Palermo

27 giugno 2003

 

Sala delle Capriate

Palazzo Steri

Piazza Marina n. 51

 

CONVEGNO REGIONALE

 

SU

 

“VINO E LAVORO DI QUALITA’

PER TANTE BUONE

BOTTIGLIE”

    Mi associo al saluto che il Segretario Generale della CGIL siciliana ha rivolto ai graditi ospiti ed a voi tutti, e al ringraziamento rivolto al Magnifico Rettore, non solo per averci permesso di svolgere il nostro Convegno in questa stupenda sala ma per il ruolo che svolge per migliorare le relazioni tra questa importante istituzione e la città, la regione e tutti i soggetti che a titolo diverso ne rappresentano gli interessi.

E’ da qualche anno che la Flai siciliana tenta di liberarsi dal fardello di essere identificata come il sindacato dei forestali e non invece di tutti i lavoratori del comparto agro-alimentare-industriale-ambientale.

Penso che negli ultimi due/tre anni abbiamo prodotto riflessioni, iniziative e movimenti tendenti a riaffermare il ruolo fondamentale che il lavoro dipendente rappresenta nello sviluppo della economia siciliana che ha grandi possibilità  di creare ricchezza.

Questo è un ruolo che ci appartiene storicamente, dato che prima di noi furono la Federbraccianti e la Federterra a sviluppare queste linee, diventando punto di riferimenti di centinaia di migliaia di lavoratori agricoli, di braccianti, di iurnatari , di contadini senza terra che lottavano non solo per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro ma per vivere in una società dove la dignità e i diritti fossero valori inscindibili dall’essere lavoratore e cittadino.

Non la sto prendendo troppo larga. Una delle vergogne più pesanti, che con rabbia dobbiamo ancora sopportare, è quella della non sicurezza dei luoghi di lavoro; è assurdo, ma drammaticamente reale, dover ancora fare un minuto silenzio per la morte di tre lavoratori del settore vitivinicolo.

Non pensavo di iniziare questa relazione in questo modo. Il problema non è solo quello delle leggi, delle circolari, delle visite mediche, dei dispositivi di protezione individuale, dei controlli, etc… . L’economia, il mercato, il produrre devono avere un’etica, non possono essere asettiche ed avere come unico scopo il solo profitto.

Le disgrazie non esistono. Esistono i danni causati dalle scelte degli uomini. Esistono gli omicidi. Si chiamano “morti bianche”.

Mucca pazza è frutto delle scelte di coloro che pensavano di smaltire i rifiuti animali facendoli diventare mangimi. Il metanolo veniva messo per produrre vino a bassissimo costo, gli omicidi bianchi e gli infortuni sul lavoro ci sono perché si ritiene un costo fare una prevenzione intelligente, attiva  e finalizzata, prima a preservare l’integrità degli uomini e dopo i bilanci delle aziende.

Così potrei continuare nel sottolineare  aspetti della economia che sono deleteri e dannosi proprio all’economia e ai suoi protagonisti.

Qualità, ambiente, salubrità, sicurezza, etica sono valori che una società democratica e civile deve considerare vincolanti e sono anche sistemi certificabili in cantina attraverso le norme ISO 9001, VISION 2000, ISO 14001, EMAS, DS 3207, BS 8800, SA 8000 che hanno l’obiettivo di garantire un fase produttiva e un prodotto basato sulla qualità, sulla tutela ambientale, sulla sicurezza alimentare, sulla sicurezza sul lavoro, sulla tutela dei diritti umani.

 

Nella primavera scorsa il CNEL ha varato un documento, sulla scia del LIBRO BIANCO presentato dalla Commissione della Comunità Europea il 12-01-2000, dove approfondisce questi temi e sviluppa una serie di riflessioni che danno corpo ad un codice di comportamento che è alla base di quanti fanno la scelta di essere presenti nell’economia avendo come riferimento i valori su richiamati.

Questa scelta ha delle ricadute molto forti nella società e nel sistema produttivo. Produrre senza infortuni e morti, con materie prime che danno sicurezza ai consumatori, che rispettano e valorizzano l’ambiente, che hanno un valore aggiunto adeguato alle innovazioni tecnologiche, è un obiettivo reale che fa diventare la società europea, italiana e siciliana positivamente apprezzabile in confronto a quelle che praticano il lavoro minorile, lo sfruttamento delle risorse naturali e degli uomini, la truffa e la sofisticazione selvaggia.

