CONFERENZA "MEZZOGIORNO E SOSTENIBILITÀ NELLE POLITICHE EUROPEE"

"Il contesto: allargamento e scadenze euromediterranee"

Intervento di Silvia CALAMANDREI

Capodivisione della Sezione Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente

del Comitato economico e sociale dell'Unione europea

 Palermo, 21 gennaio 2003

 

 

 

         Ringrazio anzitutto la FLAI dell'invito al Comitato economico e sociale dell'Unione europea, organo consultivo delle istituzioni europee ed espressione delle organizzazioni socio-economiche e delle associazioni della società civile a livello europeo, del quale il vostro Segretario generale Franco Chiriaco è membro nell'ambito della delegazione italiana. Ho ascoltato con molto interesse le relazioni introduttive su Agricoltura, agroalimentare e mezzogiorno e l'intervento del Professor Spataro sulla dimensione euromediterranea e mi permetterò di aggiungere qualche considerazione agli importanti elementi di riflessione offerti.

 Il contesto

          Se si considerano le priorità attuali dell'Unione europea, ed il contesto globale nel quale si inseriscono, non è facile affrontare con ottimismo i temi del Mezzogiorno e della sostenibilità, ma direi meglio dell'Europa ed il Sud, inteso anche nella sua proiezione mediterranea, nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile. Saranno temi a cui la presidenza greca ed italiana del Consiglio daranno sicuramente impulso, confrontandosi con tematiche di grande impatto nel bacino mediterraneo come la riforma della pesca e la revisione della politica agricola comune, entrambi attraversati dalla tematica della «sostenibilità » ; ma è evidente che le scadenze imminenti dell'allargamento, con la ridefinizione dei meccanismi istituzionali e decisionali in corso nella Convenzione europea, il contesto economico internazionale ed i venti di guerra che spirano condizionano pesantemente l’iniziativa su questo terreno.

          L'Europa ha appena finalizzato i negoziati sull'allargamento e sta preparandosi, attraverso una ridefinizione dei suoi meccanismi istituzionali, decisionali e finanziari, ad operare come Unione allargata, con un salto da un'Europa a 15 ad un'Europa a 25. E' un orizzonte nuovo che si apre e che muterà in profondità gli assetti esistenti: dall'Europa dei padri fondatori degli anni '50 ad un'Europa che supera le frontiere della guerra fredda e si ricentra e posiziona in un mondo globalizzato, nel quale nuovi possibili conflitti si annunciano.

          La sostenibilità nel senso di coerenza tra aspetti ambientali, economici e sociali, dovrebbe essere il punto di riferimento del modello europeo, già da verificare al prossimo Consiglio di primavera; ma l'ambizione e gli impegni presi di fronte alla Conferenza di Johannesbourg sullo « sviluppo sostenibile » si confrontano con il ritardo nell'attuazione della stessa strategia di Lisbona, mentre l'orizzonte europeo si amplia a 10 nuovi paesi.

          Presentando al Parlamento europeo la relazione preparata dalla Commissione per il Consiglio di primavera, il Presidente Prodi ha intitolato il suo discorso « Investire nella conoscenza : la strada dello sviluppo », sottolineando che dopo i risultati acquisiti nel 2002 con l’introduzione dell’euro e le decisioni sull’allargamento, il 2003 si annuncia come cruciale per le riforme istituzionali, ma soprattutto per dare alla nuova Europa « fondamenta economiche e sociali più solide ». La strategia di Lisbona marca dei ritardi ed il processo non è uniforme, e soprattutto resta cruciale « l’investimento nella conoscenza e nell’innovazione », presupposti della « crescita, della competitività, dell’occupazione e di un ambiente più vivibile. Sarebbe un errore « rimandare questo tipo di investimenti per far fronte a problemi che sembrano più urgenti » ; il processo va portato avanti « nonostante la doppia sfida dell’allargamento e dell’incerta congiuntura economica ».

