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Antonio Carbone.

 INTERVENTO   CONVEGNO FLAI-Sicilia

Palermo, 05 marzo 2004

 

 E’ questo un contributo alla valida proposta di Tripi sulla questione dell’agroalimentare in Sicilia e alla piattaforma dello sciopero generale del 26 Marzo.

 La revisione di medio termine della PAC ha “rivoluzionato il modo in cui la U.E. sostiene il settore agricolo”, mentre quanto è avvenuto a Cancun è un’ultima e rilevante testimonianza di quello che oggi è il conflitto economico, e non solo, nel mondo, tra paesi ricchi e paesi poveri su questi temi derivanti da una globalizzazione selvaggia che si manifesta come aggressione alle fondamenta della democrazia ed attacco al mondo del lavoro ed ai suoi diritti.. Atomizzare il mondo del lavoro, frantumarlo ed isolarlo è l’obiettivo perseguito da questo neoliberismo. Tutto ciò si riflette pesantemente sul nostro sistema produttivo agro-alimentare.

La lunga transizione che conosce il Mezzogiorno, tra ciò che c’era e quello che ancora non c’è, rende il percorso per lo sviluppo accidentato, incerto e problematico.

In particolare va denunciata, da parte di questo Governo Nazionale ma vale anche per quello Regionale, l’assenza di una idea e di un modello chiaro e condiviso di sviluppo autopropulsivo in grado di colmare il divario Nord-Sud.

La riforma dello Stato in senso federalista appare lontana dalla realtà ed essa assume il carattere della rottura dell’unità del paese.

Almeno tre grandi questioni oggi rendono il Mezzogiorno non competitivo :

·                il bassissimo livello di infrastrutturazione;

·                l’insufficienza del sistema della formazione e della ricerca scientifica e dell’istruzione permanente;

·                la scarsa valorizzazione del territorio delle sue risorse endogene, della tutela ambientale ed idrogeologica.

Infatti le tante produzioni  alimentari legate alla peculiarità di questo territorio ed intrise di stratificazioni storiche e culturali, nonché sostenute da un’ampia biodiversità, se non sono sviluppate in una politica di sistema, che va dalla valorizzazione delle tipicità alla loro commercializzazione e diffusione nel mondo, rischiano di essere cancellate ed di lasciare campo libero alla “omologazione di una  globalizzazione senza limiti e regole”.

La nostra convinzione è invece che questo Mezzogiorno può superare le storiche ed attuali difficoltà proprio se punta sulle proprie forze e sulla possibilità di uno sviluppo autogeno basato sulla difesa, valorizzazione, qualificazione della propria specificità.

Questo naturalmente confrontandosi ed aprendosi ai processi di mondializzazione a partire dal confronto-integrazione nel Mediterraneo.

Il Mezzogiorno ed il bacino del Mediterraneo sono due entità culturali-storiche inscindibili; la possibilità di rafforzare l’integrazione economica di queste due realtà non  è solo funzionale allo sviluppo di entrambi ma soprattutto ad affermare la stabilità e la pace in tutta l’area.

L’Italia può svolgere una positiva funzione se sviluppa tutte le sue risorse endogene, se allarga il sistema produttivo agricolo di qualità e di tipicità, se mette in gioco il patrimonio di biodiversità, storico e culturale presente nelle nostre aree.

In particolare la Montagna è una grande risorsa

Questo è tanto più vero se noi tutti intendiamo lo sviluppo sostenibile non come un limite allo sviluppo ma come un sistema, una condizione che produce piena occupazione e di cui è necessario assicurare la sostenibilità nel tempo, non distruggendo le sue risorse con l’uso smodato ma garantendone la continuità per le future generazioni.

La ricchezza della biodiversità, presente in queste aree, richiede una valorizzazione supportata da una forte ricerca scientifica e non certo di OGM che sarebbero la causa di un impoverimento del nostro patrimonio

Per mantenere tale diversità, peraltro molto fragile, bisogna sostenere un costo il quale non può che essere collettivo; sono perciò necessarie politiche comunitarie e nazionali più forti.

La rivalutazione del ruolo attivo e della funzione dell’agricoltura di qualità e di tipicità conferma la possibilità di differenti modelli di sviluppo possibili del territorio. La funzione dell’agricoltura oggi si modifica al mutare delle nuove attese sulla qualità della vita e dei consumi alimentari delle moderne società.

Il concetto di multifunzionalità esprime la diversificazione delle funzioni sociali che il primario è in grado di svolgere all’interno delle aree rurali.

Esso, infatti, è portatore oltre alla rilevante ma tradizionale funzione di produzione alimentare di base, anche di attività “di pubblica utilità” per una società che avanza nuovi bisogni ambientali-alimentari-culturali in un riequilibrio dei processi di modernizzazione spinta.

 La multifunzionalità non è solo frutto della possibilità propria dell’agricoltura di queste aree, ma essa è una necessità ed un’ampia riserva di risorse per una collettività che ha mutato le sue esigenze e modelli di vita.

L’Alpa ha assunto il lavoro e le pluriattività dell’agricoltura come uno dei parametri qualificanti della riforma del primario e della sua sostenibilità ambientale. Vogliamo far emergere il forte nesso tra la  dimensione ecologica e economica e quella sociale, in un rapporto virtuoso tra ambiente e lavoro.

