DEL
COMPARTO
AGRO-ALIMENTARE-AMBIENTALE
TUTELARE
LA SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO,
QUALIFICARE
IL LAVORO
RAFFORZARE I DIRITTI SINDACALI
L’assemblea
dei delegati e delle delegate di oggi è frutto di una scelta della segreteria
regionale, consapevole dell’importanza e della necessità di svolgere una
riflessione attenta ed approfondita sulla contrattazione.
Ormai
ci troviamo da circa due anni in una fase di espansione del comparto ed è
opportuno iniziare a discutere di come adegueremo i contenuti della
contrattazione di 2° livello a questa fase e quali contributi daremo alla
organizzazione per il rinnovo dei contratti nazionali.
Le
analisi sulla positiva fase di sviluppo sono state da noi sviluppate sia nel
convegno regionale concluso da Cofferati sia in una serie iniziative
sull’acqua, sui trasporti, sulla centrale del latte di Corleone, sulla
sicurezza alimentare, sul Parco dei Nebrodi che hanno visto la partecipazione di
Amoretti, Cerfeda, Chiriaco, Battistelli, e di alcune categorie regionali e di
Camere del Lavoro provinciali.
Vorrei
ringraziare, a nome di tutta la segreteria regionale, il compagno Paolo Nerozzi
che nella relazione da lui tenuta al Convegno Nazionale sul Mezzogiorno di Bari
del mese scorso, ha dato pubblico atto alla positività della iniziativa della
Flai siciliana, evidenziando che “sotto il profilo della mobilitazione, il
Mezzogiorno ha dato un forte contributo, penso agli scioperi di Menfi, alla
iniziativa della Flai siciliana, alla partecipazione delle strutture meridionali
allo sciopero della Sanità. Questo contenuto del Mezzogiorno è una novità
importante, un segnale molto positivo e un punto di forza per le azioni che
abbiamo ancora davanti”.
Mi
sembra inoltre opportuno, richiamare la piattaforma unitaria a base dello
Sciopero Generale del comparto del 2 Marzo scorso, primo vero sciopero generale
del comparto da noi indetto, assieme a FAI e UILA,
da quando è stata costituita la FLAI.
Avere
consapevolezza di questa fase vuol dire rivendicarne, con maggiore forza, i
meriti che il sindacato ha nell’averla determinata. I meriti derivano dalla
politica dei redditi nazionale che si è concretizzata con l’accordo del
luglio 1993, con il patto per il lavoro e la formazione del 1999, e con una
stagione contrattuale siciliana, quasi decennale, caratterizzata da:
·
due
rinnovi di integrativi provinciali dei lavoratori agricoli ispirati alla
moderazione e alla attuazione del riallineamento,
·
da uno
scambio nel settore forestale tra occupazione e salari;
·
da una
moderazione rivendicativa nelle aziende alimentari e nei magazzini.
Alla
contrattazione fatta va purtroppo aggiunta la latitanza dello Stato, e di tutte
le sue articolazioni burocratiche, che ha notevolmente determinato un incremento
di lavoro nero e dell’economia clandestina.
Se
esiste questa fase di sviluppo positiva è anche merito dei lavoratori e delle
loro organizzazioni e faremmo bene a discuterne al fine di capire cosa ora
dobbiamo “incassare” da questo sviluppo.
In
questo contesto, di elaborazione, di lotta e di confronto con la Confederazione,
con le altre categorie della CGIL, con le controparti, con le istituzioni, con
il mondo accademico e della ricerca, con gli ambientalisti, si inserisce la
riflessione di oggi sul tema della contrattazione di 2° livello territoriale
e/o aziendale.