Quella che esce dalle decisioni del 2002 è un’ Europa che si proietta verso l'est ed il nord, completando al contempo la presenza nel Mediterraneo con l'inclusione di Cipro e Malta e lasciando aperto il problema dei negoziati con la Turchia. Quali orizzonti nuovi si aprono nel delicato gioco degli equilibri europei, nei quali per lungo tempo l'asse franco-tedesco ha assicurato la continuità decisionale? E come si posizionano le regioni del Sud Europa in questo contesto?

Sul fronte del cosiddetto « processo di Barcellona », lanciato nel 1995 e volto a creare un’area euromediterranea di “pace e prosperità” in partenariato con i 12 paesi che si affacciano sul Mediterraneo si registrano progressi, quali il recente accordo di Agadir sottoscritto l’11 gennaio tra Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia per la creazione di una zona di libero scambio; ed è evidente l’importanza di questi sviluppi e di questo partenariato per le regioni del Mezzogiorno di Italia. Ma è altresì evidente quanto pesino i conflitti e le tensioni nell’area, così come la capacità di apertura dell’Europa ai flussi di migrazione da questi paesi. Non è un caso che la presidenza greca dia molta importanza al tema di un approccio comune alla questione dei flussi migratori. In alcune fasi, quando il processo di pace in Medio Oriente sembrava decollare, le occasioni di partenariato si sono moltiplicate e consolidate, anche su terreni come quello della protezione delle risorse ambientali e dello scambio di know-how: un partenariato mediterraneo per la sostenibilità è un processo essenziale per contribuire alla crescita sostenibile a livello globale, ma esso cresce e si rafforza solo in un clima di pace e stabilità dell’area.

Le preoccupazioni appena espresse dal Presidente Prodi sul ruolo dell'Europa a livello internazionale, riportate oggi dalla stampa, devono farci tutti riflettere.

Sarà difficile, anche se non ne mancano le occasioni, ivi compresa una conferenza sulle risorse alieutiche nel Mediterraneo preannunciata per il secondo semestre del 2003, sotto presidenza italiana, controbilanciare la priorità della preparazione all’allargamento con l’impulso ad un processo che stenta a consolidarsi, ma che dovrebbe fare del Mezzogiorno una “piattaforma” privilegiata di comunicazione e di scambio nella cooperazione ed integrazione economica mediterranea. Ma le opportunità vanno sfruttate, e le regioni del Sud si sono dotate di un programma ambizioso di sviluppo nell’ambito di Agenda 2000 che le pone in condizioni di svolgere il ruolo che loro compete.

 

Agenda 2000 e Programma di sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006

Le regioni in ritardo di sviluppo dell'Europa meridionale hanno finora beneficiato di interventi strutturali che ne favorissero la crescita. Queste risorse andranno ridistribuite su un fronte molto più ampio, con differenze di reddito procapite significative che moduleranno diversamente le priorità di intervento. Da aggiungere che i nuovi paesi aderenti hanno una percentuale più elevata di attività agricola rispetto alle medie degli attuali 15 e che dunque la Politica agricola comune, pilastro fondamentale della primitiva costruzione europea necessita di profondi adattamenti.

La consapevolezza di questa prospettiva è stata  presente nell'esercizio compiuto per Agenda 2000 e per la programmazione dei fondi strutturali 2000-2006, quando attraverso un largo dibattito tra le forze politiche, le autorità regionali e locali e le rappresentanze economiche e sociali e della società civile vennero definiti in Italia, a partire dalla conferenza di Catania del dicembre 1998, quegli “orientamenti per il programma di sviluppo del Mezzogiorno” che fissano l’orizzonte fino al 2006. Questo esercizio è in corso d’opera e già siamo alle prime valutazioni del percorso compiuto, nella prospettiva della revisione a metà percorso. L’ambizione progettuale iniziale, che implicava forti elementi di discontinuità e rottura rispetto al passato, e lo sforzo di programmazione che ha visto impegnate le autorità nazionali e regionali, ed i partner economico-sociali nonché le associazioni della società civile, si misura ora con le capacità effettive di realizzazione e già si individuano elementi di criticità da correggere.

