intervento Samantha Lauretta 

 

L’ortofrutta

 

 

Saluti:

 Ringrazio tutti i presenti per essere intervenuti a questo evento importante ed in particolare voglio ringraziare Pachino che è l’unico comune che  ha accolto in maniera positiva le nostre iniziative infatti si è indirizzata verso quelle linee politiche che per la flai sono indispensabili ed in cui risultano evidenti le nostre posizioni contro gli schiavisti ed il lavoro nero che abbiamo evidenziato nel nostro convegno del 28 novembre 2006 e che segnano veramente un grosso passo in avanti per lo sviluppo della nostra regione sia politicamente ma anche come segno di grossa civiltà, ed  infatti, muovendoci in questa direzione possiamo dire che il comune di Pachino ha fatto suoi certi principi a tal punto che ha approvato la delibera di sollecitazione per Camera e Senato per l’approvazione del Disegno di legge per quanto riguarda il lavoro nero degli extracomunitari e questo risulta essere un segno di positività in quanto dimostra che qualcosa nella nostra regione sta cambiando ma dobbiamo anche dire che anche nel quadro politico nazionale si stanno avendo dei cambiamenti, infatti è di questi giorni la notizia che il governo ha deliberato di ritenere cittadini italiani i bulgari ed i rumeni. Altro fatto positivo che non bisogna trascurare è l’insediamento dell’ Apofruit in Sicilia ed in particolare mi riferisco all’apertura della Moc mediterranea a Scicli  la quale risulta essere uno delle poche realtà che si avvicinano a quelle che sono le nostre idee di sviluppo.

Premesso questo, considerando quello che la flai rappresenta e tutto quello che riguarda il progetto Pachino non possiamo non  considerare tutto ciò che riguarda lo sviluppo agricolo in Italia, la quale risulta essere una delle poche nazioni che  gode di una situazione produttiva, in particolare per l’ortofrutta (sia quella continentale, che quella mediterranea) assolutamente straordinaria. La varietà dei climi e dei microclimi, la diversità delle condizioni pedoclimatiche, consentono una gamma produttiva che non ha pari in Europa e, potenzialmente, é una delle migliori al mondo. Ad esclusione della frutta tropicale, sono praticamente possibili tutte le altre colture ortofrutticole, non solo, ma per molte di queste, sono possibili calendari di raccolta sufficientemente ampi da poter garantire, oltre alla gamma calendari differenziati infatti si può stimare che in Italia si produce il 17,25% della produzione mondiale e più  del 50% di quella europea  ma risulta essere anche una delle piu’ alte consumatrici di prodotti ortofrutticoli. L’Italia ed in particolare il centro-sud si distingue per la cosiddetta dieta mediterranea che secondo l’opinione di molti nutrizionisti risulta essere una delle migliori diete al mondo ed infatti grazie ad essa vi è stato un boom del made in Italy con un aumento record nel valore delle esportazioni di olio del 20 per cento, di vino del 6,4 per cento, di pasta del 3,2 per cento, di verdure del 5,8 per cento, della frutta del 3,2 per cento e anche della conserva di pomodoro dell'1,4 per cento, dopo anni di stagnazione. Occorre però differenziare il nord dal sud  che risultano essere due realtà che si distinguono tra loro:

il nord, è caratterizzato da filiere corte, raccolte meccanizzate, produzione finalizzata al trasformato, imprese di trasformazione di grandi dimensioni ed operanti nella maggior parte dei casi con marchio proprio;

il sud, è caratterizzato da filiere lunghe in cui si ha ancora la raccolta manuale, una produzione mista tra trasformato e fresco, presenza di produzioni tipiche.

 

Lo scenario però,  a cui l’agricoltura in genere fa riferimento,  sta cambiando radicalmente, sia a causa delle nuove politiche agricole introdotte per mezzo della PAC, sia a causa di mutamenti anche politico-sociali in cui si richiede una maggiore trasparenza nelle attività, sia anche dalle esigenze di mercato che variano e si evolvono giornalmente, infatti si ha un’inclinazione maggiore verso i settori specialities rispetto alle commodities determinando nei confronti di questi ultimi maggiori problematicità.