La lotta alla precarizzazione ed alla divisione degli interessi dei lavoratori sono gli obiettivi da perseguire con uguale tenacia sul piano sindacale, economico e culturale.

Realizzare ciò è possibile, proprio in queste realtà territoriali, in quanto diventa possibile modificare strutturalmente i parametri su cui si è costruito l’attuale sistema di sviluppo  in quest’ultimo secolo.

Margini di profitti realizzati sulle esternalità ambientali, scaricate sulla collettività, diffuse aree di lavoro nero, evasione fiscale, sottosalario, riduzione dei diritti; squilibri territoriali con conseguenti marginalizzazioni delle aree svantaggiate, sono solo alcune delle contraddizioni di questo sistema che vanno superate.

Dal quinto censimento dell’agricoltura risulta ancora massiccia la presenza di micro-aziende”. Queste sono pari a circa il 45% del totale, con meno di un ettaro di SAU. Se si considerano inoltre le aziende fino a 5 ettari, l’insieme raggiunge l’80% circa del totale.

In Sicilia “è ulteriormente aumentata la prevalente presenza di micro-aziende”. Il 50% pari a 182.469 hanno una superficie inferiore all’ettaro.

Tutto ciò costituisce una peculiarità del sistema agricolo italiano e per molti aspetti un patrimonio da valorizzare, tutelare, organizzare.

 Questi dati, infatti, evidenziano l’annosa questione, ben presente alla platea di questo convegno, della frammentarietà della maglia poderale soprattutto nelle aree meridionali e montane.

La nostra idea, in  merito, è quella di assumere questa realtà e di costruire una proposta in grado di aggregare la frammentarietà del sistema produttivo valorizzando, nei mercati, la qualità delle produzioni

La nostra considerazione verte sulla constatazione dell’ampia diffusione delle figure miste dell’agricoltura.

Sono queste le figure centrali della multifunzionalità dell’agricoltura, grazie a loro si riesce ancora a mantenere una presenza antropica in molte aree preservando quel patrimonio naturalistico che rappresenta la nostra grande ricchezza.

Bene. Noi ci rivolgiamo a queste fasce di lavoratori  rendendoli partecipi di un processo di sviluppo nuovo. Ciò richiede e lo diciamo in modo esplicito, certi di rivendicare un diritto e non un’assistenza; una politica vera di sostegno e non una spesa agricola a pioggia, una valorizzazione del lavoro e del sapere in agricoltura e non una dequalificazione diffusa.

Il rafforzamento della politica territoriale basata sullo sviluppo rurale e la coesione territoriale allarga l’intervento oltre il settore agricolo verso attività economiche differenti in cui una “ruralità di qualità” diviene oggetto e soggetto di progresso generale.

 L’esigenza che avanza su questi temi  per le aree svantaggiate è quella di una “governance locale” capace di produrre percorsi decisionali e partecipativi virtuosi.

 Tutto questo trova nel Distretto Rurale e agroalimentare la risposta coerente ed efficace. Il Distretto Rurale va inteso “sia come peculiare modello di sviluppo che come metodo di lavoro e di governo dell’economia locale”.

 La nostra opzione è per questi modelli poiché riteniamo fondamentale puntare sulla integrazione di una pluralità di attività economiche e di usi diversi del territorio.

 La riforma di medio termine della PAC con l’affermarsi del pagamento unico per azienda su base disaccoppiata dell’aiuto al reddito ha profondamente mutato la forma di sostegno all’agricoltore.  Noi condividiamo le ragioni di questa scelta. Ciò che, però, critichiamo fortemente e consideriamo profondamente sbagliato, è la mancanza di una modulazione dell’aiuto che tenga conto della dimensione aziendale e del rapporto con la qualità. Oggi la grande azienda di pianura riceve lo stesso aiuto di quella marginale delle aree montane. L’Alpa invece sostiene che l’aiuto al reddito vada finalizzato prioritariamente al sostegno del reddito di quelle fasce di piccoli produttori che svolgono quelle funzioni plurime nel processo agricolo e nella tutela del territorio. In particolare questo deve valere nelle aree di montagna

I principi di sussidiarità e di partenariato si collocano alla base dei processi di crescita delle forze sociali ed economiche locali in un contesto autopropulsivo dello sviluppo.

Si pone quindi al centro dell’iniziativa il rilancio della programmazione negoziata finalizzata a realizzare un mix di politiche di settore e territoriali per elevare il grado di efficienza ed innovazione del sistema produttivo agroalimentare.

Esperienze contraddittorie sono state realizzate, molte affossate dal liberismo di questo governo, si tratta per noi invece di rilanciare il metodo della concertazione dal basso e della pianificazione territoriale costruita con un circuito virtuoso fondato sulla partecipazione delle popolazioni e delle loro rappresentanze sociali, culturali ed economiche. (I patti territoriali, i PIT, i PIF, i Contratti d’Area e di Programma devono riaffermare la loro vitalità e funzione strategica nel mobilitare risorse umane e materiali a sostegno di una ripresa dei programmi di sviluppo locali).

L’attività agricola resta centrale ma non esaustiva dei processi economici.  Ciò che a noi interessa è lavorare per una prospettiva di progresso e per rafforzare, con l’azione della Flai, la coesione del mondo del lavoro dipendente agricolo e quindi le tutele ed i diritti delle figure miste che con la loro presenza, in queste aree, garantiscono una possibilità di sviluppo per l’intero paese e per questa regione siciliana.