Lo sforzo di mettere in piedi un approccio partecipativo, che integrasse fortemente la dimensione dell’impatto ambientale, dotandosi altresì di una strumentazione operativa quale la rete delle autorità ambientali, è stato indubbiamente premiante laddove meglio sono state aggiornate le competenze amministrative e tecniche e coinvolte effettivamente le forze vive sul terreno, praticando e garantendo continuità al partenariato in tutte le fasi. La valutazione preventiva, ex ante, dello stato dell’ambiente, al fine di poter monitorare gli impatti dei progetti, elemento indispensabile per l’adozione dei piani, si è scontrata nella fase iniziale con la debolezza della struttura dei controlli  ambientali esistenti nelle regioni del Sud, ed ha imposto la messa in opera di task force e di percorsi accelerati di formazione degli amministratori al fine di dotare queste regioni delle autorità ambientali e delle agenzie regionali di protezione dell’ambiente già operanti in gran parte del Centro Nord.

Nello slancio iniziale si sono mobilitate energie e gemellaggi, quali ad esempio quella tra l'ARPA Toscana e la costituenda agenzia ambientale siciliana; ho avuto l'opportunità proprio nel 1999 di partecipare a Palermo ad un programma PASS di formazione degli amministratori delle regioni dell'obiettivo 1 e di assistere ai primi passi di lancio dei gemellaggi in vista di predisporre la valutazione ex ante.

Lo sforzo di mobilitazione ha implicato una “rivoluzione culturale” nell’approccio che in parte sta dando i suoi frutti, soprattutto in termini di consapevolezza degli standard e dei criteri da rispettare: ma va detto che la fase di avvio è stata faticosa, anche perché il via libera ai piani è stato dato da Bruxelles solo alla metà del 2001, quando l'elaborazione dei progetti aveva raggiunto uno stadio soddisfacente.

 Va sottolineato comunque che l’opzione che si evidenziava per il Mezzogiorno nel documento dell’aprile 1999 tra “il rischio dell’impoverimento relativo e l’opportunità di un balzo decisivo nello sviluppo”, sfruttando i segnali positivi di trasformazione e dinamicità, resta tuttora aperta, e che solo mobilitando tutte le energie e tutti gli attori, assicurando continuità ai meccanismi di partenariato, la scommessa potrà essere vinta. E questa scommessa non è semplicemente nelle mani di questa o quella forza di governo, a livello centrale o regionale, ma riguarda il complesso degli interlocutori socio-economici ed i cittadini.

E’ vero che negli ultimi mesi c’è stata un’accelerazione della capacità di assorbimento finanziario e di  intervento tale da evitare il “disimpegno automatico” che si paventava: nessuna regione dell’obiettivo 1 perde risorse ed inoltre si è riusciti a spendere al 95% i fondi della vecchia programmazione 94-99, tanto che il vice ministro dell’Economia Micciché ha preannunciato una lettera al Commissario europeo Barnier e al suo direttore generale che avevano additato in ottobre l’Italia come un paese a rischio, per contestare il loro “catastrofismo”. Resta però un problema di qualità delle misure, che risentono più del peso del passato (attuazione di impegni pregressi) che di una spinta in avanti. Commentando la conferenza stampa di Micciché del 15 gennaio scorso sui risultati dei fondi, il Sole 24 ore sottolinea che l’accelerazione c’è stata, ma che “il traguardo finale è stato raggiunto grazie alla possibilità di mettere in bilancio, nei POR,  senza rendicontarlo, l’anticipo forfettario del 7 per cento”. La capacità di spesa è stata differenziata secondo le regioni, e solo Molise a Basilicata hanno superato la soglia del 12,8% preventivata.