Ultimamente i piccoli produttori si sono trovati di fronte ad una forte incertezza causata dalla stagnazione dei prezzi, dall’aumento dei costi di produzione, dalle difficoltà nel collocare i prodotti, da un aumento dell’indebitamento delle stesse aziende (causate anche da un accesso al credito di impresa difficile e molto burocratico), difficoltà nell’individuazione di prodotti che siano economicamente convenienti. Questa situazione si è andata aggravando a causa, anche, di una impreparazione da parte di questi agricoltori all’evoluzione globale di tecniche gestionali e politiche agricole, questo ha fatto sì che il passaggio da agricoltori ad imprenditori agricoli e l’ aggregazione fra produttori, quindi la formazione di cooperative, sia avvenuta solo sulla carta infatti, facendo un censimento nel nostro bacino, esistono centinaia di cooperative ma, a causa di una mentalità ancora legata alle vecchie abitudini, continuano ad esistere solo come numero.

Solo grazie ad un’aggregazione di produttori ma anche ad giusto ricambio generazionale e culturale degli operatori del settore si può far in modo che la forbice tra produttori e consumatori si accorci e che queste incertezze e difficoltà in cui si sono trovati, da soli, possano diventare inesistenti. Le aziende devono capire che non ci si puo’ attendere solo sostegno pubblico ma che devono essere esse stesse a dover prendere in mano le redini del sistema attraverso un’aggregazione ed organizzazione della produzione, la quale puo’ funzionare solo se essa si dà delle regole precise e le rispetti  e solo se ai suoi vertici si collocano risorse umane che godono del rispetto e di grande autorità, derivante da comprovate capacità; tale organizzazione può funzionare quando ha dimensioni tali da poter incidere effettivamente sul mercato da protagonista ed essa può funzionare solo se i suoi membri sono fortemente responsabilizzati, in quanto, nel passato, il punto debole della cooperazione è stato il considerare la cooperativa la struttura cioè il magazzino, il vivaio i mezzi tecnici ecc…tutte queste cose non fanno altro che determinare gli strumenti della cooperazione la quale, invece, risulta essere, solo ed esclusivamente, gli imprenditori i quali sono il fulcro dell’aggregazione e quindi di qui l’esigenza di responsabilizzare tali produttori.

 

 Dobbiamo anche considerare che la realtà che si andrà a creare è seguendo il modello di agricoltura europea, la quale si basa su una diffusa politica di sviluppo rurale legata ed integrata alle altre politiche settoriali (industria, servizi e sanità), un mix di agricolture:

1      di servizio in cui si ha una forte protezione dell’ambiente;

2      di qualità;

3      legata all’industria ed alla distribuzione;

4      agricoltura protetta.

 

L'agricoltura di servizio si basa essenzialmente sullo sviluppo rurale, infatti la Pac sta cedendo nei confronti di una politica di sviluppo rurale e quindi da qui si percepisce l'esigenza e la capacità delle aziende di poter accedere tramite ai piani di sviluppo rurale ai pagamenti pubblici per la produzione di beni pubblici cercando di ottimizzare le risorse, le strutture aziendali e soprattutto di rendere il prodotto/servizio competitivo;

 

L’agricoltura di qualità punterà sulla salute dei consumatori considerando la qualità non solo un modo di esprimere la cultura, la tradizione ed il paesaggio del luogo dove viene coltivato il prodotto ma anche un bene pubblico in cui si avrà la tracciabilità e la certificazione dei prodotti cercando di creare una certa alleanza tra agricoltori e consumatori;

 

L’agricoltura legata all’industria ed alla distribuzione non è altro che un’agricoltura che punta sullo stretto controllo da parte della grande distribuzione e dell’industria, basandosi su delle produzioni standard tendenti ad abbassare i costi e quindi a renderli più competitivi all’interno del mercato mondiale, in cui la politica agraria effettua delle azioni dirette per tutelare le common goods ( beni comuni).

 

L’agricoltura protetta  è quell’agricoltura che rispetta la sicurezza alimentare, è un’agricoltura in cui si ha il pagamento del premio unico aziendale legato  all’osservanza dei criteri di gestione obbligatori e delle buoni condizioni agronomiche ed ambientali che vanno sotto il nome di condizionalità, condizioni che siano anche compatibili con il WTO, questa è un’agricoltura in cui si prevede anche un esteso sistema di assegnazioni di quote e di penalizzazioni degli eccessi di offerta, di qui l’esigenza di una maggiore organizzazione delle op ma anche un maggior controllo nell’assegnazione delle quote in quanto diventa fondamentale evitare l’accumulo di queste nelle mani di pochi grossi imprenditori soprattutto se tali figure sono al di fuori di tali attività come già si è verificato ad esempio nell’assegnazione delle quote vino.

