CONVEGNO PALERMO 21 GENNAIO 2003

Il titolo proposto per l’odierna iniziativa utilizza il termine orizzonti, ciò si può prestare a varie interpretazioni, quella fisica, cioè fare riferimento alla linea irreale e suggestiva fra il cielo ed il mare e si potrebbe pensare ci si rivolga ad una nuova centralità del Mediterraneo e dei popoli e delle comunità che sulle sue sponde sono insediati, o con l’aggiunta del termine meridionale ci si potrebbe spingere giù giù fino all’orizzonte inteso come il circolo massimo della sfera terrestre e quindi la necessità di ampliare la complessità dei nostri ragionamenti e delle nostre riflessioni, ma per orizzonti si può anche intendere la dimensione, l’ampiezza non solo delle conoscenze ma soprattutto delle aspirazioni e delle idee.

Quindi la complessità del tema è ben identificata e riassunta dal titolo che con lo stesso sinonimo contemporaneamente riesce a rappresentare diversi e complessi scenari.

La complessità dell’argomento non è solo di carattere geofisico cioè teso a definirne l’ampiezza, ma sotto più e diversi profili si può disquisire sul ruolo non solo economico ma preminentemente politico cui potrebbe assolvere la Comunità Europea nell’attuale contesto internazionale, o del come affrontare le grandi disuguaglianze, le grandi povertà, le grandi odierne contraddizioni.

Della pregnanza specifica del sistema agroalimentare, per l’affermazione di diritti primari assoluti, fondamentali come quello alla vita, intendendo con ciò proprio il diritto all’esistenza fisica, oggi diritto negato a centinaia di milioni di persone.

Oggi più che mai è necessario riuscire ad affermare il principio che le contraddizioni devono essere affrontate e risolte attraverso il dialogo, il confronto e non con l’uso della forza, attraverso l’individuazione di regole condivise che riescano a tutelare i deboli ed a limitare lo strapotere dei forti.

Non ci può essere nessuno sviluppo civile, economico, sociale in realtà sono segnate da forti instabilità politiche e militari.

La scelta da compiere in modo convinto è quella che prevede una corretta integrazione delle economie sorretta da un sistema di regole e da un ruolo nuovo e diverso delle istituzioni sovranazionali.

Rendere trasparenti i processi, stabilire le regole, rendere cogente il ruolo degli organismi sovranazionali è decisivo perché si affermi la potestà statuale nel governo dei processi.

Questo rappresenta il vero snodo della globalizzazione, quale segno caratterizzerà il processo quello dell’oppressione e dello sfruttamento degli uomini e delle risorse o quello che punta ad uno sviluppo equo, solidale e sostenibile.

L’Europa può rappresentare il motore di questo processo, può assurgere ad un ruolo primario nel contesto internazionale, ciò in considerazione non solo di quello che ha rappresentato la vecchia Europa ma a partire da quanto è stato definito a Nizza in tema di diritti, puntando ad affermare e realizzare un modello sociale europeo su cui misurarsi e confrontarsi nel contesto internazionale.

Su questi temi sia per la dimensione che per la competenza sarà interessante ascoltare il compagno Nerozzi io mi limiterò invece ad alcune riflessioni sul tema posto al centro dell’odierno dibattito così come definito da Italo nell’introduzione ai nostri lavori l’agroalimentare di qualità come una leva per un nuovo sviluppo eco-compatibile del Mezzogiorno.

Traguardando questo obiettivo mi limiterò ad alcune considerazioni su argomenti che interagiscono direttamente con questo tema.

Dalla politica agricola comunitaria, alla sua ipotesi di revisione anche in considerazione dell’allargamento della comunità da una parte e dalla costituzione dell’area di libero scambio nel Mediterraneo dall’altra, dal ruolo che in questo contesto può assumere l’agroalimentare italiano, dalla mobilità crescente delle persone, dai diritti di cittadinanza e del lavoro.

Dobbiamo ribadire non solo la necessità ma anche l’urgenza di procedere ad una profonda revisione della P.A.C., per orientare in modo diverso la spesa.

Vanno contrastati i tentativi di sterile conservazione dell’esistente portati avanti ad esempio da alcune associazioni datoriali italiane, quali la CIA e la Confagricoltura.

Nulla sarà come prima, la decisione assunta a Bruxelles lo scorso 24 – 25 ottobre prevede l’introduzione graduale degli aiuti diretti P.A.C. nei paesi Peco a partire dal 25% del livello degli aiuti concesso ai 15 paesi membri dell’Unione nel 2004 fino a raggiungere il 100% nel 2013.

Questa graduale estensione degli aiuti ai Peco dovrà avvenire in un quadro di stabilità finanziaria che prevede il rispetto dei massimali stabiliti a Berlino per l’agricoltura dei 15 stati membri con in aggiunta le spese per l’allargamento fino al 2006 ed il congelamento a livello di importo 2006 di questa spesa.