 In particolare per quanto riguarda il FEOGA si riscontra una capacità di spesa soprattutto in interventi tradizionali del Fondo garanzia, superando addirittura la dotazione finanziaria, mentre c’è un ritardo rispetto al Fondo Orientamento, quello destinato allo sviluppo rurale, e le misure di diversificazione rurale e di ammodernamento sono ancora modeste e frammentarie (cfr. i commenti di Andrea Fugaro sull’Informatore agrario).  Fortemente critica risulta inoltre la situazione nel settore Rete ecologica e Difesa del suolo, mentre alcuni segnali positivi vengono dagli interventi nel Ciclo integrato dell’acqua e nei Rifiuti. Debole risulta anche l’utilizzo del Fondo sociale europeo per quanto riguarda le risorse umane, e questo è elemento assai preoccupante per il Mezzogiorno: basti pensare alle misure destinate all’emersione e ai recenti preoccupanti dati sul peso del “sommerso”. Secondo le indagini del CENSIS il sommerso è in crescita nel Mezzogiorno, e la proliferazione di microimprese che si registra nel Sud con un tasso estremamente elevato di creazione di nuove imprese non è garanzia per rendere un sistema competitivo, se non integrata in una dimensione di sistema come è avvenuto nel centro-nord. Dalle indagini dei carabinieri emerge che il lavoro dipendente totalmente irregolare o senza regolare contratto è pari al 26% e raggiunge nel Mezzogiorno il 41%; dalla stessa indagine risulta assai rilevante il peso del sommerso nel settore agricolo (Il Sole 24 ore- 18/12/2003). E’ evidente che misure di qualificazione e valorizzazione delle risorse umane mal si coniugano con la non identificabilità dei lavoratori occupati. Inoltre, nonostante i recenti discorsi di rimessa in discussione dei dati ISTAT sul PIL invocando l’apporto del “sommerso”,  è lo stesso direttore del CENSIS Giuseppe Roma a sottolineare che non c’è più da illudersi che “il sommerso possa generare qualcosa di positivo. Non è più un fenomeno legato alla vitalità spontanea del mercato”; il rischio è dell’aumento di “forme di irregolarità che uccidono la competitività e contribuiscono alla marginalizzazione di alcune fasce sociali, primi fra tutti gli immigrati”. (Corriere della sera, 18/1/2003).

Positivo sembra l'andamento del Fondo destinato alla pesca e la mobilitazione di queste risorse è essenziale nella prospettiva dell'impatto soci-economico che le misure di riforma della PCP avranno, soprattutto sull pesca artigianale.

        

La revisione della PAC

  Gli elementi di criticità sovraesposti, e sui quali già si annunciano riunioni degli organismi preposti per meglio preparare la scadenza del 2003, sono quelli che hanno più colpito la mia attenzione in relazione con l’accelerazione di una serie di sviluppi a livello di politica europea, sviluppi destinati a rendere più stringenti i vincoli di qualità che già l’approccio di Agenda 2000 imponeva, e a prevedere una maggiore selettività nella ripartizione delle risorse, istituendo meccanismi premiali o di taglio.

E’ evidente a tutti l'accelerazione del dibattito sul futuro della PAC, che ha assunto un'ampiezza che va ben al di là di una semplice messa a punto a metà percorso, come prefigurato a suo tempo negli accordi di Berlino. I termini di questo dibattito sono del resto illustrati da altre relazioni di questo convegno.

Anche se la prima reazione all’approccio presentato dal Commissario Fischler in luglio è stata di tipo difensivo, sia da parte delle organizzazioni agricole che dei paesi che maggiormente beneficiano del bilancio PAC, ed anche se la Francia è riuscita ad imporre una battuta d'arresto sui tempi della riforma della PAC, richiamandosi alle scadenze fissate a Berlino, e rinviando tutto al 2007, il pacchetto di proposte che Fischler sta presentando proprio in questi giorni, accompagnato da una serie di studi di impatto, mostra la volontà di procedere sulla strada delineata. Fischler ha sottolineato che il 2003 sarà “l’anno delle decisioni per la PAC”: il quadro finanziario per il primo pilastro della PAC a 25 è stato fissato al vertice di Bruxelles fino al 2013 ed è in questo ambito che le risorse andranno redistribuite.

