IL MERIDIONE D’ITALIA

 DA PERIFERIA D’EUROPA A CENTRO DEL MEDITERRANEO

 

Felice Mazza

Redazione AE (Agricoltura Alimentazione Economia Ecologia)

Palermo 17 marzo 2004

 

Premessa

 

La Redazione della Rivista “AE” è grata alla Flai siciliana per aver organizzato questo incontro palermitano tra due mondi, l’accademico e il sindacale, entrambi impegnati a contribuire al miglioramento delle condizioni di vita della comunità di cui fanno parte.

 Altrettanto ringrazia il Rettorato dell’Universsità di Palermo per aver accolto la richiesta di effettuare questo incontro e per dipiù in questa meravigliosa sede.

 L’incontro è incentrato sul rapporto possibile con la nostra Rivista e con il tentativo di fare dell’area delle Madonìe una sperimentazione concreta di sviluppo rurale di qualità connesso ad un tessuto produttivo industriale tuttaltro che marginale e collocati dentro un orizzonte di sviluppo sostenibile e solidale.

 La Rivista è dedicata in modo particolare alle questioni attinenti l’Agricoltura, l’Alimentazione, l’Economia e l’Ecologia. Le ragioni che hanno indotto la Flai nazionale a realizzarla ed a sostenerne l’impegno organizzativo e finanziario, sono legate all’enorme complessità dei problemi riguardanti direttamente ed indirettamente questi argomenti ed il contesto nel quale si manifestano.

Capire quanto accada oggi nel mondo, richiede una capacità d’analisi formidabile. Il Sindacato non si ritiene autosufficiente. E’ necessario, quindi, ricorrere all’aiuto costante e qualificante del Sapere di cui dispono il Mondo Accademico e la Ricerca.

 Al contributo che ce ne viene, in termini di flusso di informazioni, approfondimenti, analisi, proposte, noi siamo già impegnati a dare visibilità e a costruire un circuito informativo di rilievo.

 La Rivista “AE” rappresenta una delle forme possibili. Essa è diretta alle Istituzioni, al Sistema dei Servizi, al Sistema delle Imprese e alle sue Forme Associative, alle Organizzazioni non Governative, nonché all’Informazione più generale sia a livello nazionale che europeo. Alla Flai è riservato il compito di tradurre analisi e proposte in elementi negoziabili e contrattuali.

Eccoci, dunque, riuniti in questa occasione per verificare modi e contenuti della nostra possibile collaborazione. Di cosa vorremmo trattare conviene individuare alcuni filoni di argomenti e chiarire cosa chiede la Rivista per rispondere alle esigenze del movimento sindacale. 

 

Globalizzazione

 

Immancabile tema oggi è la globalizzazione, che ha travolto tutte le certezze, tutte le protezioni costruite in due secoli di lotte e di conquiste dei lavoratori. Le società civili, modernizzate negli ultimi cinquant’anni, non sono più al riparo di confini giuridici, economici e monetari come è stato nel passato.

La libera circolazione delle merci, la libertà d’azione delle imprese e la facilità di trasferimento di merci, persone e denaro da un continente all’altro, hanno cambiato i connotati delle relazioni politiche, economiche e sociali.

Il mondo del lavoro, in questo contesto, sta sostenendo un impegno straordinario. Mentre difende quanto ritiene necessario difendere delle proprie conquiste, deve ridefinire i sistemi di protezione e partecipare da protagonista al cambiamento sociale, economico e culturale, assolvendo ad un compito contemporaneamente difensivo e propositivo, che esige una capacità di elaborazione fuori dal comune.

Il livello dei problemi, d’altronde, è del tutto eccezionale. Secondo l’economista statunitense Lester Thurow[1] del MIT, la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, ha aperto una fase di lungo periodo costellata di scontri, confronti ed alleanze che si dovranno giocare, e questo sta avvenendo, tra le tre grandi aree continentali americana, europea e asiatica.

Sostiene l’economista che si tratti di un confronto molto serrato tra sistemi potenti e diversi. Non parla solo di economie ma di sistemi economici, sociali, culturali, organizzativi, tecnologici, formativi.

In effetti. L’area americana, caratterizzata dal sistema liberista, coinvolge il mondo Anglo-Sassone incentrato sugli USA. L’area europea, caratterizzata dal sistema partecipativo, coinvolge l’Europa centrosettentrionale intorno all’asse Francia-Germania. Ed infine l’area asiatica, caratterizzata da sistemi feudali modernizzati, coinvolge al fianco del Giappone una numerosa compagine di potenze economiche, demografiche e militari come la Cina, l’India, il Sud Est Asiatico.