Sono certo che gli interventi previsti per la prima parte dei lavori e quelli che seguiranno nella tavola rotonda del pomeriggio sapranno approfondire anche questi temi e ci daranno delle indicazioni importanti.

VINO E LAVORO DI QUALITA’ PER TANTE BUONE BOTTIGLIE è il titolo dei lavori di questa mattina, mentre  “LA CONTRATTAZIONE SINDACALE AZIENDALE: STRUMENTO DI LEGALITA’ E DI QUALIFICAZIONE DELL’IMPRESA VITIVINICOLA” è lo spunto che abbiamo voluto dare alla tavola rotonda pomeridiana tra il segretario generale della Flai siciliana e i rappresentanti delle maggiori aziende vitivinicole presenti nella nostra regione, dove il sindacato e la Flai da anni svolgono un ruolo importante e significativo non solo per tutelare e migliorare le condizioni di lavoro e di vita degli operai, dei tecnici e degli impiegati ma anche per fare acquisire all’azienda quei codici di comportamento di cui parlavo.

 

Prima di approfondire i temi del convegno, penso che sia opportuno inquadrare il settore vitivinicolo all’interno del comparto agro-alimentare-indutriale-ambientale siciliano. I numeri e i valori relativi al 2001, e pubblicati dalla stampa di settore, sono:

  1. 7.000 miliardi di PLV;

  2. 160.000 OTD, per circa 13.500.000 gg. di lavoro collocate in agricoltura;

  3. 5.000 OTI, dipendenti da 880 aziende;

  4. 7.000 addetti all’industria alimentare;

  5. 6.000 addetti alla commercializzazione;

  6. 35.000 aziende agricole, di cui circa 2.000 classificabili come grandi aziende;

  7. circa 12.000.000 gg. sono le giornate non denunciate all’INPS;

  8. 1.885 impiegati, tecnici e dirigenti, dipendenti aziende;

Prevalentemente il comparto si caratterizza per una presenza nell’agrumicoltura, nella forestazione, nell’olivicoltura, nella zootecnia, nel vitivinicolo, nel serricolo, nell’orticolo, nella pesca, nella vivaistica. Una qualche vivacità si comincia ad avere anche nel settore fruttifero, nell’itticoltura e in produzioni tipicamente mediterranee come quella della frutta secca e dei fichidindia.

Problemi si hanno, più che nella fase della produzione, in quella di commercializzazione, trasformazione, logistica, marketing, terziarizzazione. La verticalizzazione è ancora un handicap strutturale che, in generale, gli imprenditori non riescono ad affrontare.

Ormai da qualche anno siamo tra le prime regioni per PLV, ma passiamo al settimo posto per valore aggiunto. Cioè il sistema economico e imprenditoriale siciliano valorizzano pochissimo la ricchezza prodotta.

Questa mancata valorizzazione pesa ancor di più se pensiamo alle ingenti risorse pubbliche uscite dalle casse europee, nazionali e regionali e che, purtroppo, non sono serviti a risolvere i problemi strutturali. Penso che le risorse di Agenda 2000 stiano facendola la stessa fine. Escono dalle casse pubbliche e non determinano né cambiamenti strutturali né incrementi consistenti della occupazione legale.

Permangono tutti i motivi di una crisi strutturale, aggravati da congiunture sfavorevoli. Ma ancora più grave è che da parte di chi gestisce la cosa pubblica e i capitali non traspare una chiara volontà di adeguare il sistema agro-alimentare-ambientale alle sfide economiche e sociali del terzo millennio.

Il già citato “LIBRO BIANCO” della Commissione della Comunità Europea nel primo paragrafo del primo capitolo recita:

“La politica europea degli alimenti deve essere fondata su standard elevati di sicurezza alimentare onde tutelare e promuovere la salute dei consumatori. La produzione e il consumo di alimenti è un fatto centrale di ogni società e ha ripercussioni economiche, sociali e, in molti casi, ambientali. Anche se la protezione della salute deve sempre avere carattere prioritario, si deve tenere conto anche di tali aspetti nello sviluppo di una politica degli alimenti. Inoltre, le condizioni e la qualità dell’ambiente, in particolare dell’ecosistema, possono influire sui diversi anelli della catena alimentare. La politica ambientale svolge quindi un ruolo importante al fine di assicurare alimenti sicuri ai consumatori.”