Disaccoppiando gli aiuti dalla produzione, e prevedendo un pagamento unico basato sui “precedenti storici”, le imprese agricole dovrebbero essere compensate sempre più per i servizi resi in risposta alla domanda della società, mentre utilizzando la leva della modulazione per spostare maggiori fondi dal primo al secondo pilastro, dalle organizzazioni comuni di mercato allo sviluppo rurale, si inseriranno nuovi criteri quali la qualità dei prodotti, il benessere animale e le produzioni tipiche e di origine certificate, semplificando al contempo le procedure amministrative e finanziarie e finanziando forme di auditing che incoraggino le imprese agricole ad andare al di là delle “buone pratiche” in termini di impatto ambientale, benessere animale e qualità dei prodotti.

Su questi temi il Comitato economico e sociale dell'Unione europea si è pronunciato con due pareri, uno preparatorio sul futuro della PAC, su consultazione del Parlamento europeo, e uno di valutazione della revisione a medio termine, ed ora si prepara a pronunciarsi sul nuovo pacchetto.

In tutti questi pareri, si esprime un orientamento favorevole al rafforzamento del secondo pilastro chiedendo che esso disponga di maggiori risorse. Tale pilastro, oggetto dei piani regionali di sviluppo rurale e gestito in cofinanziamento è quello che meglio si intreccia con l'approccio integrato della programmazione dei fondi strutturali, con i “piani territoriali integrati” (anche se nei primi due anni la quota del FEOGA sull’ammontare delle risorse destinate ai PIT è stata solo del 14%, ma con un significativo 34% della Basilicata - fonte INEA) e con i “progetti integrati di filiera” (previsti nei POR Campania, Basilicata e Calabria) in quanto promuove la multifunzionalità nel territorio rurale e si presta a coniugarsi efficacemente con gli obiettivi perseguiti dagli altri fondi in termini di protezione dell'ambiente e delle risorse naturali, valorizzazione delle risorse umane e delle pari opportunità, ammodernamento tecnologico delle imprese, innovazione dei processi etc.

Una maggiore valorizzazione degli aspetti di qualità e di preservazione delle risorse naturali, dovrebbe ben prestarsi alle caratteristiche delle regioni del Sud, ma tenendo presente la necessità di farne la leva per correggere l’arretratezza della struttura produttiva del Mezzogiorno, poco orientata sui settori a più alto valore aggiunto e a maggior contenuto di innovazione: è evidente l’importanza per il Sud dell’obiettivo 52 del PSM: “migliorare la competitività dei sistemi agricoli ed agroindustriali in un contesto di filiera e in un’ottica di sviluppo integrato, attraverso l’introduzione di innovazioni, il rafforzamento delle funzioni commerciali, la gestione integrata in tema di qualità, sicurezza e ambiente”.

Il pacchetto di proposte che FISCHLER presenta proprio in questi giorni sarà oggetto di dibattito e negoziato, anche valutando più in dettaglio i correttivi apportati rispetto al documento orientativo del luglio 2002. Dalle anticipazioni risulta comunque significativo l’inserimento nel regolamento 1257/99 sullo sviluppo rurale di un nuovo capitolo sulla “qualità alimentare”, con incentivi alle imprese che si impegnano in meccanismi di certificazione di qualità (indicazioni geografiche, denominazioni di origine, prodotti tipici, produzione biologica, vini di qualità) e alle organizzazioni di produttori per attività di informazione e promozione, nonché la creazione di un sostegno per servizi di assistenza e auditing al fine di migliorare le prestazioni ambientali, sanitarie e di sicurezza sul lavoro delle imprese agricole.

Quest'ultimo aspetto è un elemento di novità, rispetto alla debolezza del dialogo sociale sulle condizioni di lavoro nel settore agricolo, e dovrebbe essere oggetto d'atteznione da parte di un sindacato come il vostro. L'erogazione dei pagamenti diretti sarà condizionata non solo al rispetto dele normative ambientali e sanitarie nonché di benessere animale, ma altresì al rispetto delle direttive sulla sicurezza sul lavoro e a rispetto ai rischi chimici e biologici.

Si va dunque ad un’estensione maggiore nel settore agroalimentare di meccanismi di certificazione di qualità, anche in relazione ai processi produttivi, e questo dovrebbe essere di particolare interesse per il vostro sindacato, anche per quanto riguarda il tema della formazione dei lavoratori e l’individuazione di nuovi profili professionali all’altezza della domanda di qualità.