La
realtà regionale, su questa tema, oggi si può sintetizzare così:
·
Sottoscrizione,
per il secondo quadriennio consecutivo, dei contratti provinciali per i
lavoratori agricoli (160.000 lavoratori);
·
Sottoscrizione
del contratto integrativo regionale dei lavoratori forestali (30.000
lavoratori);
·
Sottoscrizione,
quattro anni fa del contratto integrativo regionale per gli impiegati agricoli e
preparazione della nuova piattaforma di integrativo regionale (700 impiegati)
·
Sottoscrizione
di circa 200 contratti aziendali in quasi tutte le principali aziende
alimentari, agricole, di commercializzazione e di servizi nei settori
vitivinicolo, agrumicolo, delle bevande, dei pastifici e dei mulini, delle acque
minerali, delle conserve, del vivaismo, del lattiero-caseario, dei servizi,
dell’ESA, dei Consorzi di Bonifica, dell’Università, della forestazione
privata, dell’acquacoltura;
·
Sottoscrizione
dell’ipotesi del contratto provinciale della pesca della provincia di Trapani
(2.500 lavoratori);
·
Sottoscrizione
del contratto integrativo provinciale per i lavoratori panettieri della
provincia di Palermo (circa 500 lavoratori);
·
Sono
quasi concluse le trattative per il rinnovo del contratto provinciale per la
cooperazione agricola della provincia di Ragusa;
·
Sono in
corso le trattative per il rinnovo del contratto integrativo regionale dei
dipendenti della Associazione Regionale Allevatori (200 dipendenti);
Siamo inoltre interessati alla gestione e alla sottoscrizione degli
accordi di gruppo della Galbani, della Parmalat, della Nestlè, della Ferrero, e
alla costituzione di nuovi gruppi come GIV,
Zonin, Mezzacorona, Antinori, Marzotto (che prevedono e in parte stanno già
realizzando nella nostra regione investimenti per 123 miliardi in una superficie
di 900 ettari) nelle MOC e nei Contratti di programma che sottoscriviamo, come
con l’Ortoeuropa che coinvolge aziende di filiera ricadenti in tre province.
Per ultimo, abbiamo già espresso un giudizio positivo sulla vicenda della Vini
Corvo e siamo interessati, assieme alla Florio di Marsala, alla costituzione del
gruppo ILVA.
In
questo contesto regionale si stanno predisponendo le piattaforme nazionali per
il rinnovo dei CCNL per i lavoratori agricoli, per i lavoratori agricoli
dipendenti da aziende cooperative, per i lavoratori forestali.
Sono,
inoltre, ancora in corso le trattative per il rinnovo del 2° biennio economico
dei contratti dell’industria, cooperazione e dell’artigianato alimentare. In
tutte le piattaforme abbiamo inserito oltre al recupero del tasso d’inflazione
programmatico, la differenza su quella maturata e differenza con l’inflazione
reale. Oltre alle questioni salariali abbiamo posto le questioni della
formazione, della sicurezza, delle politiche agro-alimentari.
Questi
in sintesi sono i punti di una contrattazione decentrata con la quale ci siamo
misurati e ci misureremo nei prossimi mesi all’interno di un settore che ha
assunto nella nostra regione i
caratteri di una forte dinamicità economica e culturale.
Con
questo attivo pensiamo di fare il punto della situazione, a partire dalla
conoscenza e dalla socializzazione
dei materiali, per porre le basi di una nuova fase di contrattazione aziendale
che dia concretezza agli accordi del 23 luglio 1993 e radichi la nostra
organizzazione tra il numeroso tessuto aziendale presente nella nostra regione.
Nel sito internet della FLAI-CGIL SICILIA è a buon punto il nostro archivio dei
contratti, al quale tutti possono accedere.
Prima
di fare alcune considerazioni di merito su quanto è stato già fatto, mi sembra
opportuno sottolineare che in Sicilia il movimento sindacale, la Federbraccianti
prima e la FLAI ora, hanno sempre svolto un ruolo più territoriale che
aziendale, privilegiando la lega all’azienda, il capo-lega al delegato
aziendale, la delega sul modulo di disoccupazione a quella sulla busta paga.
Come se questi due modelli di organizzazione sindacale fossero in
contrapposizione e non si potesse arrivare a forme di integrazione.
Oggi,
quando si parla del pagamento automatico della indennità di disoccupazione sono
tanti coloro (a tutti i livelli dell’organizzazione) che si interrogano sulle
conseguenze negative che questa misura avrebbe per l’organizzazione sindacale
(anche FAI e UILA sono contrari per lo stesso motivo). Non hanno tutti i torti
se si tiene conto del numero di deleghe
sindacali oggi attivate, della nostra presenza aziendale e del come si esercita
la democrazia sindacale a partire dalla stipula dei contratti nazionali o degli
accordi di riallineamento.