Ecco quali sono le nuove sfide di inizio millennio che la Comunità Europea si è posta:

·      standard elevati di sicurezza alimentare;

·      salute dei consumatori;

·      salute dei lavoratori;

·      eco-sistema;

·      politica ambientale.

I prodotti, i territori, le aziende, i lavoratori che saranno in grado di raccogliere questa sfida avranno la possibilità di competere e di posizionarsi nei segmenti di mercato più vantaggiosi e più remunerativi. Gli altri, invece, continueranno a denunciare crisi, maltempo, concorrenza sleale, salari alti e ad utilizzare lavoratori extra-comunitari in maniera illegale.

Il settore vitivinicolo siciliano ha tutte le carte in regola per partecipare alla competizione europea, a condizione che si abbandoni un antico armamentario composto da clandestinità economica, lavoro nero, sottosalario, paternalismi, fai da te egoistici, furbizie, improvvisazioni.

Del resto queste pratiche economiche negative fanno a pugni con quanto di nuovo avviene in Sicilia. Il settore vitivinicolo è al centro dell’attenzione del mondo bancario attraverso la creazione di prodotti finanziari come i “future” che impongono alle aziende di investire sul prodotto, sull’immagine, sulla solidità, sulla legalità, sulle capacità imprenditoriali.

Importanti istituti bancari, come Mediobanca, tengono da anni sotto osservazione il sistema vitivinicolo attraverso l’analisi delle principali aziende del settore. E’ di queste settimane il nuovo report di Mediobanca sul settore che abbiamo ritenuto utile fornirvi tra i materiali del convegno.

Proprio per questo si deve abbandonare la pratica inculturale della distillazione, del produrre senza cultura, senza coscienza, senza scienza, senza professionalità.

Ancora nel 2002 sulla stampa del settore si leggevano titoli come: “Il sud galleggia sull’alcool”. Non era una esagerazione. L’anno scorso la Sicilia ha bruciato circa 2.000.000 di ettolitri di vino e buona parte di questo alcool ha preso la strada dei Caraibi al costo di nove euro a ettanido, sulla base di accordi tra la UE e quei paesi. Questi paesi hanno trasformato l’alcool in Una corretta integrazione tra vino, paesaggio, ambiente, territorio, gastronomia, tradizioni è la carta vincente di uno sviluppo eco-compatibile, sostenibile ed autopropulsivo. Le colline e i paesaggi trapanesi o agrigentini non hanno nulla da invidiare a quelli toscani. Vanno però valorizzati adeguatamente e possibilmente senza farli diventare luoghi di discariche abusive.

Il trend positivo che ha fatto conoscere la filiera vitivinicola siciliana al grande mercato e ai buoni consumatori italiani ed europei è stato un forte segnale di fiducia e di prospettiva per le aziende e per i lavoratori siciliani.

Ma le contraddizioni rimangono tutte; provo ad elencarne qualcuna:

  1. ad una affermazione di marchi si contrappone l’ennesima funesta pratica della distillazione;

  2. ad una sempre maggiore verticalizzazione della produzione (barbatella, uva, vino, bottiglie, punto vendita) si contrappone la sempre eccessiva vendita di vino sfuso;

  3. ad una sempre maggiore presenza di marchi si conferma, di contro, una scarsa presenza di DOC, pari oggi al 4-5% della superficie viticola e ad una inesistente presenza dei DOCG. Come dire: molti autocontrolli e pochi controlli fatti da terzi;

  4. ad una maggiore richiesta di produzione con tecniche biologiche rispondiamo con soli 10.000 ha, pari al 7,2% della superficie viticola, malgrado deteniamo il primato di maggiore regione a SAU che utilizza tecniche biologiche.

Il trend positivo, iniziato nella seconda metà degli anni ’90, potrà continuare ad espandersi se gli obiettivi del LIBRO BIANCO SULLA SICUREZZA ALIMENTARE diventeranno severa pratica del sistema vitivinicolo siciliano.

Il sindacato, la FLAI-CGIL, i lavoratori del comparto agro-alimentare-ambientale sono pronti a giocare questa partita, coscienti che un settore che vuole competere sulle quantità e sulle qualità ha bisogno di lavoratori dipendenti in grado di fare fino in fondo la propria parte.