Guardando ad esempio agli sviluppi della certificazione ambientale EMAS in Italia, uno strumento volontario di miglioramento delle prestazioni ambientali che era stato individuato come importante leva per integrare l’approccio dei fondi strutturali in termini di riduzione degli impatti ambientali, messa a norma e ammodernamento delle imprese, è interessante rilevare che la crescita si registra soprattutto al centro-nord, con una punta eccezionalmente elevata in Emilia Romagna proprio nel settore agroalimentare, grazie alla promozione dei processi di tracciabilità e di certificazione di filiera. Il Sud e le isole restano al 5%, e ciò nonostante il sistema EMAS sia stato esteso dal settore industriale a quello dei servizi e dell’agricoltura, con particolari incentivi alle piccole imprese. Probabilmente le difficoltà di EMAS, che implica il rispetto delle normative vigenti e implica verifiche da parte di organismi riconosciuti, nonché la partecipazione attiva dei lavoratori dell'impresa ed una pubblica dichiarazione prima di poter avviare passi avanti, risente delle stesse difficoltà dell’emersione del lavoro nero, oltre che di una più limitata assistenza tecnica alle imprese presente sul territorio. Saluto perciò molto positivamente l'iniziativa di promuovere la certificazione EMAS nel Parco delle Madonie, annunciata nella relazione iniziale

Altrettanti problemi può incontrare il boom a cui si assiste della conversione al biologico, anche nelle regioni del Sud, che rischia di essere utilizzato come semplice misura assistenziale di sostegno al reddito di breve respiro se non riesce a tradursi in crescita di produzioni certificate secondo standard di cui si preannuncia una maggiore armonizzazione a livello europeo.

 

Elementi per un’agricoltura sostenibile

Altri punti significativi per indirizzare l’agricoltura del Sud verso la sostenibilità saranno i criteri di “ecocompatibilità” inseriti nello schema degli aiuti, ed una più stretta integrazione con una serie di misure ambientali quali la Direttiva nitrati, la Direttiva habitat, la Direttiva quadro acque, e le strategie tematiche del VI programma ambiente quali quella per la sostenibilità del suolo, quella per l’uso sostenibile dei pesticidi, quella per la protezione dell’ambiente marino.

In un seminario organizzato nella primavera 2002 dall'IEEP (Istituto europeo per la protezione dell'ambiente) sotto gli auspici della Commissione europea, finalizzato alla produzione di un rapporto[1] sulla integrazione della dimensione ambientale nella PAC, pubblicato nel settembre 2002, si evidenzia come siano scarse le misure specificamente destinate a regolamentare l'inquinamento agricolo (da fonti diffuse), con l'eccezione della direttiva nitrati (91/676), che stabilisce soglie di applicazione dei fertilizzanti organici per mantenere al di sotto di determinati valori le concentrazioni di nitrati nelle acque. E il dato preoccupante è che questa è una delle direttive più disattese nell'applicazione, anche nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia, il che crea forti ipoteche per l’utilizzazione dei fondi strutturali, essendo condizione sine qua non.

Esistono inoltre un numero significativo di fenomeni che concernono l'agricoltura, ed in particolare quella delle regioni del Sud Europa e che potrebbero essere affrontati nell'ambito della Direttiva quadro sulle acque, per stabilire una migliore sinergia tra protezione dell'ambiente e attività agricola:

·                   eutrofizzazione da nutrienti e residui soprattutto in zone ad alta concentrazione dell'allevamento;

·                   residui di pesticidi nelle falde acquifere (culture arabili ed ortofrutta);

·                   estrazione "non sostenibile" di acqua per l'irrigazione agricola (molte culture tradizionali, particolarmente in Spagna e nell'Italia meridionale, sono passate a sistemi intensivi ad alta irrigazione, ivi compresi olivi, viticoltura ed agrumi).