In termini nominali l’importo dovrà essere inferiore a quello del 2006 aumentato dell’1% l’anno, in sostanza l’importo delle risorse destinate nel 2006 a finanziare le spese a 15 membri aumentate dell’1% dovranno bastare a finanziare le spese agricole, escluso lo sviluppo rurale dell’UE a 25 per il periodo 2007-2013.

Il secondo aspetto riguarda i fondi strutturali, molte regioni che attualmente ne beneficiano rischiano di doverne fare a meno dopo il 2007.

Il problema riguarda la Basilicata e la Sardegna che nel periodo di riferimento 2001-2003 supereranno la soglia di reddito pro capite pari al 75% della media UE per rientrare tra le regioni Obiettivo 1.

L’Abruzzo ed il Molise sono già fuori, resterebbero Campania, Puglia, Calabria e Sicilia a distribuirsi una fetta senz’altro più piccola dei fondi europei per le aree in ritardo di sviluppo perché i nuovi entrati ricadono tutti nell’Obiettivo 1.

La consapevolezza di questo scenario ci deve spingere per intervenire subito nella revisione della PAC per orientarla in direzione della promozione della qualità dell’intera filiera agroalimentare, intendo per qualità non la sola immagine bensì la sicurezza e la salubrità dei prodotti destinati all’alimentazione umana.

In questo quadro è utile, indispensabile procedere presto e bene alla revisione della PAC come sostenuto dalla Commissione nel cui documento si individuano questi obiettivi come prioritari.

Dobbiamo respingere il tentativo che punta a rinazionalizzare i sostegni all’agricoltura puntando viceversa a sostenere un’agricoltura di qualità orientata al mercato migliorando la competitività dell’agricoltura europea promuovendo un’agricoltura sostenibile e rafforzando lo sviluppo rurale.

A tal fine ci pare opportuno evidenziare che il disaccoppiamento deve avvenire attraverso criteri definiti, regole certe, indirizzi ed obiettivi stabiliti in materia di tutela ambientale, sicurezza alimentare etc., non può trasformarsi in una semplice riedizione della rendita fondiaria.

Inoltre andrebbero opportunamente previste misure più puntuali ed efficaci con carattere premiante rispetto all’occupazione, al lavoro dipendente, alla sua qualità.

Al fine di sostenere l’aumento della competitività sui mercati mondiali è opportuno orientarsi verso produzioni di qualità non riferendoci al singolo prodotto ma per intero alle filiere e all’intero sistema produttivo, dalle infrastrutture materiali e immateriali, all’accesso al credito, ai processi di ammodernamento degli aspetti societari e di impresa, al ruolo fondamentale della ricerca, alla qualificazione dei soggetti partecipanti al processo produttivo, alle politiche di contrasto della criminalità.

E’ importante la riconoscibilità del prodotto non solo attraverso la valorizzazione di singoli marchi ma come capacità di interi territori e sistemi produttivi di essere riconosciuti ed opportunamente valorizzati.  Quindi non solo singoli casi di eccellenza o un’estensione dei riconoscimenti delle denominazioni di origine ma puntando a far crescere e sviluppare interi territori valorizzando l’esperienza positiva che già oggi è possibile verificare in alcuni distretti sviluppatasi spontaneamente, mentre sarebbe opportuno che il Governo avesse un’idea di sviluppo industriale.

Questa condizione infatti oggi non c’è, esistono solo alcuni tentativi portati avanti da singole regioni proprio attraverso l’utilizzo di risorse europee.

Va assunto come inderogabile il principio della sostenibilità come valore assoluto, esso va declinato consapevolmente nei vari ambiti territoriali e produttivi.

Anche in ragione di ciò è sbagliato immaginare arcadiche interpretazioni del ruolo dell’impresa agricola quale tutore e difensore di per sé del paesaggio, dell’ambiente e dello sviluppo rurale.

Il concetto va rovesciato è l’impresa  agricola che deve essere obbligata al rispetto dei parametri via via definiti di sostenibilità in rapporto all’esercizio delle sue attività.

Questo concetto metodologicamente va rapportato anche allo sviluppo rurale, le imprese agricole non sono di per se votate alla contemplazione bucolica della natura, ma costituiscono soggetti obiettivamente votati allo sfruttamento delle risorse ed alla trasformazione del territorio e del paesaggio.

Quindi vanno premiati solo quei comportamenti virtuosi rispetto agli obiettivi citati e coerenti con le politiche ed i programmi di governo del territorio  e delle risorse che il pubblico si dà.