Il settore vitivinicolo siciliano è entrato in una crisi di crescita dove è sempre più urgente e rilevante separare l’assistenzialismo dal mercato, l’improvvisazione dalla professionalità.

E’ importante per la Flai che, dopo questa relazione introduttiva, il prof. Bacarella  presenti al nostro convegno i risultati di una ricerca sul settore vitivinicolo che ha il pregio di aver evidenziato con rigore scientifico i punti di forza e di debolezza del settore.

Il settore vitivinicolo siciliano dai dati pubblicati dalla stampa di settore è, al 2001, caratterizzato:

  1. da 138.000 ha di base produttiva, di cui l’88% si trova nelle province di Trapani, Agrigento e Palermo;

  2. da una produzione pari a 5,7 milioni  di ettolitri, di cui solo 200.000 ettolitri di DOC e 1,5 milioni di IGT;

  3. da 170 aziende imbottigliatrici, di cui solo 12 imbottigliano più di un milione di bottiglie pro-capite;

  4. da 200 milioni di bottiglie pari a 1,7 milioni di ettolitri, pari al 26% del vino prodotto;

  5. da 1.000 miliardi di fatturato, prodotto principalmente da vino sfuso.

  6. da  circa 25  Consorzi di Tutela che tutelano circa il 20% del vino prodotto tra quanti sono soci dei Consorzi.

   Non è con una generica DOC Sicilia che si alza il livello di qualità del nostro vino. Anzi, a mio  avviso, si rischia di annacquarlo. Bisogna ripartire dai Consorzi di Tutela già esistenti sburocratizzandoli, responsabilizzandoli e facendoli diventare strumenti al servizio del buon vino certificato e non delle consorterie politico-affaristiche.

La dicotomia tra grande potenzialità e poco mercato continua ad essere la caratteristica del settore.

Eppure negli ultimi due o tre anni più di 10 aziende nazionali ed internazionali hanno investito circa 1.000 miliardi in Sicilia. Zonin, GIV, Nomi, Pasqua, Frantinel. Montalcino Invest, ILVA, Mezzacorona sono i più noti.

Questi imprenditori sono venuti in Sicilia sia perché i terreni vengono acquistati a prezzi stracciati in confronto a quelli della Toscana del Piemonte o del Trentino, sia perché a parità di prodotto gli utili sono più alti.

Da questo quadro, la FLAI-CGIL Sicilia ritiene che bisogna fare scaturire linee di politica economica capaci di affermare con forza la qualità totale del settore vitivinicolo.

Qualità totale certificata che deve essere accompagnata da una ulteriore spinta quantitativa e di razionalizzazione del sistema. Nella nostra regione devono convivere sia produzioni di nicchia (e il Nero d’Avola o il Grillo non possono essere coltivati ovunque) sia produzioni di buona e ottima qualità in grado di soddisfare le richieste dei diversi segmenti del mercato.

Penso che entro il 2005 debba essere superata la soglia di 350 milioni di bottiglie con una presenza di almeno 100 milioni di bottiglie DOC e di almeno 10 milioni a DOCG.

La qualità totale parte dalla produzione con corrette fasi di coltivazione delle uve e  dalla valorizzazione dei vitigni locali. Qualità totale nella vendemmia, nella ricerca di nuovi prodotti enologici, nella costruzione degli habitat utili alla conservazione, nello studio del marketing, nel pieno utilizzo delle linee di imbottigliamento, nella valorizzazione dei luoghi di produzione, nella severa compilazione della carta d’identità dei vini.

Dal bracciante all’enologo, dall’addetto alla linea di imbottigliamento al sommelier, la filiera vitivinicola ha bisogno di grandi professionalità manuali, intellettuali, ambientaliste e paesaggistiche.

Qualità della produzione e professionalità dei lavoratori hanno bisogno di una formazione continua e permanente che si coniughi con la capacità di portare a buon fine le fasi stagionali di produzione.

Facoltà di Agraria, istituti di Agraria e istituti tecnici sono i luoghi deputati alla formazione, e devono interagire con la formazione fatta sul campo e nelle aziende.

Più formazione teorica e più formazione sul campo  per i giovani che scelgono con fiducia il settore agro-alimentare-ambientale e per i lavoratori dipendenti che attraverso la formazione vogliono contribuire di più e meglio alla qualità delle produzioni e alle innovazioni di prodotto e di processo.