 

 Quindi, lo scenario politico verso cui ci stiamo accingendo obbliga, di fatto, gli imprenditori a prendere importanti decisioni proiettando queste in una visione di lungo periodo, cercando di effettuare delle decisioni individuando delle strategie di lungo periodo e quindi evitare criticamente le tante circostanze nelle quali sono certe volte le stesse politiche a determinare o a premiare posizioni di rendita. Questo è quello che si è verificato fino ad oggi quando per accedere al sostegno pubblico è stato sufficiente avere dei requisiti soggettivi, anziché l’impegno a specifici comportamenti e cosa ancora piu’ incisiva è stato il legame degli imprenditori alla produzione, infatti, la conoscenza di trovare conveniente se aumentare o meno la produzione, è  stata alla base di tutte le decisioni indubbiamente legittime ed urgenti ma di certo sono scelte che da sole diventano di breve periodo e non sono le più importanti.

In base a questo scenario noi, come sindacato, dobbiamo far integrare alle scelte primarie delle aziende una certa competitività delle stesse la quale si deve basare:

 

 sia  sull’ efficienza economica, in cui le aziende che si basano sulla produzione di commodities  producano con costi unitari medi e compatibili con i prezzi del mercato; di qui la necessità delle aziende a porre le loro attenzioni sulle strutture fondiarie, mezzi produttivi, sulla qualità del lavoro, sulla reperibilità delle risorse finanziarie ecc…

 

ma  in particolare però si deve basare sulla differenziazione qualitativa,  questo diventa un percorso importante specie per quelle aziende che non riescono ad effettuare la competitività tradizionale cioè quella basata sui costi di produzione; la domanda dei prodotti di qualità è in aumento in quanto si ha una certa soddisfazione da parte dei consumatori ad utilizzare prodotti Doc, Igp. Ma in questa scelta occorre e diventa necessario il giusto posizionamento di tali prodotti sul mercato e cosa più importante fare in modo che oltre alla alta qualità ci sia la produzione di una qualità media  che abbia quindi un valore aggiunto che ci permetta di differenziarci dai prodotti di massa che quindi abbia un costo aggiuntivo ma non eccessivo e quindi che possa essere accessibile alle fasce di popolazione media. In questo percorso diventa primario  un valore aggiunto determinato non solo dal rispetto di condizioni eco-compatibili ma anche dal rispetto di certe regole etiche sul lavoro indicandole come  fattore di sviluppo e non di ostacolo e quindi  fare in modo che si adottino delle certificazioni etiche  che permettano di rivalutare il lavoro come un valore sociale il quale dovrà essere indispensabile per la determinazione di tale valore aggiunto cercando di far associare alle aziende anche una adeguata politica di marketing al fine di valorizzare il prodotto  per tutti gli elementi prima elencati e quindi consentendone la vendita a prezzi superiori alla concorrenza ma inferiori ai prodotti d’elite.

 

Grazie al progetto sindacale Pachino come organizzazione possiamo fare in modo che l’orientamento generale sia quindi più specifico ma dobbiamo  fare in modo che i nostri prodotti già presenti con un marchio proprio, tipo il pomodorino di Pachino, quindi che l’igp siano più rilevanti e per fare questo dobbiamo fare in modo che il consorzio sia più attivo in questo senso perché pur avendo un grosso potenziale, questo marchio sembra stare nell’ombra rispetto agli altri igp presenti in tutta la penisola, vedi il caso infatti del parmigiano reggiano che è riuscito ad essere molto incisivo sul mercato riuscendo anche a farsi conoscere in tutto il mondo.

Il nostro obiettivo non deve essere solo quello di strutturare le aziende ma fare in modo che le scelte aziendali siano indirizzate verso una politica più competitiva.

Fare in modo che le diverse realtà produttive di tutto il bacino si uniformino e noi come organizzazione sindacale dobbiamo diventare il mezzo di sviluppo di queste aziende, in quanto non è nostro obiettivo far sopravvivere le aziende in quanto questo comporta solo una precarietà in tutto, ma  interessa che esse vivano e per far in modo che questo avvenga è necessario che le linee guida  siano quella di una cooperazione non solo settoriale ma anche territoriale perché solo così si può avere uno sviluppo occupazionale di lungo periodo. Attraverso questo progetto dobbiamo imporci come sindacato di diffondere non solo  il  concetto di buona occupazione come fattore determinante per la giusta competitività delle aziende, ma dobbiamo anche svolgere una vera e propria campagna informativa sulle strategie più adeguate per uno sviluppo di lungo periodo perché interessa che il sistema agricolo continui ad essere presente nel nostro territorio in quanto è un grosso potenziale che non possiamo perdere.