Un esempio emblematico di questo ragionamento è rappresentato dal comparto della pesca in cui il Governo nazionale e le Associazioni datoriali gareggiano per primeggiare sul come sostenere politiche di mero assistenzialismo che non garantiscono futuro agli operatori, ai lavoratori, al mare ed alle sue risorse alieutiche.

E’ importante che la riforma della politica comune della pesca sia improntata a conservare le risorse del mare preservando l’equilibrio dell’ecosistema marino, unico modo per garantire anche nel futuro la possibilità di lavoro nel settore.

Il nostro paese bagnato quasi interamente dal mare ha importato pesce nell’anno 2001 per più di 4.500 mld di vecchie lire esportandone per poco più di 400 mld, ciò per considerare in modo corretto l’importanza dei settori produttivi e dei riflessi sociali ed economici.

Per tutti questi motivi risulta evidente che non solo è utile ma occorre intervenire in modo tempestivo. Questo scenario in grande movimento può rappresentare una grande occasione per il Mezzogiorno d’Italia, se esso nel suo insieme riuscirà a cogliere questa grande opportunità puntando ad una valorizzazione diffusa delle sue attività economiche e produttive lavorando perché tutte le energie, le capacità, le risorse vengano convogliate, indirizzate, governate si facciano sistema esse stesse, galvanizzando ed alimentando in questo modo tutte le opportunità d’impiego delle conoscenze e delle risorse di tutti i settori.

Ciò è maggiormente vero nel comparto agroalimentare dove già oggi la competizione è su livelli di qualità elevata, una migliore qualità riconosciuta del prodotto consente una maggiore resa, un maggiore valore aggiunto, considerando anche che il nostro mercato di riferimento ad esempio delle esportazioni si compone di paesi che si collocano in una fascia di reddito marcatamente alta costituita per oltre il 90% da paesi del centro Europa, del nord America ed il Giappone.

In un simile contesto non si può ad esempio convenire su sistemi atti a garantire tracciabilità e sicurezza alimentare nella filiera carni ed avere oltre 2000 macelli autorizzati in Italia o vedere intere pagine di giornali piene di notizie come quella di Salerno di questi giorni

E’ da rilevare l’assoluta incapacità del Governo di guidare positivamente con adeguati sostegni politici ed economici questi processi il quale alimenta invece di contro politiche di mera conservazione delle rendite di posizione e degli interessi consolidati.

Come interpretare le dichiarazioni di qualche giorno fa del Presidente del Consiglio, fortunatamente non più ministro degli esteri ma solo avvocato della Turchia,  il quale ancora una volta ha messo in berlina l’Italia dichiarando che Eurostat non è attendibile e che è impossibile che in Italia si sia registrato un aumento del pil del solo 0,4%.

Cito testualmente: “stiamo rifacendo i conti, sarà necessario rivedere il paniere su cui si calcola il prodotto interno lordo.  Dopo questa revisione potremmo collocarci in Europa in una posizione assolutamente migliore di Francia e Germania”

Forse sarebbe più utile lavorare per reprimere l’evasione contributiva, fiscale ed il lavoro nero al fine di aumentare il prodotto interno lordo del paese, quella è ricchezza vera sottratta a noi tutti, o al limite si potrebbe concordare su una revisione delle voci del  paniere utili al rilevamento dell’inflazione in Italia.

Anche in ragione di ciò è quanto mai opportuna la decisione della CGIL di indire lo sciopero generale dell’industria per il 21 febbraio teso a contrastare il declino industriale del paese.

In questo scenario è ancora più drammatica la situazione del Meridione in virtù di alcuni provvedimenti legislativi tendenti a scardinare la coesione del paese, ad un generale abbandono di politiche di contrasto dell’illegalità, di penalizzazione delle autonomie locali, di una riduzione degli investimenti, del taglio drastico degli incentivi per la nuova occupazione passati da 1.200.000 di vecchie lire per addetto per 3 anni a meno della metà nell’ipotesi migliore prevista per gli ultra 45enni, o ad un quarto per gli altri.

Siamo fortemente preoccupati per lo scenario che si prefigura frutto delle politiche sul mercato del lavoro portate avanti dal Governo.

Questo appare l’unico ambito in cui si stanno realizzando obiettivi liberisti tendenti alla totale disarticolazione della società, alla precarizzazione dei rapporti, al venir meno della funzione solidaristica dello stato.

Questo disegno va contrastato non solo per ragioni etiche ma anche per motivazioni economiche, nessuna prospettiva di sviluppo sostenibile e solidale è compatibile con le politiche di questo Governo.

Affrontare la competitività misurandosi su due parametri i diritti ed il  costo del lavoro ci porta inevitabilmente a competere giù giù fino alle società schiavistiche non può essere certo questa un’utile prospettiva, l’unica cosa certa è che a quel punto avremmo risolto, una cosa che sta molto a cuore ai nostri governanti, l’immigrazione, nessuno sarebbe certo disposto a venire a lavorare in Italia e si aprirebbero a quel punto le nostre frontiere verso l’emigrazione.

