo e ad ogni donna, a qualunque nazione,
razza, popolo, condizione sociale, cultura e religione essi appartengano. E
che le cose stanno così, lo si può riconoscere attraverso i criteri etici
che la retta ragione umana, in quanto tale, è capace di trovare e
applicare. E infatti, la Dottrina Sociale della Chiesa sottolinea: “Tale
dignità, connaturale alla vita umana e uguale in ogni persona, si coglie e
si comprende anzitutto con la ragione”. Per il cristiano, poi, c’è un
“valore aggiunto”, che proviene dalla fede, la quale ci dice che l’uomo è
immagine di Dio, e che la natura umana, dopo essere stata profondamente
ferita dal peccato, fu assunta e redenta da Gesù Cristo mediante la Sua
incarnazione, morte e risurrezione.
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Tre sono le caratteristiche principali dei
diritti della persona umana: sono universali, inviolabili, inalienabili.
“Universali, perché sono presenti in tutti gli esseri umani, senza
eccezione alcuna di tempo, di luogo e di soggetti. Inviolabili, in
quanto inerenti alla persona umana e alla sua dignità e perché sarebbe vano
proclamare i diritti, se al tempo stesso non si compisse ogni sforzo
affinché sia doverosamente assicurato il loro rispetto da parte di tutti,
ovunque e nei confronti di chiunque. Inalienabili, in quanto nessuno
può legittimamente privare di questi diritti un suo simile, chiunque egli
sia, perché ciò significherebbe fare violenza alla sua natura” (Compendio...n
153). In queste affermazioni, che sono patrimonio della Dottrina sociale
della Chiesa, si può subito cogliere la grave forma di ingiustizia che
subiscono quelle donne e quegli uomini ridotti, a diverso titolo, in
schiavitù da altri esseri umani come loro, che detengono un potere economico
(piccolo o grande che sia).
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La Chiesa, conoscendo queste situazioni, non
esita a denunciare a chiare lettere “il diffondersi pressoché ovunque di
forme sempre nuove di schiavitù…” (Compendio… n 158). Pensiamo a
quelle denunciate in questo Convegno. Già lo scorso anno, denunce di simili
condizioni sono state presentate nel Dossier della Caritas
Italiana e Siciliana sull’immigrazione. La disumana realtà della schiavitù
degli immigrati assume una tinta più fosca in un Paese che si definisce
“democratico”. Sempre nel citato Compendio, infatti, si sottolinea:
“anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi
diritti (umani) sono del tutto rispettati” (n 158). E si precisa, inoltre,
il dovere che hanno le Istituzioni di fronte a quella che è una piaga sempre
più purulenta: “Le istituzioni dei Paesi ospiti devono vigilare
accuratamente affinché non si diffonda la tentazione di sfruttare la
manodopera straniera, privandola dei diritti garantiti ai lavoratori
nazionali, che devono essere assicurati a tutti senza discriminazioni”. E,
ancora, è da rilevare: “Gli immigrati devono essere accolti in quanto
persone (…..)” (n 298).
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L’altro punto della vostra riflessione, connesso
con quello della schiavitù delle persone immigrate è quello del lavoro, che
per gli immigrati è sempre “nero”. Vedremo, allora, com’è concepito il
lavoro nella Dottrina Sociale della Chiesa. Esso è considerato una
dimensione fondamentale dell’esistenza umana. Infatti,
attraverso il lavoro, l’uomo realizza se stesso, provvede al mantenimento
proprio e della famiglia e contribuisce al bene comune della società. In
questa visione, si afferma il primato dell’uomo sul lavoro e del lavoro
umano sul capitale. Tra i diritti, elencati dalla Dottrina Sociale della
Chiesa, c’è appunto quello di “partecipare al lavoro per valorizzare i beni
della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri
cari” (Compendio…n 155). Il lavoro nero è esattamente la
negazione di questo diritto e di questa visione del lavoro. Nel lavoro nero
avviene lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e quindi si ha la contraddizione
di quel fondamentale valore della dignità della persona umana. Nel lavoro
nero, l’uomo è lontano dalla propria realizzazione, perché esso non è fonte
di liberazione ma di oppressione. Tutto ciò costituisce ancor più una palese
ingiustizia in quanto gli immigrati costituiscono una risorsa preziosa per
il lavoro (cf. Compendio …-.n 297). Bisogna sempre tenere
presenti le parole di Giovanni Paolo II: “L’emigrazione per lavoro non può
in nessun modo diventare un’occasione di sfruttamento finanziario o sociale”
(Laborem exercens n 23).
Conclusione: In un mondo che diventa
ogni giorno di più “un villaggio globale”, dobbiamo imparare a vivere insieme
nel rispetto della giustizia e della solidarietà verso tutti, a partire dai più
deboli, quali sono gli immigrati, oppure dobbiamo rassegnarci a perire insieme
come degli sciocchi (così parafrasando M. Luther King, il grande leader per i
diritti dei negri).
SAC. PIERO SAPIENZA