Sarebbe utile in tale direzione che i Consorzi di tutela delle produzioni si occupassero anche dei soggetti della produzione, cioè dei lavoratori, utilizzando tutti gli strumenti della formazione oggi disponibili per dare un valore aggiunto alle aziende.

In Sicilia ci sono settori produttivi, come la parte migliore del vitivinicolo, che hanno bisogno di dirigenti aziendali, di tecnici, di impiegati e di operai agricoli. Mancano lavoratori professionalizzati, enologi, cantinieri, addetti al marketing, potatori, vivaisti, etc….

Più formazione vuol dire anche maggiore competizione tra le aziende, sia tra le aziende extra-regionali sia tra quelle regionali.

Questo settore è più appetibile per i lavoratori se assieme alla formazione ci sono anche salari adeguati e tutela sindacale.

Oggi c’è troppa sofferenza tra i lavoratori. Oltre a dover combattere la scellerata scelta del lavoro nero e del sottosalario che è compiuta da una parte non irrilevante delle aziende, chi lavora in non usufruisce dei benefici che esse hanno nel vendere le bottiglie.

In pratica chi lavora in una azienda che vende il vino sfuso a 0,35 euro al litro e chi lavora in un azienda che vende vino a 2,5/3 euro al litro, guadagna gli stessi soldi, ha lo stesso salario, lo stesso reddito.

Le relazioni sindacali sono uno snodo rilevante per questo settore.

Sono troppi gli imprenditori che sono ideologicamente prevenuti sulla presenza   del sindacato nelle aziende, e per alcuni di essi rappresenta un vanto governare il personale con metodi da “padrone”, con paternalismi, con piccole angherie che sottolineano costantemente “chi comanda”, con ricatti e in alcuni casi con piccole e subdole violenze.

La competitività non si può basare sui bassi salari, sul lavoro nero, sugli orari selvaggi, sui ricatti per gli extra-comunitari, sullo sfruttamento delle intelligenze di giovani diplomati e laureati, ma bensì sulla qualità del lavoro. In tal senso le condizioni di lavoro contrattualmente definite sono prerogative indispensabili, per legare i lavoratori alle aziende e per isolare quelle che dello sfruttamento e della illegalità fanno un modello imprenditoriale.

Per almeno otto anni abbiamo praticato una politica di presenza aziendale e salariale improntata alla moderazione. Oggi, vista la situazione positiva del settore, ci sono le condizioni per fare una politica sindacale più incisiva, a partire dal rinnovo dei prossimi Contratti Provinciali di Lavoro.

Una contrattazione aziendale che preveda la gestione delle fasi colturali, delle riassunzioni singole e collettive, della stabilizzazione, degli orari, degli inquadramenti, della formazione, della sicurezza dei lavoratori e anche del prodotto e dell’ambiente, del salario aziendale, è un tema che va affrontato nelle singole aziende.

Inoltre la presenza articolata in più province di alcune aziende vitivinicole ci porta a valutare seriamente la possibilità di  aprire una contrattazione di gruppo regionale che, rispettando i contratti provinciali, definisca unicità di valutazioni relative ad alcune materie contrattuali nonché un salario per obiettivi di gruppo.

A tal fine penso sia utile:

  1. procedere alla stabilizzazione di almeno 10.000 lavoratori – operai, tecnici ed impiegati - a tempo indeterminato. Il settore vitivinicolo non può svilupparsi su basi solide  senza avere dipendenti fissi. Questa è una necessità economica, sociale, professionale del settore e anche dei lavoratori. Se non ci sono i dipendenti sui quali investire in formazione ed esperienza non ci sono coloro che fanno vivere l’azienda;

  2. specializzare i dipendenti alle esigenze di ogni singola azienda in modo da sviluppare una formazione continua calibrata sulle scelte produttive aziendali. Oggi possiamo dire che non c’è un sistema formativo; la classica formazione per i disoccupati finanziata dalla Regione Siciliana non è funzionale ad un sistema economico sano e di qualità. Gli strumenti contrattuali e di legge per una formazione  in grado di soddisfare le esigenze di nuove professionalità e di rafforzare le professionalità “storiche” ci sono tutti. Manca la volontà da parte di Confagricoltura, Coldiretti e CIA di realizzare un sistema formativo regionale in grado di dare risposte alle reali esigenze delle aziende. La Flai è pronta a fare la sua parte;