E’ sbagliato ed economicamente improduttivo non solo questo ragionamento ma anche quello relativo ad un abbassamento della soglia dei diritti e del salario per alcune aree così come proposto per ultimo da Maroni, per più motivi.

1)    Perché, come dicevamo prima,  alla competizione al ribasso non c’è limite,

2)    perché l’83% dei cittadini europei pone al primo punto della scelta di acquisto nel nostro caso di prodotti alimentari, la garanzia di sicurezza degli alimenti, poi l’indicazione del marchio e successivamente l’indicazione del prezzo

3)    perché i nostri attuali concorrenti sono tutti paesi dove il costo del lavoro complessivamente inteso è quasi sempre superiore al nostro.

La sfida deve essere orientata sulla qualità delle produzioni, delle filiere, e dell’intero sistema produttivo.

Uno dei fattori determinanti di una produzione di qualità è rappresentato dal lavoro che non può essere considerato come momento di precarietà dei rapporti di lavoro, di non professionalità, di basse remunerazioni di marginalità ma l’esatto contrario come un elemento certo e affidabile e quindi necessariamente stabile, professionale, adeguatamente considerato e retribuito, svolto in condizioni di sicurezza.

Siamo convinti della necessità, dell’importanza del valore del lavoro come fattore indispensabile della produzione, dei processi di trasformazione, per questo contrastiamo quanto previsto nell’articolato in discussione in queste settimane alla Camera in cui il lavoro ed i lavoratori vengono definiti più volte come merce, e non ci convince nemmeno il fatto di essere spesso considerati invisibili come gli gnomi ed i folletti come ama sostenere un nostro compagno che lavora sulle montagne della provincia di Siena.

E’ importante altresì sottolineare il ruolo decisivo di una produzione che abbia alla base il principio dello sviluppo sostenibile e quindi non solo rispettosa dell’ambiente, del territorio, delle risorse naturali (acqua, suolo, aria, ecc.) ma che faccia di questo concetto un volano utile per la valorizzazione delle produzioni, dei luoghi, contribuendo ad un reale sviluppo delle aree territoriali.

Un contesto che punti alla crescita economica e civile diretta alla valorizzazione della persona umana e del suo ambiente di vita, che connetta strettamente tutela del territorio, sicurezza alimentare e qualità delle produzioni.

Un grande ruolo può essere svolto in rapporto ai paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo.

L’attività deve essere rivolta al superamento degli squilibri unico elemento che può impedire gli spostamenti involontari delle popolazioni, a tal proposito non è irrilevante considerare anche il fatto che statisticamente, mantenendo gli attuali tassi di natalità gli italiani si ridurranno nel 2050 da 57 a 41 milioni, con tutti i problemi relativi all’invecchiamento della popolazione.

Pensare di mantenere gli standards produttivi attuali senza l’immissione di nuova forza lavoro è impensabile, pensare di tenere un atteggiamento come quello del Governo volto ad utilizzare, spremere, sfruttare è non solo eticamente poco condivisibile ma economicamente sbagliato.

Dobbiamo convincerci che diventeremo sempre più una società multietnica e che dobbiamo assumere la diversità come un valore ed orientarci non verso politiche di semplice integrazione ma di cittadinanza universale.

Questo sul piano interno, ma parimenti occorre lavorare per il superamento degli squilibri per l’affermazione non solo dei diritti fondamentali ma dell’insieme degli standards sociali e dell’adozione di efficaci politiche di cooperazione.

Operare per rendere universali i diritti, le opportunità, le tutele, le protezioni, al fine di coniugare lo sviluppo, la crescita economica, la liberalizzazione dei mercati con un’equa redistribuzione delle risorse, del reddito, delle opportunità.

L’affermazione di questi processi, il governo di essi, la loro caratterizzazione segneranno i destini dei prossimi decenni, sia sul piano internazionale che su quello interno.

L’Italia ed il suo mezzogiorno, e non solo perché si ritroverebbe geograficamente al centro di questo nuovo scenario, deve essere interessata ad una conclusione positiva di questo processo, da esso può trarre grandi opportunità di sviluppo e di crescita.

Un aggregato simile per popolazione, per valenza economica, può assurgere ad un grande ruolo nel contesto internazionale.

Fondamentale sarà il ruolo delle conoscenze, il segno di esse, il loro utilizzo.

Noi lavoreremo perché attraverso il moltiplicarsi delle relazioni e degli scambi non si cerchi di imporre modelli economici, culturali, attraverso cui esercitare il controllo, il dominio, ma essi siano forieri per l’affermazione dei diritti fondamentali e per l’adozione di efficaci politiche di cooperazione.