Marginali al ruolo protagonista di queste aree, e ciò non di meno coinvolte totalmente negli effetti della competizione ed in qualche misura elementi di rottura, di disturbo o di manovra, sono l’Africa, l’America Latina e l’Oceania. La Grande Area Religioso/Culturale dei Paesi Islamici non coincide con una precisa dimensione continentale ma rappresenta una massiccia area intermedia, tormentata e turbolenta, tra l’Europa da una parte e l’Asia e l’Africa dall’altra.

Particolare nel particolare quest’area intermedia è il primo interlocutore europeo, non solo perché è vicino e confinante, ma perché rappresenta contemporaneamente la parte meridionale del Mediterraneo, pari al 50% del bacino che per l’altra metà appartiene all’Europa, e la parte maggiore dei rifornimenti di energia (petrolio) per il Mondo Occidentale.

Qua, nel mezzo del Mediterrnaeo, ci sta il Meridione d’Italia ed al suo centro, quasi a presidio dell’intera area c’è la Sicilia. Noi pensiamo che questa condizione vada analizzata, capìta ed interpretata affinché sia possibile ipotizzarne il destino venturo

 

Globalizzazione e Competitività

 

Lo scenario della competitività globale è sotto i nostri occhi. Le aree in forte crescita economica sono due, l’asiatica e l’americana, mentre per quella europea si registra una persistente stagnazione. La crescita, là dove si realizza, è tuttavia fortemente diseguale all’interno delle stesse aree.

La competitività asiatica si fonda in gran parte sull’assenza di sistemi di protezione sociale, così come noi li conosciamo, su condizioni di vita prevalentemente di sussistenza e con un certo grado di diffusione di forme di schiavismo. A questo proposito va rilevato che in questi paesi lo schiavismo è una forma regolatrice dei rapporti socio-economici interni e può avere carattere di temporaneità legate alla disponibilità di risorse economiche

Si tratta quindi di un sistema che fa del basso costo, applicato al lavoro, alle condizioni sociali della gente ed all’inesistenza dei servizi, la condizione fondamentale per la propria competitività.

Infatti, quando nel 2001 a Doha l’Europa propose di introdurre la clausola sociale nei rapporti commerciali, questa fu respinta con forza ed aggressività da una serie di paesi in via di sviluppo con in testa l’India, ritenendo la clausola un tentativo di imbrigliare la competitività dei loro prodotti.

La strategia degli Stati uniti, com’è noto, affida alla liberalizzazione il compito di ridisegnare l’alimentazione globalizzata e alle agrobiotecnologie quello di trainare questa liberalizzazione con l’obiettivo di risolvere, per questa via, il problema dello sviluppo ineguale e della fame nel mondo.

Le critiche pesanti rivolte al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, al modello di gestione e regolamentazione degli aiuti umanitari, da parte di economisti di rilievo mondiale, come Stiglitz[2], la dicono lunga sull’armamentario utilizzato per sostenere questa strategia competitiva.

Per altro il Cnel in Italia, nell’aprile del 2003, ha dedicato una sessione dei propri lavori ed una giornata di dibattito sulla politica agricola americana recente.

Lo studio, affidato alla Facoltà di Economia Agraria dell’Università di Perugia, ha messo in evidenza che la posizione USA contro il protezionismo in agricoltura, manifestata a Doha e già applicata in casa propria d’accordo con la categoria, ha causato una crisi spaventosa alla stessa agricoltura statunitense e tale da aver costretto il Parlamento americano a ricorrere per due anni consecutivi a risorse strategiche anticrisi per il sostegno alle famiglie degli agricoltori. 

L’attuale politica agricola dell’Amministrazione USA prevede l’impiego di ben 160 miliardi di dollari, in 10 anni, a sostegno dell’internazionalizzazione dell’impresa americana.

L’obiettivo è la conquista di una posizione dominante nel mercato alimentare, almeno in ordine ad alcuni prodotti fondamentali. Consideriamo che gli USA detengono nel mercato mondiale già l’82 % del mais, il 59 % della soia e il 28 % del frumento e che questa posizione è stata raggiunta in particolare attraverso gli OGM.