Se
sommiamo gli aspetti negativi di una tale scelta e il nostro stato di salute
organizzativo il risultato è a
favore di coloro che sollevano preoccupazioni sul pagamento automatico della
indennità di disoccupazione .
Eppure
penso che esistano delle buone ragioni politiche che possono fare tendere le
nostre valutazioni sul versante del “SINDACATO AZIENDALIZZATO”; proverò ad
elencarne qualcuna:
·
i due
modelli di “essere e fare” sindacato si possono integrare tra di loro. Perché
ciò avvenga devono esistere entrambi; cioè l’organizzazione e il dirigente
sindacale devono considerare l’azienda come un luogo normale di attività
sindacale e la tutela e il miglioramento delle condizioni del lavoratore come un
obiettivo da perseguire costantemente e non “una tantum”;
·
l’attività
di assistenza si integra meglio e produce maggiori risultati assieme e non senza
l’attività contrattuale aziendale;
·
politicamente
e territorialmente avremo più peso se, oltre all’attività vertenziale nei
confronti dell’Inps o dei pubblici amministratori, svolgeremo una attività
vertenziale più costante e diffusa nei confronti di Confagricoltura, Coldiretti,
Cia, Federalimentare, Federpesca, etc… Sicuramente saremo anche più
credibili. Penso che la nostra esclusione dai vari tavoli di concertazione sia
dovuta anche al nostro scarso “potere” contrattuale nei confronti dei datori
di lavoro.
·
sempre più
le modifiche dello stato sociale metteranno in discussione assetti assistenziali
sempre meno difendibili, come ad esempio il fatto che con 51 giornate di lavoro
si hanno diritti che nessun altro lavoratore, che si trova nelle stesse
identiche situazioni quantitative di lavoro, possiede;
·
un’agricoltura
sempre più di mercato e che si integra in un sistema di filiera necessita sia
di un numero maggiore dei tremila Oti e dei 700 impiegati oggi presenti in
Sicilia, sia di maggiore contrattazione e tutela aziendale per questi
lavoratori; necessità anche di lavoratori e di lavoratrici più giovani e
professionalizzati che abbiano redditi dignitosi derivanti non solo dagli
strumenti di tutela assistenziale ma dal lavoro.
·
il
comparto agricolo e la filiera ad esso collegata, dal seme alla tavola, che
producono per un consumatore attento alla sicurezza alimentare e alla qualità
del prodotto finito (prima di tutto per il consumatore europeo), devono basare
le proprie strutture produttive su una tipologia di lavoro intesa come fattore
di ricchezza per l’azienda e le relazioni sindacali con le aziende e le loro
organizzazioni come momento di confronto utile a gestire i processi economici
singoli e di sistema;
·
cornice
di riferimento generale sono anche la sicurezza alimentare e dei lavoratori, la
legalità economica, la tracciabilità e la conoscenza dei prodotti, la
competitività qualitativa di processo e di prodotto, l’utile riassetto
fondiario, le aggregazioni, gli accorpamenti, le fusioni e le sinergie
aziendali, la finanziarizzazione del settore.
Tutti
questi motivi mettono in forte discussione l’idea che normalmente in tutta la
società industrializzata si ha del lavoro agricolo, cioè di un non lavoro,
marginale e senza bisogno di tutele, da assistere all’interno di una riserva
indiana come è da assistere l’intero settore; la disoccupazione e le pensioni
minime ai braccianti e l’AIMA o la evasione contributiva ai padroni.
Con
forza dobbiamo rivendicare la riapertura delle trattative per la riforma degli
ammortizzatori sociali in agricoltura.
In
questi ultimi mesi sono tante le certezze alimentari che stanno crollando,
mettendo in discussione certezze di politica economica. Una di queste era
proprio rappresentata dalla marginalità del lavoro agricolo dipendente, che
riteneva società avanzate quelle con poco lavoro agricolo e sottosviluppate
quelle con tanto lavoro agricolo.