Tenendo presente che la direttiva quadro Acque ha un approccio partecipativo che implica la consultazione di tutti gli attori presenti sul territorio nella predisposizione dei piani di bacino e degli obiettivi qualitativi da perseguire, essa potrebbe essere un contesto di riferimento per il consolidamento del patto tra agricoltori e società in termini di servizi resi.

Altri strumenti da prendere in considerazione sono le strategie tematiche derivanti dal VI Programma Ambiente, per l'utilizzazione dei suoli e per l'utilizzazione sostenibile dei pesticidi, attualmente in corso di adozione a livello europeo.

Non vanno infine trascurati anche altri strumenti, soprattutto in termini di formazione. Basti pensare a come garantire un capitale umano all'altezza delle nuove sfide, ivi comprese quelle delle nuove tecnologie e della società della conoscenza, offrendo nuove opportunità ai giovani in agricoltura. Su questo il Comitato ha recentemente prodotto un parere di iniziativa, in parallelo con analoghe prese di posizione del Comitato delle Regioni e del Parlamento europeo, intitolato proprio "Nuova economia, società della conoscenza e sviluppo rurale: le prospettive per i giovani agricoltori[2]".

In effetti, come afferma il parere, "uno sviluppo sostenibile, basato su un patto con le generazioni future, per la conservazione delle risorse disponibili, non può prescindere da un'agricoltura e uno sviluppo rurale di qualità, che offra sbocchi occupazionali alle nuove generazioni.

 

Il fattore umano

Solo invertendo le tendenze alla marginalizzazione e all'invecchiamento del fattore umano in agricoltura si può stringere un nuovo patto tra agricoltura e società, sfruttando i potenziali offerti dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione e colmando i divari che già si registrano tra aree rurali in declino e aree a forte innovazione.

L'agricoltura deve essere pienamente coinvolta nella promozione della società della conoscenza e dell'innovazione e beneficiare delle ricadute occupazionali che possono derivarne: i nuovi orientamenti nel campo dell'educazione e della formazione ("eLearning") e nella promozione delle nuove tecnologie dell'informazione ("eEurope"), avviati dal Consiglio di Lisbona, devono tradursi in azioni specifiche anche nel settore agricolo, in particolare rivolte ai giovani.

Si rende pertanto necessaria una riflessione su come meglio combinare le politiche e gli strumenti di intervento esistenti, soprattutto in termini di formazione, incentivo alla ricerca e all'innovazione e disseminazione dell'informazione, per farli funzionare a pieno anche nel settore agricolo e nelle aree rurali, destinandoli in particolare ai giovani agricoltori, uomini e donne. Il fattore umano va posto in evidenza quale elemento fondamentale del cambiamento.

Un'esperienza di "buone pratiche" fatta conoscere recentemente dalla Regione Toscana è uno studio sul rischio chimico in vari settori, condotto dalla Provincia di Livorno, con finanziamento del Fondo Sociale europeo, una parte del quale è dedicato all'agricoltura e al rischio da pesticidi. Questo studio, finalizzato a individuare nuovi strumenti di formazione ed aggiornamento professionale per i lavoratori agricoli, potrebbe avere ricadute positive anche per l'informazione dei produttori agricoli, degli utenti e dei consumatori in generale. In effetti, la riduzione del rischio chimico interessa un arco vasto di soggetti sul territorio, in una prospettiva di agricoltura sostenibile che preserva la salute sia dei lavoratori che dei consumatori che degli abitanti del territorio.

Un altro filone da esplorare, a cui già ho accennato, è quello del consolidamento dell’agricoltura biologica (si annuncia per il 2003 una riconsiderazione della normativa in questo campo), con le ricadute positive in termini di qualità alimentare ed ambientale che ne derivano per i consumatori e i cittadini a livello territoriale. L’Italia, soprattutto in alcune regioni, si è fortemente impegnata nello sviluppo del biologico e nell’elaborazione di sistemi di certificazione e di tracciabilità che implicano anche aspetti ambientali e che potrebbero utilmente intrecciarsi con meccanismi di auditing a livello delle aziende agricole, ancora da mettere a punto.

Tutela delle risorse naturali

Infine c’è l’intreccio tra tutela delle risorse naturali e agricoltura sostenibile e sono in corso riflessioni su una migliore sinergia tra lo strumentario Natura 2000 e lo sviluppo rurale.