In queste condizioni gli USA sono molto piccati del fatto che, da un lato l’U.E. resista all’acquisto ed all’uso massiccio di OGM nei propri alimenti, dall’altro la Cina, che ora produce in proprio gli OGM, rifiuti di acquistare ancora questi prodotti da fornitori americani.

In entrambi i casi, quello americano e quello asiatico, si tratta di strategie aggressive, che possono sfociare anche in rotture pericolose per la stabilità e per la sicurezza mondiali, già abbondantemente sovraccariche per l’azione di molti tra gli esclusi dal circuito della ricchezza.

 

Stare in Europa

 

In questo scenario non c’è spazio per protagonismi di piccolo cabotaggio. È necessario schierarsi. Nel nostro caso significa far parte dell’Europa a pieno titolo e senza riserve.

L’Europa è un sistema incentrato sulla partecipazione perché ha scelto la qualità e la sicurezza come parametro competitivo, l’uguaglianza dei cittadini e la certezza dei loro diritti come parametro di coesione interna, la pace, la solidarietà e la reciprocità come parametri di relazione interna ed internazionale.

Questa impostazione, che non è scevra da contraddizioni e ripensamenti, connaturata al principio base della condivisione delle scelte, unica forma possibile di costruzione di una realtà politica quale l’U.E., diventa inevitabile non già per un periodo connesso alla costruzione dell’Unione stessa, ma in quanto modello di società basato sul principio affermato cinquant’anni fa: “Mai più guerra”.

La proposta di Carta Costituzionale Europea ha accolto tra i Princìpi Fondamentali la Carta dei Diritti del Cittadino. In questa sono sanciti anche i Diritti dei Lavoratori.

Queste scelte non sono diffuse nel mondo con eguale forza e chiarezza. Per affermarsi nei rapporti con altri Paesi richiederanno un lungo paziente lavoro. In ogni caso molto dipenderà dalla convinzione e dalla costanza.   

L’Azione dell’UE

Il confronto, lo scontro e le alleanze internazionali, si vanno manifestando proprio nelle forme sopra ricordate, e vedono l’azione dell’U.E. informata coerentemente ai propri principi. Ne sono testimonianza le battaglie sostenute a Doha e a Cancun, in sede WTO (organizzazione mondiale del commercio).

Va però sottolineata una contraddizione non secondaria in questa strategia. L’U.E. si presenta nelle sedi di regolazione internazionale con un atteggiamento relativamente fermo di difesa del proprio modello agroalimentare fondato sulla qualità, scegliendo la multifunzionalità, per salvaguardare il consenso interno del mondo agricolo, e la sicurezza e qualità alimentare per mantenere il consenso dei cittadini.

Ma l’U.E., e ne abbiamo avuto conferma lo scorso anno a Bruxelles nel corso di una manifestazione unitaria tenuta dal sindacato italiano e con la partecipazione di tutto il sindacato europeo, per bocca della Commissione rifiuta ancora di inserire fra le sue regole interne la condizionalità degli aiuti al rispetto di leggi e contratti.

Non c’è chi non veda come questo sarebbe non solo un elemento di equità ma anche un formidabile strumento di controllo della qualità, in nome della quale si fanno le battaglie in sede internazionale, qualità che comprende la qualità sociale oltre a quella alimentare.

I risultati sono stati alterni, dunque, ma la posta in gioco è ancora altissima. Si tratta di stabilire se sia possibile evitare che qualcuno realizzi il controllo mondiale delle risorse alimentari, dopo quelle energetiche, e si riesca invece a raggiungere un equilibrio dei ruoli e del potenziale di ognuno.

 

L’Italia e l’Europa

 

Storicamente l’Italia è stata aggregata nel mercato occidentale col ruolo di Paese trasformatore. La risorsa ampia, disponibile e riconosciuta è sempre stata la manodopera, naturalmente per il basso costo. Siamo stati a lungo il Paese dove era facile e conveniente investire ma non potevamo rimanerlo per sempre e alle stesse condizioni.

E’ valso per l’entrata nell’area atlantica dopo la seconda guerra mondiale. E’ valso per l’ingresso nel Patto di Roma che gettò le basi per la costruzione del Mercato Comune Europeo. Ora non è più così.

Non costiamo proporzionalmente molto più di prima. Solo, è disponibile sul mercato ottima manodopera che costa infinitamente meno, ed insieme c’è un orientamento delle imprese a scegliere luoghi dove le regole siano meno rigide.