Fermo
restando che non penso ad una
società con lavoro agro-alimentare superiore al 15% della popolazione attiva,
va da sè invece pensare che nel secolo appena iniziato possono esserci regioni
del pianeta, e l’Italia e la Sicilia sono – a mio avviso- tra queste, dove
il produrre alimenti sani sarà una attività estremamente positiva. Produrre
alimenti sani, non per una ristretta schiera di consumatori ma per tutti coloro
che vogliono nutrirsi secondo standard elevati di qualità.
Secondo
il piano sanitario nazionale 2001-2003, predisposto dal Ministro della Sanità
Umberto Veronesi, lo Stato italiano, per garantire una maggiore efficienza della
Sanità, deve intervenire sugli stili di vita e, primo tra tutti, sullo stile
alimentare.
Il
piano si propone una riduzione del soprappeso e dell’obesità, soprattutto nei
bambini. Le raccomandazioni riportate riguardano:
·
meno
carne rossa e più pesce;
·
più
latte e formaggio nell’età evolutiva;
·
la
percentuale di energia derivante dai grassi deve essere inferiore al 30 per
cento e sotto il 10 per cento quella dei grassi saturi di origine animale; il 55
per cento quella da carboidrati; mentre il consumo di frutta e verdure deve
essere di almeno 400 grammi al giorno
·
l’alcool
sotto i 2 bicchieri di vino al giorno per le donne e 3 per gli uomini.
Queste
indicazioni oltre ad interessarci come cittadini ci interessano come FLAI, come
lavoratori del comparto agro-alimentare-ambientale e coinvolgono anche le nostre
scelte contrattuali e organizzative.
Nel
direttivo della Flai nazionale del 14 febbraio scorso, il compagno Enzo La Corte
ha introdotto elementi interessanti di primi adeguamenti della linea politica
della Flai, alla quale tutti dobbiamo contribuire in preparazione delle
piattaforme contrattuali.
Penso
sia coerente procedere alla conferma del modello 23 luglio, dove il
perseguimento della “politica dei redditi”, di tutti i redditi, è stata una
politica vincente non solo per i lavoratori, ma per il paese. Il contenimento
dell’inflazione e il risanamento dei conti pubblici devono continuare ad
essere tra gli obiettivi primari di questo sindacato perché sono i mezzi
principali con i quali si tutelano i salari e i redditi dei lavoratori
dipendenti.
Fermo
restando il “metodo” individuato in quell’accordo, penso che ci sia un
problema di adeguamento degli obiettivi e degli strumenti. Obiettivi e strumenti
riguardano il processo di redistribuzione della ricchezza nazionale e regionale,
di settore e aziendale. In questo
contesto faccio rientrare la concertazione agro-alimentare, con il superamento
del tavolo verde, da noi richiesto a livello nazionale e in Sicilia supportato
dallo sciopero regionale del due marzo.
In
questo contesto il comparto agricolo ha vissuto con maggiori contraddizioni la
fase di concertazione. Nella metà degli anni novanta, è stato cosa giusta e
coerente con l’accordo del 23 luglio concertare lo scambio flessibilità-legalità.
Questo scambio si è concretizzato negli ultimi due contratti di lavoro e nelle
contemporanee leggi sul mercato del lavoro, sulla previdenza e
sull’assistenza.
Penso
sia utile fare, seppur in modo schematico e veloce,
una breve riflessione storica. Dal dopoguerra agli anni sessanta lo
scambio era basato su flessibilità e occupazione, basti pensare alle lotte per
il lavoro indipendentemente dalle condizioni di lavoro; negli anni settanta e
ottanta il tema è stato legalità e contrattazione, esplicitatosi con la firma
dei contratti nazionali e con la conquista della legge 83/70; negli anni novanta
il tema è stato, come ho già
detto, lo scambio legalità-flessibilità.
Oggi
penso che legalità, “occupazione, contrattazione e flessibilità” non
possano continuare ad essere affrontati in modo separato, con un primo e un
dopo. “Legalità, occupazione, contrattazione e flessibilità” sono le facce
della stessa realtà e oggi siamo chiamati a tenerli assieme se vogliamo dare
una identità a questa categoria che non è un residuato della storia.