Un esempio recente è un seminario dedicato alla “promozione dei benefici economico e sociali di Natura 2000”, organizzato il 28 e 29 novembre scorso a Bruxelles dal WWF e dall’IEEP, in preparazione anche della revisione annunciata per il 2003 del quadro finanziario per la rete Natura 2000 ed in particolare dei meccanismi previsti dall’articolo 8 della direttiva 92/43 Habitat; si è discusso di una migliore sinergia tra i fondi di LIFE Natura, di Natura 2000 e delle misure agroambientali dello Sviluppo rurale, sottolineando l’importanza della partecipazione e del dialogo a livello locale, oltre che di una migliore comunicazione e promozione delle esperienze. Sono tutte misure che richiedono cofinanziamento e dove l’applicazione crea forti diseguaglianze tra uno Stato e l’altro ed una regione e l’altra, mentre i patrimonio paesistico ed ambientale dovrebbe essere considerato come eredità comune europea. L’imminente allargamento spinge anch’esso ad esaminare meccanismi più ampi e flessibili e soprattutto a far meglio interagire le risorse provenienti dai vari fondi comunitari, semplificando i meccanismi per gli utilizzatori.

L’asse I del PSM, “risorse naturali” articola bene gli interventi prioritari sulle tematiche sopra delineate, mettendo in rilievo alcuni punti cruciali, quali “la sicurezza e la difesa dal rischio idrogeologico, sismico e da inquinamento” e la necessità di potenziare “i sistemi informativi e di monitoraggio, della ricerca e sviluppo, dell’innovazione tecnologica e della dotazione infrastrutturale”. Il problema è di creare le sinergie necessarie per una effettiva attuazione degli obiettivi individuati, soprattutto a livello di partenariato locale. Il recente esempio di Priolo solleva interrogativi inquietanti sulla capacità di adottare un approccio preventivo, anziché rincorrere le emergenze e punire i reati; ma questo purtroppo non è fenomeno limitato al Mezzogiorno, almeno per quanto riguarda i disastri della chimica e la gestione dei rifiuti.

Di fronte alle scadenze europee e globali, c’è infine un forte problema di immagine del sistema-paese e della garanzia di legalità, se il Mezzogiorno vuole candidarsi a piattaforma avanzata nel Mediterraneo; le parole del procuratore di Palermo all’inaugurazione dell’anno giudiziario, relative alla crescita delle forme di criminalità mafiosa, suscitano preoccupazione, così come i problemi di controllo della criminalità in Puglia, sul versante adriatico. Si tratta di problemi nazionali, e non del Sud: quando  Business week associa l’Italia all’ “ecomafia” nello smaltimento dei rifiuti è l’intero sistema paese che ne risente.

Anche questo è un fronte di intervento ben individuato nel Piano di sviluppo del Mezzogiorno, accanto a quello di una maggiore efficienza delle strutture amministrative e di controllo del territorio.

Per concludere, gli obiettivi sono ben individuati e lo strumentario è stato messo in piedi; si tratta di fare un bilancio degli elementi critici da superare e dei percorsi virtuosi da valorizzare e generalizzare.        Lo sviluppo sostenibile è una sfida che riguarda tutti i soggetti e l'apporto di esperienza che i lavoratori possono garantire a questo processo risulta essenziale. La sostenibilità in agricoltura e nella pesca, nell'orizzonte euromediterraneo, implica aspetti economici, sociali ed ambientali sui quali i sindacati dei lavoratori possono apportare un importante contributo, assumendo in pieno le loro responsabilità, individuando interlocutori ed alleanze.

 


[1]              "Environmental integration and the CAP – A report to the European Commission, DG Agriculture", Institute for European Environmental Policy (IEEP), settembre 2002.

[2]              Parere d'iniziativa "Nuova economia, società della conoscenza e sviluppo rurale: le prospettive per i giovani agricoltori", CESE n. 1314/2001 del 17.10.2001, GU C 36 dell'8.2.2002.