Il fenomeno della delocalizzazione produttiva, verso altri paesi “più convenienti”, si somma alla stagnazione creando un corto circuito che blocca e riduce l’occupazione.

Chi delocalizza è in grado di collocare la propria attività ovunque. Si tratta di attività che in genere non hanno legami forti col territorio. La sola Camera di Commercio di Timisoara, in Romania, annovera oltre 10.000 aziende italiane che hanno potuto costituire un Distretto attrezzato e potente.

In quell’ambito le aziende agroalimentari sono numericamente insignificanti, anche se non sembra così il volume d’affari. In ogni caso il comparto presenta una sua specificità che andrebbe meglio analizzata.

Se invece di andare a produrre in Africa, in Asia o in America Latina, si sceglie di farlo nell’Est Europeo, che è proporzionalmente molto più costoso di quei paesi, lo si fa per una serie di buoni motivi.

I costi del lavoro e della protezione sociale sono di gran lunga inferiori a quelli dell’U.E.. La stabilità politica è meno incerta di quella di paesi più lontani. La cultura industriale e la capacità professionale del personale dipendente sono storicamente consolidate da generazioni.

La vicinanza all’U.E. offre una notevole quantità di opportunità produttive e di commercio.

Ora si approssimano all’ingresso nel Mercato Unico Europeo ben 10 di quei paesi. Sono ancora fortemente competitivi ed entrano in un’area di applicabilità delle regole e delle norme europee interne che sarà progressivamente uguale per tutti.

La loro competitività interna, quindi, benché resti viva per un certo tempo, si attenuerà. Ma noi dovremo affrontarla da ora ad allora. Nel frattempo dobbiamo considerare che le risorse europee devolute al sostegno di attività produttive agroalimentati di qualità saranno divise tra 25 paesi anzicché tra 15, com’è stato finora, e questo crea ulteriori tensioni e problemi. 

La riduzione dei diritti dei lavoratori in cambio di posti di lavoro, politica aurea del governo Berlusconi e della Confindustria di D’Amato, non comporta alcun risultato positivo. Non è questa la soluzione.

Una nuova dirigenza Confindustriale può aiutare a ripensare quelle scelte, ma è fuori discussione che l’attuale interlocutore di governo non è adatto al cambiamento necessario a dare una diversa strategia ed una diversa efficacia alle scelte sociali ed economiche nazionali.

 

La Questione Alimentare

 

La questione alimentare, dunque, sia sul piano internazionale, sia sul piano interno, diventa uno dei punti cruciali delle relazioni.

La sovranità alimentare è la scelta con la quale l’Europa deve caratterizzare la propria politica per un modello di sviluppo sostenibile e solidale, a garanzia della propria e dell’altrui libertà.

Occorre comprendere l’incidenza del sistema agroalimentare nella determinazione dei nuovi scenari europei e mondiali, ed in questo ambito quale ruolo debba e possa giocare l’Italia, che in materia gode di un prestigio di lungo periodo e dispone di un apparato produttivo e di un territorio di grandi potenzialità. 

Come si realizzi il suo rapporto con la società locale attraverso le articolazioni di territorio e di filiera, nelle connessioni con problematiche essenziali come la sicurezza alimentare, la sicurezza sul lavoro, la tutela ambientale ed il loro sviluppo in termini di qualità.

Ed ancora come possa influire positivamente alla costruzione del modello di sviluppo sostenibile e solidale. Sostenibile e soddisfacente qua, nei nostri territori, dove possa offrire lavoro di qualità, e sostenibile e solidale dal punto di vista sociale, economico e culturale là, nei paesi poveri e in via di sviluppo, dove deve garantire innanzitutto il diritto di accesso al cibo ed i diritti essenziali di cittadinanza.    

 

Crisi dello Sviluppo Illimitato

 

La rivoluzione industriale fondata sulla crescita quantitativa non è ancora finita ma ha mutato la sua principale caratteristica, che si è trasformata da speranza di autosufficienza di vita dei popoli, a minaccia di collasso planetario.

In circa tre secoli, durante i quali ha trovato modo di affermarsi e diventare condizione di relazioni economiche, forma di vita sociale e cultura dominante, il sistema industriale è passato da modello di sviluppo e potenziamento dei paesi più ricchi, a modello di crescita universale.