Dopo
cinquant’anni siamo in grado di poter decidere quali tasti suonare sul fronte
della iniziativa sindacale. Diritto al lavoro, diritti nel lavoro, lavoro-nero,
sottosalario, tutela della salute, flessibilità contrattate, assunzioni e
licenziamenti, organizzazione e carichi di lavoro, sono questioni storiche non
più barattabili con i singoli padroni o con le loro organizzazioni; non più
scambiabili per futuri miglioramenti che raramente sono esigibili.
Penso,
che i prossimi rinnovi contrattuali debbano affrontare le seguenti questioni:
·
la
formazione, con la conquista di un fondo del 2% dell’orario individuale, sia
per gli operai a tempo indeterminato che determinato;
·
la 626,
per un reale impegno dei lavoratori e del sindacato nella tutela della salute;
·
la
struttura e l’articolazione delle funzioni tra i vari livelli contrattuali e/o
di attività contrattuale derivante;
·
l’organizzazione
del lavoro;
·
la
contrattazione di gruppo e delle politiche settoriali;
·
la
valorizzazione del lavoro a tempo indeterminato, rendendolo più conveniente –
anche economicamente – del tempo determinato;
·
la
valorizzazione del tempo determinato strutturato ( 151 e 101 ) con la conquista
degli scatti di anzianità, della partecipazione ai fondi pensione, delle
mansioni polifunzionali.
Per
il contratto dell’industria alimentare penso che sia utile procedere ad una
“unificazione di quadro”, superando le troppe norme specifiche esistenti,
armonizzando “le tabelle” sulle indennità di settore.
Per
in contratto dei lavoratori agricoli non è più rinviabile la unificazione tra
operai e impiegati e una maggiore caratterizzazione contrattuale anche del
lavoro a tempo indeterminato. Questi elementi ci fanno catalogare in una fase di
relazioni sindacali arretrate e non affiancabili ad altre prassi contrattuali
italiane.
Un
netto e deciso avanzamento della qualità della contrattazione agricola oggi è
possibile dato che sui Fondi, sulla 626, sulla formazione, sull’Osservatorio,
sulle RSU esiste una unificazione tra operai e impiegati. Altrettanto netto deve
essere l’avanzamento sulla contrattazione aziendale e/o di gruppo sui temi e
con le specifiche competenze già esistenti nel contratto dell’industria
alimentare.
La
questione politica più macroscopica è rappresentata dagli accordi di
riallineamento, non tanto per gli aspetti tecnici o giuridici, quanto per quelli
politico-sindacali. Essi hanno assunto un ruolo sovradimensionato nelle
relazioni sindacali . In generale, e non per quegli accordi dove realmente si
sono contrattati miglioramenti salariali e presenza aziendale del sindacato,
sono stati intesi e praticati come mezzi per una applicazione formale del
contratto, anche a scapito degli interessi dei lavoratori.
Secondo
i dati INPS, al 26/02/2001 le aziende che hanno presentato contratti di
riallineamento ammontano a 24.650, su un totale di 33.520, pari al 73,53. Di
queste, solo 4.129 hanno chiesto di applicare il decreto Treu. Ciò vuol dire
che il riallineamento è prevalentemente di natura contrattuale. I lavoratori
interessati stati 76.557, su un totale di 158.871 pari al 48.18%. La media di
lavoratori per singola azienda è stata di 3,10. Le aziende che non hanno
utilizzato questo strumento hanno invece una media di 9,28 dipendenti.
Un
ruolo importante doveva averlo l’INPS. Al riallineamento, cioè alla
definizione di un salario inferiore a quello contrattuale, che a parametro 100 è di £ 1.080.000, sono legate sostanziali
fiscalizzazioni contributive. Su questo fronte l’Istituto ci
ufficializza che alla data del 26/02/2001 sono stati fatti 13.057 controlli,
pari al 52,96 %. Di questi solo 1.357 accordi risultano irregolari. Ma il dato
non è omogeneo; infatti nelle province di Catania, Enna, Ragusa, Siracusa
risultano tutte con contratti di riallineamento regolari, mentre i controlli a
Messina dove sono stati presentati 11.627 accordi sono stati pari al 4,08% .