  3. riconoscere attraverso la contrattazione aziendale e collettiva una redistribuzione della ricchezza prodotta. Oggi i salari contrattuali nazionali mensili per gli operai vanno da euro 589,61 a 990,87 (all’ora oscillano da euro 3.48 a 5,86 – una pizza margherita costa mediamente 4,00 euro -), mentre per i tecnici e gli impiegati i salari vanno mensilmente da euro 928,96 a 1616,62 (all’ora oscillano da euro 5,49 a 9,56 – andare al cinema costa almeno 6,00 euro a persona). Questi sono minimi salariali che spingono i dipendenti ad andarsene alla prima occasione. Il dipendente che produce ricchezza aziendale deve averne un ritorno non solo in termini occupazionali ma anche in termini salariali e di miglioramento del proprio tenore di vita. La fidelizzazione deve essere conveniente per entrambi;

  4. puntare ad una gestione contrattata delle flessibilità, intese come strumento intelligente di miglioramento delle potenzialità produttive e di razionale utilizzo degli impianti aziendali. Orari, inquadramenti, picchi lavorativi, pluri-mansioni, stagionalità sono ricchezze e non problemi per un azienda che devono essere gestiti con il consenso e la partecipazione;

  5. puntare ad una sicurezza sul lavoro e alla gestione delle fasi colturali e produttive improntate al rispetto dell’uomo e del lavoratore. Non sono le lacrime, il sangue e i funerali che rendono veramente e stabilmente competitiva un’azienda e il settore;

  6. valorizzare la stagionalità, come elemento strutturale dell’attività produttiva del settore vitivinicolo. La produzione del vino ha caratteristiche industriali e dipende prevalentemente dal mercato e dagli uomini, ma la produzione dell’uva non dipende preminentemente dal mercato o dagli uomini ma dalla natura. Le fasi colturali del vigneto per produrre buone uve dipendono da un lavoratore in grado di saper valutare attentamente il momento giusto per fare quelle azioni capaci di mettere assieme le esigenze delle piante con le condizioni metereologiche e stagionali. Tutti noi siamo coscienti che sbagliando il periodo di una fase colturale si mette in discussione l’intera produzione. Per questo il lavoro stagionale non può che  rimanere prevalentemente stagionale ma va rivalutato in tutta la sua forza culturale e di saperi e va integrato con altre attività che permettano la gratificazione professionale ed economica.

Questi mi sembrano i principali argomenti con i quali una moderna vitivinicoltura deve confrontarsi per avere la certezza di basare la propria forza economica sulla qualità della propria struttura produttiva. Per esempio dobbiamo sottolineare negativamente l’assenza nelle aziende dei “responsabili delle Risorse Umane”, dei responsabili alla formazione, dei responsabili alla sicurezza alimentare, territoriale e del lavoro. Cioè registriamo  l’assenza di quelle professionalità che fanno della gestione dei dipendenti, dell’ambiente e del territorio una risorsa ulteriore e non prescindibile del prodotto vino e della materia prima uva.

Nel ringraziarvi dell’attenzione prestata, concludo dicendo che la FLAI-CGIL è convinta che la strada della qualità, della professionalità, dei consorzi di tutela, dei disciplinari e di maggiori tutele sindacali sia la strada che con fiducia guardano le decina di migliaia di tecnici e di lavoratori del settore.

Il rinnovo dei Contratti Provinciali di lavoro per i lavoratori agricoli, il rinnovo del Contratto Nazionale dell’Industria Alimentare e quello della Cooperazione alimentare, la stipula di ulteriori accordi aziendali per operai ed impiegati agricoli, si accostano alla esigenze di un settore che deve essere competitivo fuori dalla Sicilia ma anche in Sicilia.

Lascia alquanto sbigottiti constatare la scarsa presenza dei vini e dei prodotti vitivinicoli siciliani  nei punti di consumo isolani e, quando essi ci sono, spesso vengono presentati in maniera inadeguata. Non è campanilismo di maniera; anzi i migliori propagandisti delle nostre produzioni dobbiamo essere proprio noi.

Girando l’Italia chiunque si accorge che normalmente viene offerto e consumato il prodotto della provincia o della regione dove ci si trova; in tal senso la forza di penetrazione del prodotto siciliano è ancora troppo debole.

Sono certo che i lavori di questa giornata contribuiranno a rafforzare la voglia di migliorare le condizioni di lavoro, di produrre del buon vino e di vendere tantissime buone bottiglie.