Crescita universale per una sola specie, quella umana, che non accenna a porsi limiti, in un Pianeta che ormai mostra tutti i propri limiti quantitativi e qualitativi.   

Le caratteristiche negative, che hanno stigmatizzato la pericolosità di questo sistema di crescita, erano conosciute fin dall’inizio. Le esternalità produttive inquinanti per l’aria, l’acqua, il suolo o l’espansione urbana e produttiva, divoratrici di spazi vitali per l’agricoltura, o l’agricoltura, divoratrice di aree e territori naturali.

Di queste caratteristiche, inizialmente ritenute sopportabili, è stata a lungo nascosta la reale aggressività. Scienza ed economia ne erano consapevoli già dall’inizio del XX secolo. Al momento in cui essa era ormai evidente anche agli occhi della politica, fu imposto di sopportarla per ragioni di protezionismo economico nazionale e di occupazione. La crescita ammaliava le aspettative di tutti,

Ma negli ultimi cinquant’anni, venuto in evidenza anche il legame col sistema dei consumi, strettamente legati al saccheggio e allo spreco di risorse naturali non rinnovabili, è apparso sempre più chiaro che le dimensioni del problema e gli effetti aggressivi del modello erano diventati insopportabili, insopprimibili e pericolosi anche per le economie più potenti.

L’azione possibile richiedeva drastiche soluzioni da parte di tutti i paesi e i popoli del mondo, fino al cambiamento più radicale nel modello di sviluppo economico, delle forme di vita sociale e della cultura consumistica.

 

Sviluppo Sostenibile

 

Questo preciso punto ha costituito motivo di scontro, per decenni, tra sostenitori dello sviluppo senza limiti e sostenitori dei limiti dello sviluppo. Gli scontri si sono conclusi con l’accordo raggiunto nel 1987 nell’ambito della Commissione ONU per lo Sviluppo e l’Ambiente.

La relazione presentata dalla Presidente della Commissione, signora Bruntdland, propose l’idea dello “Sviluppo Sostenibile” come modello di mediazione. L’idea fu approvata ed il suo successo consentì di fare dei suoi contenuti la strategia della seconda Conferenza Mondiale per l’Ambiente, che l’ONU tenne a Rio de Janeiro nel 1992.

Questa mediazione è un atto forte che sottopone lo sviluppo, innanzitutto, alla sostenibilità ambientale, a quella economica e a quella sociale.

Anche i più accaniti sostenitori di un progetto di rinaturalizzazione del mondo, dopo un primo momento di smarrimento dovuto all’accettazione del princìpio dello sviluppo, hanno ridefinito i propri obiettivi puntando ora alla valorizzazione delle interazioni tra vita civile e vita naturale.

Un grande progetto di vita, dunque, è quello che abbiamo di fronte ormai da oltre un decennio. Ma proprio perché questo progetto è grande, le sue complicazioni non possono che essere all’altezza.

Innanzitutto non sarebbe realizzabile senza collaborazione e senza partecipazione.

Le raccomandazioni esplicite o sottintese, in ogni ambito delle decisioni assunte in materia di Sviluppo Sostenibile, sollecitano ogni soggetto interessato (istituzionale, economico o sociale) ad assumere in proprio l’impegno di orientarsi verso queste politiche e di partecipare alla loro realizzazione in collaborazione con gli altri soggetti del proprio territorio e del proprio paese.

Ogni realtà locale ha in sé le potenzialità per realizzare un proprio sviluppo sostenibile.

La collaborazione fuori dal proprio contesto territoriale, ed in particolare fuori dal proprio paese, deve essere chiarito come possa essere realizzata. Il brillante esito dell’idea, infatti, non ha risolto tutti i problemi. Fu evidente durante la stessa Conferenza di Rio.

 

Sviluppo Sostenibile e Solidale

 

Risolta la questione del modello generale, c’era una nuova e contestuale contrapposizione, tra i paesi poveri o in via di sviluppo e i paesi ricchi e sviluppati, che sta ancora oggi sul terreno del confronto perché la sua risoluzione non è stata assunta da tutti allo stesso modo. Da un lato “le responsabilità e i costi dell’inquinamento realizzato nei due secoli precedenti” e dall’altro “il diritto allo sviluppo, inteso anche come diritto all’inquinamento”.