Pertanto, un buon
strumento di gestione del contratto e di flessibilità si è tramutato in una
cattiva operazione cartacea di scambio tra i padroni e l’Istituto, con la
partecipazione anche di organizzazioni fasulle. Sul riallineamento si sono
consumati anni di attività e di negativa “estrosità” sindacale
Per
questo ritengo sia utile non prevedere più nel prossimo contratto dei
lavoratori agricoli questa norma e governare solamente le code derivanti dal
decreto Treu.
E’
opportuno approfondire la riflessione su quale lavoratore e impiegato
realizziamo il contratto nazionale, provinciale e aziendale. Su quale dipendente
dell’agricoltura, dei magazzini, della forestazione, della industria
alimentare.
Fino
ad oggi i contratti sono stati modulati su uno stereotipo di lavoratore agricolo
a tempo determinato, in molti casi poco specializzato.che integra il suo reddito
con l’assistenza,
A
partire dalla prossima tornata contrattuale va superata la
polverizzazione
contrattuale che porta alla sottoscrizione di cinque contratti per i panettieri,
di tanti micro contratti (consorzi di bonifica, consorzi agrari, Associazione
allevatori, impiegati agricoli) e di un contratto, quello agricolo, stipulato di
fatto solo per gli OTD e non anche per gli OTI.
Il
problema oggi non è come farlo ma è quello di assumere la decisione di volerlo
fare e di mobilitare l’intera organizzazione e la Confederazione al
perseguimento di questo obiettivo.
Non
devono essere i regimi previdenziali e le regole dell’assistenza a determinare
lo status di lavoratore agro-alimentare-ambientale. Esso deve essere determinato
dalla capacità di valorizzare il lavoro nell’ambito della qualità dei
processi produttivi e dei prodotti che hanno un consenso del mercato e dei
consumatori.
Si
tratta, né più e né meno – come ha detto Paolo Nerozzi al Convegno sul
Mezzogiorno della CGIL del mese scorso – di scegliere tra un modello di
sviluppo basato sui bassi salari, sull’economia sommersa, sul lavoro
purchessia, anche senza diritti, e un modello di sviluppo basato sulla qualità
delle risorse umane, sulla qualità del lavoro e dei prodotti,
sull’innovazione tecnologica, su condizioni sociali e ambientali favorevoli
alla crescita delle attività produttive, sull’acquisizione di beni comuni di
elevata qualità”.
Alla
fine degli anni settanta, la Federbraccianti con in testa la compagna Donatella
Turtura è riuscita a dare nuova linfa alla categoria con la forte proposta
politica di superare gli elenchi anagrafici prorogati attraverso una adeguata
iniziativa per la contrattazione, per la legalità, per una democrazia sindacale
capace di dare dignità e potere politico a questa gloriosa categoria.
Oggi
penso che dobbiamo far maturare una proposta politica capace di dare corpo, non
so in quanto tempo, ad una categoria dell’alimentazione, dalla ricerca alla
tavola come dice il LIBRO BIANCO SULLA SICUREZZA ALIMENTARE assunto dalla
Commissione della Comunità Europea nel gennaio del 2000, con un marcato ruolo
politico nella società siciliana, italiana ed europea.
Per
questo sono convinto che l’attuale fase di iniziativa politica della Flai
nazionale deve ulteriormente dispiegarsi su tutti i fronti e su tutto il Paese,
rompendo incrostazioni e togliendo alibi organizzativi o di complessità delle
questioni.
Il
compagno Chiriaco, nell’intervento che ha fatto al già richiamato convegno di
Bari, ha avuto modo di specificare, con grande chiarezza, che la strada da
percorrere è quella di “una agricoltura di qualità insieme ad una industria
alimentare fondata sulla sicurezza
alimentare”. Prosegue dicendo che “la sicurezza alimentare non è delegabile
alla volontarietà di chi produce, ma deve essere pretesa da chi ne ha diritto,
ed è il ruolo pubblico che deve praticarla”.
Con
questo concetto semplice e profondo dobbiamo misurarci e, con le idee chiare che
questo gruppo dirigente assieme alle centinaia di delegati e capilega ha
dimostrato di avere, saremo in grado di determinare un avanzamento positivo del
mondo del lavoro agricolo-alimentare-ambientale.