Cina, India, Sud Est Asiatico, vari Paesi dell’Africa e dell’America Latina hanno sostenuto questa impostazione del diritto ad inquinare a favore di chi non ha avuto modo, fino ad ora, di produrre alcun danno sia per il proprio stile di vita, sia perché ridotto in condizioni di povertà e di sudditanza economica.

Per risolvere questo livello di scontro non bastano collaborazione e partecipazione. Nemmeno è sufficiente riconoscere all’altro una generica ed ideale pari dignità. Occorrono atti concreti di riconoscimento delle capacità produttive e di scambio acquistando i loro prodotti, sostenendo le loro economie.

È necessario però che ciò avvenga senza cedimenti al preteso diritto all’inquinamento. Se pari dignità può e deve significare pari diritto allo sviluppo, quest’ultimo non può che essere sostenibile.

E se non si può accettare che lo sviluppo non sia altro che sostenibile occorre costruire pari opportunità per l’accesso ad esso e condizioni di sostegno solidali. Questo ambito delle caratteristiche dello sviluppo sostenibile deve assumere un profilo di solidarietà, che è cosa altra dalla carità ma anche dall’inganno.

In questo senso, la scelta dell’UE di proporre un sistema di controlli istituzionali per la sicurezza alimentare, che si faccia carico di intervenire presso i produttori dei paesi poveri o in via di sviluppo, aiutandoli a rispettare fin dall’origine le modalità richieste dal sistema europeo a tutela della salute dei consumatori, garantisce che il prodotto realizzato risponda contemporaneamente alla sicurezza alimentare ed alla solidarietà.

 

Rivalorizzare il lavoro agricolo

 

Nel corso degli ultimi cinquant’anni si sono affermati concetti che hanno fatto interpretare al comune sentire dei cittadini che i lavori legati alla terra siano lavori socialmente ed economicamente di seconda categoria, quando non addirittura marginali o meramente integrativi di un’esistenza incentrata sul posto fisso, pubblico o privato che fosse.

Questi concetti hanno prodotto la rottura con la cultura delle passate generazioni. Da un lato i genitori hanno indotto i figli ad abbandonare la campagna, sognando per essi un destino “migliore” del proprio.  Dall’altro i figli hanno disprezzato il lavoro dei genitori e cercato altrove le ragioni del proprio futuro.

Sotto il profilo culturale, tutto questo ha impoverito non solo l’agricoltura, la montagna e le aree dette “marginali”, ma l’intera collettività. Saperi millenari, tramandati di generazione in generazione sono andati perduti. Risorse umane imponenti per quantità sono migrate verso altre regioni.

La conseguenza si è manifestata anche in termini di tutela del territorio. Quest’attività, prima realizzata dalla presenza di diffuse attività agricole e civili che assolvevano a funzioni di prevenzione, è affidata oggi a funzioni di protezione civile, che per natura sono orientate all’intervento in emergenza, quindi restano in attesa degli eventi anziché prevenirli.

Occorre darsi una strategia in grado di ricostruire un patto tra generazioni capace di recuperare i saperi e i valori della tradizione ma anche di offrire opportunità concrete ed a breve termine a nuove generazioni colte, dotate di un livello formativo più alto delle precedenti e proprio per questo capaci di fare buon uso delle conoscenze, della cultura, dei mezzi e delle risorse disponibili. 

 

PAC e Agroalimentare italiano

 

La Flai Cgil ha già fatto propri tali princìpi ed avviato un nuovo corso di politica sindacale, proponendosi di sostenere la questione agroalimentare come uno dei cardini dello sviluppo sostenibile e solidale per il nostro paese. Ma anche come parte integrante dell’ordito sul quale costruire un tessuto che renda economicamente, socialmente e culturalmente significativa una realtà nazionale qual è l’Italia, sia nel contesto europeo, sia in quello mondiale.

Il passaggio dalla scarsità all’abbondanza degli alimenti acquisito, nel corso degli ultimi cinquant’anni, con l’evoluzione delle condizioni economiche generali e delle tecnologie agricole ed industriali, col protezionismo economico del sistema agricolo, in particolare, e con le importazioni ad integrazione, soddisfano tre dei quattro pilastri della sicurezza alimentare: la disponibilità, l’approvvigionamento stabile, la possibilità di accesso.

Le mutate condizioni interne europee e le nuove regole del commercio mondiale inducono nuovi adattamenti della PAC verso un modello multifunzionale di agricoltura, con lo spostamento graduale da obiettivi meramente produttivistici e quantitativi ad obiettivi qualitativi delle produzioni, dell’ambiente, dello sviluppo rurale del territorio.

Vengono così  in maggiore evidenza i problemi connessi al valore d’uso degli alimenti, dal punto di vista della salubrità e della qualità, messe in discussione dagli eccessi dell’intensivazione produttiva e dalla circolazione di merci lungo filiere produttive complesse e scarsamente trasparenti.

Non si tratta di un impegno gestibile limitatamente attraverso “tecniche” igienistiche, per la sicurezza o “manuali” per la qualità. Si tratta di una vera e propria rivoluzione produttiva, sociale ed economica governata.

 

Qualità e Quantità

 

Se la scelta produttiva quantitativa si è dimostrata un errore strategico nel lungo periodo, è bene riflettere sul rischio che anche la qualità potrebbe diventarlo. Va quindi precisato che non si tratta di abbandonare un modello per un altro, ma della necessità di armonizzare le relazioni tra i diversi aspetti, soggetti, interessi, innestando la qualità sulla radice della sicurezza accertata senza limitare eccessivamente le potenzialità produttive.

Si deve capire che fare solo prodotti di qualità, più costosi dei prodotti senza qualità, provoca problemi di accettabilità per lo stesso sindacato. I milioni di lavoratori e di pensionati a basso reddito, specie quelli che si iscrivono al sindacato ritenendo questo come un utile e fondamentale strumento di autotutela, non cercano la costosa “alta qualità”.

Sono, ovviamente, costretti ad accontentarsi di prodotti cui sia applicata la sicurezza alimentare, che desiderano certificata, e che possono trovare anche nei prodotti industriali di massa. Perché non offrire loro una qualità limitata ma certa?

Il problema è quello di introdurre nel sistema produttivo agroalimentare italiano un contenuto di qualità minima di sistema (vedi Patto Cnel[3] ) accessibile alla moltitudine dei cittadini a basso reddito. Chi avendo reddito più elevato o voglia di soddisfare un desiderio, volesse una qualità maggiore potrà senz’altro trovarla nell’offerta generale, nell’ambito della quale è presente una vasta gamma di livelli di qualità.

 

Europa e Mediterraneo  

L’U.E. deve dimostrare che la propria strategia sia capace di diventare appetibile non solo per chi può entrare nei suoi confini per integrarsi, ma anche per chi abbia tutte le ragioni per rivendicare la propria sovranità e libertà.

Sviluppo sostenibile e solidale, dunque, come arma di conquista ideale, culturale e tuttavia riconoscimento della concreta realtà produttiva locale e forma di scambio e rispetto sul piano internazionale.

Per una siffatta strategia c’è bisogno di volontà e convinzione ma anche di alleanze e sostegni.

Tutte si ottengono se si è aperti alla comprensione delle esigenze di coloro coi quali si convive o che si scelgono per una causa comune.

Una strategia europea pensata per il centro-nord continentale ha finito col marginalizzare l’area meridionale del continente. E’ già successo nel nostro piccolo mondo italiano. Non è auspicabile che si riconfermi una simile politica anche per l’U.E..

Non lo è per i paesi coinvolti (Portogallo, Spagna, Italia, Grecia), ma neanche per questa strategia europea, che per affermarsi deve necessariamente rivalutare il ruolo del proprio Meridione ed agganciare relazioni forti con tutti i paesi presenti nell’area vasta del Mediterraneo.

Quale successo potrebbe avere una politica che, nel pretendere d’affermarsi per il reciproco interesse tra paesi lontani, non fosse in grado di dimostrare la propria utilità e praticabilità nei confronti delle proprie aree interne e dei paesi confinanti?

 

Meridione d’Italia e Sicilia

 

D’altro canto, il Mediterraneo è già un’area individuata come scenario di nuove e proficue relazioni. Il Meridione d’Italia, in testa la Sicilia, potrebbe assumere il ruolo di punta avanzata dell’U.E. nel quadro delle relazioni commerciali in quest’area.

Il sistema meridionale nella sua organicità, nonostante le grandi potenzialità presenti, non riesce a decollare, a proporsi come interlocutore socio-economico attendibile.

Su questo terreno chiediamo di costruire il confronto tra noi e gli altri, ricordando che con l’allargamento dell’U.E. a 25 diminuiscono i margini di protezione che finora hanno garantito, ad esempio all’agricoltura, una tranquilla sopravvivenza al riparo dalla concorrenza.

Non ci si potrà lamentare, nel prossimo futuro, di una mancata tutela. La concorrenza dei paesi mediterranei dell’Africa e del medio Oriente saranno il parametro dell’efficienza produttiva e dell’efficacia economica del nostro sistema. Come misurarsi con quelli?

Occorrono strumenti e strategie adeguati. Noi pensiamo di dare a queste un contributo originale. Limitato, forse, ma valido. Per questo pensiamo ad un Comitato Tecnico Scientifico ed un Osservatorio che producano analisi e proposte. Ad essi proponiamo il nostro sostegno organizzativo e di traduzione negoziale senza riserve, verso le istituzioni e gli interlocutori economici a tutti i livelli.

Al Mondo Accademico, a Voi che oggi siete qua con noi, chiediamo di assolvere al ruolo di ganglio chiave della rete meridionale che intendiamo attivare per valorizzare e coordinare la produzione culturale esistente in funzione di obiettivi socialmente condivisibili.

La nostra risposta risiede nella strategia europea della qualità e della sicurezza, ma come si costruisce ? Come si misura ? Come si certifica ?

Su queste materie quante tesi si danno nelle nostre Università meridionali ? Chi ha osservato lo straordinario successo del vino siciliano nel mercato internazionale ?

I vini “di muovo canone”, prodotti fuori dalle norme previste per le Denominazioni di Origine Controllata, DOCG, oppure DOP, o IGP, sono comunque vini straordinari. Come è avvenuto ? Perché questo metodo si diffonde in tutt’Italia ? E’ possibile proporre una tesi su queste nuove frontiere della qualità ?

Ancora più intrigante sarebbe comprendere quali strategie consentano di sviluppare armonicamente un territorio che contenga al suo interno un parco naturale. Le Madonìe sono per noi un possibile laboratorio di tutte queste politiche.

Nella nostra tradizione, il movimento sindacale elabora idee e strategie sulla base di un’esperienza pratica e di una percezione sociale. Ma quello che ora serve è disporre di Analisi e Valutazioni Scientifiche derivanti da una Ricerca autorevole..

Energia e Acqua: due macroproblemi. Non occorrono begli affreschi, ma un modo nuovo di invitare le giovani generazioni a riguardare il proprio territorio.

Proviamo a giocare anche la carta di riconoscimenti e sostegni agli autori di tesi importanti..

 

Il Sapere

 

C’è bisogno, insomma, di un soggetto capace di orientare e trainare gli altri in questo mare magnum. Pensiamo quindi ad un Comitato Tecnico Scientifico, referente culturale, che ci aiuti a comprendere come si possa costruire, aggiornare, migliorare una strategia di questo tipo.

Non lo pensiamo come uno strumento centralizzato, bensì articolato sul territorio nazionale. Costituito in forma policentrica. Portatore di valori e capacità diversi tra loro e per questo in condizioni di naturale dialettica.

Si tratta di non limitarsi agli aspetti economici, produttivi e sociali delle problematiche del comparto, ma di affrontare nel complesso il fenomeno degli avvenimenti mondiali e locali per interpretarne il senso, comprenderne l’evoluzione, ipotizzarne gli sviluppi futuri ed individuare i nuovi ambiti di impegno consoni al ruolo di un sindacato moderno.

Vorremmo che su questi temi fossero realizzate ipotesi nuove, frutto di una elaborazione autorevole, dal punto di vista scientifico e filosofico, irreprensibile, sotto il profilo dottrinale.

Offriamo la nostra Rivista “AE”, insieme alle nostre opportunità organizzative e relazionali, come luogo di riflessione e strumento di proposta.

Non l’unico, ma uno di quelli significativi per la relazione fra Lavoro e Sapere. 

 

 

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[1] Lester Thurow in “Testa a Testa: USA – Germaia – Giappone a confronto nel nuovo scenario globale” Mondadori 1992.

Stiglitz: “Gli scontenti del globalismo” 2003

[3] L’8 luglio 2002 le Associazioni Imprenditoriali e le Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori Dipendenti dell’intera filiera agroalimentare italiana hanno sottoscritto il “Patto per la Sicurezza e la Qualità Alimentare”.


[1] Lester Thurow in “Testa a Testa: USA – Germaia – Giappone a confronto nel nuovo scenario globale” Mondadori 1992.

Stiglitz: “Gli scontenti del globalismo” 2003